Newtown nel lettone

dicembre 2012 

Sono le 6 di mattina. Pietro (4 anni e mezzo) si sveglia e chiama nel suo letto per un po' di coccole e chiacchiere. Si parla di tutto, ridendo, ma io in testa (e in pancia) ho quanto è appena accaduto negli Stati Uniti. Gianni Riotta su twitter chiede “Molti bambini chiederanno domani ai genitori, anche in Italia, cosa è successo a Newtown a loro coetanei: qual è la risposta giusta da dare?” e io, da mamma, ho in mente che non lo so. Ma questo pensiero si incrocia con il “si educa in mutande” di don Gino Rigoldi parecchi anni fa'. In mutande, cioè nella vita quotidiana, nella normalità delle cose che succedono, nei fatti e nei comportamenti, più che nelle parole. Ma in mutande anche “senza coperture, nudi, in imbarazzo, scoperti”.
E allora inizio “Sai Pietro, è successa una cosa terribile in America. Un ragazzo è entrato in una scuola con le pistole e ha sparato a tanti bambini e maestre”. E quel che ne segue è una serie di scambi disordinati. Come spesso capita con i bimbi. Che hanno la capacità di inseguire pensieri carsici. In cui le domande “serie” si alternano ad altro. Me ne sono appuntata qualcuna. Si parte con:

Pietro: ma come si chiamano quei bambini?
Mamma: non lo so.
Pietro: perche' non l'hai chiesto? Mi interessa.

Pietro: e come si chiama il ragazzo con la pistola?
Mamma: non mi ricordo.
Pietro: non ti ricordi perche' ti fa' paura?

Pietro: però è così terribile che io non me lo so nemmeno immaginare di che colore era la scuola. Ma... l'America è lontana?

E subito capisco che la conversazione non la sto guidando io. Io ho dato il là. Ma è lui che riesce a dar voce a quel che io nemmeno so di pensare. Poi (dopo aver parlato di ginnastica, della gara di nuoto, del pongo...) a freddo esordisce:

Come un cooperante alle prime armi


Dicembre 2012 

Un Forum è come un frullatore. Un acceleratore di processi. Un aggregatore di eventi. In un Forum accade tutto ciò che in realtà stava già accadendo ma in una dimensione diversa. E tutto è amplificato dalla moltiplicazione degli scambi interni e dall'essere sotto una (inusuale) lente di osservazione esterna. Non è facile quindi trarre un bilancio di un Forum a caldo. Quando il tornado si è appena placato, l'adrenalina cala e la stanchezza sale. Ma forse può essere utile farlo, prima che il quotidiano bussi alla porta richiedendo attenzione.
Cosa portiamo a casa da questo Forum Cooperazione? Cosa resta? 
La prima cosa che portiamo a casa è un messaggio: la cooperazione esiste. E non è irrilevante.
Non si tratta solo di sentirselo dire dalle persone importanti. Si tratta anche di dircelo tra noi. “C'è uno spazio enorme da riempire tra il marketing puro e il pessimismo cosmico” ha detto Paolo Dieci nel suo intervento in rappresentanza di tutte le ong. Il Forum è stato un momento in cui, noi per primi, abbiamo provato a riempire questo spazio.
“La scelta della cooperazione, perché di scelta si tratta, è una scelta che va rinnovata ed alimentata giorno dopo giorno, va sempre messa in discussione, pone degli interrogativi ai quali bisogna saper trovare delle risposte per poter proseguire” diceva ieri Rossella Urru.
Nel Forum “noi della cooperazione” ci siamo messi in discussione e abbiamo trovato un accordo su qualcosa: la cooperazione non è un lusso. La cooperazione fa bene sia a noi che agli altri.
Perchè noi e gli altri siamo interconnessi irrimediabilmente. Su altro non abbiamo trovato una risposta comune e definitiva.
La cooperazione è un imperativo etico o un investimento strategico? E' dovere o interesse? 
Quale punto di equilibrio accettabile tra le due cose. C'è ancora da fare su questo. Ma ci siamo ricordati che farsi le domande va bene. Anzi, che non possiamo smettere di farcele.
La terza cosa che portiamo a casa è l'allargamento del “noi” della cooperazione. 
Passiamo la vita a dire che siamo pochi, che dobbiamo aggregare, che bisogna coinvolgere. Che la comunicazione di massa non ci considera. Ma quando queste cose accadono (e come in questo Forum accadono sempre in modo un po' diverso da come noi vorremmo) ci sentiamo un po' truffati, derubati, usati. Perchè l'altro che entra nel nostro mondo lo cambia e prende in mano in modo goffo ciò che noi abbiamo curato e cresciuto con attenzione.
Ma la cooperazione serve se riesce a fare la differenza nella vita reale delle persone. Se combatte le ingiustizie e se promuove i diritti. E da soli non ce la facciamo. Quindi c'è bisogno di accettare la sfida. E crescere. E, smarrimento a parte, noi abbiamo detto che ci stiamo, che continueremo a partecipare (senza smettere di difendere ciò che va difeso, sia chiaro) ma senza pretendere di giocare da soli e senza lasciare il campo ad altri. E grazie ai contributi di tutti, la cooperazione ne potrà uscire più forte. Cioè il mondo potrà essere più giusto.
Poi portiamo a casa l'idea che forse l'Italia vorrà davvero scegliere alcune priorità (luoghi e temi) e spendere di conseguenza.
La consapevolezza che il nostro Paese tutto ciò che serve per giocare un ruolo in Europa ce l'ha già e basta decidere di farlo. La soddisfazione di vedere i migranti raccontare il cosviluppo già iniziato e rivendicare rappresentanza invece che cooptazione.
Il compiacimento di sentire Monti superare il dibattito sulla posizione della cooperazione rispetto alla politica estera (dentro, sotto o di lato) affermando che oggi non esiste più divisione tra politica estera e politica interna.
E pure Geppi Cucciari che riesce a farci ridere di gusto cogliendo bene le idiosincrasie del nostro mondo.
Rossella Urru che parla con voce rotta dall'emozione e dice cose che ogni volontario e cooperante avrebbe voluto sentire (e dire).
Emma Bonino che mostra come (senza offesa) a volte basti una donna sola in mezzo a 7 uomini a fare la differenza.
Andrea Riccardi che nel discorso di conclusione tra i risultati del forum cita #forumcooperazione che entra nei trend di Twitter.
E infine l'immagine del volto serio di Grilli che dice “Il calo di aiuti pubblici allo sviluppo rappresenta un motivo di disagio e di imbarazzo per Italia. Questa situazione non si addice allo status dell'Italia, al suo ruolo nell'Europa e nel mondo, e alla tradizione di solidarietà che è nel suo dna'' e promette un'inversione di tendenza e un graduale ma costante aumento di risorse stanziate per la cooperazione.
E noi, che sappiamo che non c'è nulla di peggio del vecchio cooperante cinico che non crede più a niente, scegliamo di essere il cooperante alle prime armi (per chi l'ha visto, quello del quiz di Geppi Cucciari), e di credere che le parole di questi giorni avranno riscontro nei fatti, che il Forum non è un evento ma un momento di un processo, che i fondi arriveranno, e che tutto questo avverrà prima che sia troppo tardi.

Siamo (quasi) a Natale

 dicembre 2012 

E se prendiamo sul serio questo fatto sappiamo che prima della nascita c'è altro. E che questo altro non è pura poesia ed astrazione. Prima c'è la gravidanza. Una lunga e lenta preparazione. Poi c'è il travaglio. Contrazioni, ritmo, dolore.

Poi c'è la fase di transizione. E' il periodo di tempo tra la fine della prima fase del travaglio e l'inizio della seconda. Tra le contrazioni e le spinte. Tra il dolore e la fatica.

E' la fase in cui in qualche modo hai trovato un modo di convivere con il dolore, di gestirlo. E improvvisamente il dolore passa dall'intensità e frequenza massima ad una specie di pausa. E in quella pausa (breve o lunga a seconda) ti senti stanca, esausta, credi (anzi, sai) di non farcela. Pensi di aver già dato tutto ciò che potevi.

E invece quella è la fase in cui non si può sostare. E' la fase in cui non ci si può fermare. Nè si può tornare indietro. Da lì si può solo andare avanti.

E andare avanti significa trovare (non si sa dove) le energie per spingere. Capire (non si sa come) il modo per portare a termine il lavoro. Per portare alla luce. Per portare alla vita. Che significa anche fare i conti con la paura della morte. Propria e di Colui (Colei) che si è tanto atteso.

Oggi noi siamo in questa fase. Siamo sfiniti. Siamo esausti. Siamo impauriti. Siamo sicuri di non farcela più. Abbiamo solo voglia e bisogno di crollare. Di dormire. Di finire. Però possiamo permetterci solo un secondo di sosta. Per respirare. E poi dobbiamo iniziare a spingere. Perchè qui non ci si può fermare.



Le Acli sono responsabilità nostra

Intervento in Direzione Nazionale Acli 

16 novembre 2012 alle ore 15.47
Io questa operazione l'ho osservata con attenzione. Per cercare di capire. Perchè Achille Grandi dice “Abbiamo tentato un grande compito” e noi sulle magliette come Terre e Libertà abbiamo scritto “La cosa più pericolosa da fare è rimanere fermi”. Quindi non sono a priori per il “non fare”. E il progetto di dare un contributo per risollevare la politica in crisi è sicuramente un buon proposito. E riconosco che la serietà di Monti e la sua credibilità hanno riposizionato l'Italia. E riconosco che se perdiamo questa serietà e credibilità torniamo nel pantano.

Però io anche osservandola attentamente e con attenzione e simpatia non riesco a crederci, non riesco a “buttare il cuore oltre l'ostacolo”. E pensandoci mi pare di non crederci per 3 ordini di motivi: 

1. In questa operazione c'è un assunto di base: “la società civile e il mondo cattolico” possono salvare la politica. Io credo che la società civile e il mondo cattolico (pretese di salvezza a parte) possano avere un ruolo solo se si riformano al loro interno. E solo se giocano una differenza sull'esterno. Solo se fanno una semina lunga, se accompagnano un processo di pazienza, sui territori, con le persone. Solo se sono, realmente, una forza popolare (cioè di popolo, di gente). Se sono ciò che la politica oggi non è. In questa situazione a me pare che questo processo (pur se partito con buone intenzioni e in buona fede) riporti tutti gli stessi meccanismi della politica che intende salvare. La decisone di pochi, un gruppo dirigente (salvo Andrea) non giovane (e anche un po' maschile), una cosa poco radicata, poco seminata sul territorio, senza regole democratiche e meccanismi di partecipazione chiari. 

2. Come tu dici, Andrea, è un gioco rischioso. Ed è rischioso perchè i compagni di strada che abbiamo (un po' scelti un po' trovati), non tirano dalla nostra stessa parte. Cioè, noi stiamo cercando di tenere assieme cose che assieme non vogliono starci. E cerchiamo di muoverli tutti assieme in una direzione verso la quale non vogliono andare. Allora a me pare che ci sia il rischio di sopravvalutare la forza (delle Acli e tua) di riuscire a condizionare il gioco intero. E c'è il rischio che siano altri a condurre noi dove non vogliamo andare.  

3. Monti oggi è una garanzia. Ma riesce a giocare il ruolo che gioca (e che è estremamente utile al Paese) proprio perchè non è tirato da una parte. Se Monti perdesse questa caratteristica non sarebbe il Monti di oggi. E allora è difficile trovare il punto di equilibrio tra il lasciarsi almeno una rete di sicurezza per il Paese (se le elezioni andassero male) e la necessità di dare forza a questa operazione. Perchè senza Monti questo gruppo non ha la forza sufficiente, con Monti si perde la rete di sicurezza. 

Per tutti questi motivi io a questa operazione non riesco ad appassionarmi. Non riesco a vederci il sogno. E salvare la politica, aiutare gli italiani a tornare a credere nella politica richiede di vedere, almeno potenzialmente, il sogno. Io sicuramente non sono il termometro politico ma...

Allora dico due cose:
  • Andrea, stai attento a non bruciarti, a non farti male. Ma su questo poi tu valuterai. E deciderai, anche all'ultimo momento. E sei naturalmente libero di farlo in autonomia. 
  • Ma poi ci sono le Acli. E le Acli sono responsabilità nostra. Sono responsabilità comune. E questa responsabilità non può essere delegata ad un presidente. Quindi mi pare importante la proposta di Massimo, aspettare di vedere cosa succede il 17 e cosa emerge dalle primarie. Ma ai primi di dicembre ritrovarci qui di nuovo. E decidere assieme, responsabilmente, come Direzione, la linea futura delle Acli. 

Dopo il Forum



L
'approccio che posso mettere in campo non è da esperta della materia, non è da docente. Ma da cittadina appassionata. E quindi provo un approccio che sta tra il politico, l'etico e il semantico. Non so se può essere utile ma questo è quello che posso portare.

La dichiarazione del Millennio (prima) e gli Obiettivi del millennio sono un fatto importante. I rappresentanti di x Paesi si sono trovati e hanno stabilito di comune accordo che non ci sono scuse (come recitava lo slogan della mobilitazione connessa a quel periodo), abbiamo le possibilità di farlo per cui decidiamo assieme che nel giro di 15 anni dimezziamo la povertà del mondo. E per poter misurare questo risultato viene organizzato e descritto declinandolo in x obiettivi con altrettanti indicatori e risultati.

Partiamo da un piano etico. Ci sono molti approcci possibili al tema della cooperazione o dello sviluppo. E anche nell'ultimo Forum della Cooperazione di Milano la motivazione della cooperazione è stato al centro del dibattito e sono stati proposti approcci che vanno verso una cooperazione utile “a noi” per collocarci e posizionarci nel mondo. O una cooperazione utile a noi per internazionalizzare il sistema Italia e commerciare il nostro made in Italy. Per me il punto di partenza non può che essere un altro. E cioè che non si può assistere a situazioni di ingiustizia, di privazione di diritti, di povertà, di assenza di libertà senza sentire il dovere di provare a fare qualcosa per cambiare la situazione. Ne va della nostra umanità, della nostra dignità. E (se vogliamo stare sul piano dei nostri interessi) della nostra stessa libertà. Perchè ogni diritto negato altrove è un diritto impoverito anche per noi. E tutto ci tornerà.

Passiamo al piano politico. Gli obiettivi del Millennio sono un fatto politico. La politica è la capacità di partire dall'etica e di organizzare un orizzonte del possibile verso cui mutare l'esistente. orientare l'esistente. E la capacità di scegliere indirizzi, attivare processi per condividere l'analisi e l'orizzonte, fino al punto di raggiungere il consenso per poter mettere in campo le modalità conseguenti alle decisioni prese. E sapendo sostenere il consenso per reggerne il periodo successivo. (Politica non è guardare l'orizzonte del possibile e abbassare l'asticella fino al punto del facilmente raggiungibile inseguendo il consenso). All'inizio del Millennio ….

Arriviamo ai risultati: Negativo: il fatto che questo fatto non ha tenuto. Che le scuse le abbiamo trovate. Alcune scuse reali, altre più sfumate.

Ci sono molte analisi sul perchè non ha funzionato. E vanno ad esaminare fattori esterni (la crisi, i mutamenti internazionali...) e fattori interni (il processo non era partecipato....). E ci sono varie riflessioni su cosa serve fare o non fare ora nel lavoro preparatorio di quello che sarà il Dopo2015. Io provo a identificare alcuni concetti che mi pare siano connessi con questi ragionamenti. A partire dal linguaggio con cui parliamo di questo mondo.

Cooperazione internazionale: la cooperazione attiene al metodo, al modo, ma spesso nel “nostro mondo” usiamo questo termine per indicare l'obiettivo. Tutti i percorsi nonviolenti stabiliscono che il nesso tra i modi e gli obiettivi devono essere stretti e coerenti. Ma non è possibile confondere gli uni con gli altri. E non è possibile tenere assieme la dimensione etica con la confusione dei due. Le battaglie fatte per sostenere la cooperazione sembrano spesso essere battaglie per difendere noi stessi come istituzioni, e i posti di lavoro delle persone che lavorano nella cooperazione (opera meritoria, perchè il fatto che i posti di lavoro della cooperazione siano formalmente invisibili non li rende non reali e la loro difesa è un diritto e un valore tanto quanto la difesa dei posti di lavoro di una fabbrica). Ma è differente combattere per difendere sé e combattere per difendere i diritti altrui. E' una forma diversa della declinazione dell'interesse.

Aiuto pubblico allo sviluppo: la mia formazione è da assistente sociale, che è una relazione che mette al centro l'aiuto. Quindi sicuramente riconosco il valore che è associato a questo termine. Così come riconosco che è persino un passo avanti rispetto al termine dell'assistenza. Però riconosco anche che è un passo indietro dalla relazione, dalla cura, dalla reciprocità. L'aiuto interviene per mettere una toppa. In emergenza. Ma l'aiuto in sé difficilmente riesce ad essere agente di cambiamento, attivatore di processi, generativo.

Sviluppo: diciamo che diamo per superati i concetti di sviluppo come misurato solo sul PIL (cioè sulla dimensione economica). E quello di crescita. Ma ancora non abbiamo identificato in modo comunitario e condiviso un termine con cui identificarlo. E trovare le parole per dirlo non è indifferente.
A mio modo di vedere le piste per il futuro sono:

Il ridisegno del campo di gioco e delle regole del gioco: chi decide cosa, quando, come? Siamo in una fase di leader deboli, multipolare, in cui è difficile leggere e interpretare gli schieramenti. Abbiamo bisogno di non rincorrere il passato (né l'uomo solo al potere, né il sistema contrapposto di prima) perchè la storia non torna indietro. Abbiamo bisogno di iniziare a sognare e inventare un modello nuovo e futuro.

Società civile: frammentazione, manca rappresentanza... E quindi conflitto sano e mediazione. C'è un sogno di positività della società civile che è la soluzione. Mentre la società civile può essere un attore che gioca un ruolo solo se inizia a riformarsi al suo interno. E se si gioca in dimensione Trasversale, internazionale, multi approccio.

Passione: L'abbandono della neutralità e il recupero della passione per i diritti. Per la giustizia. Che non significa non approfondire scientificamente o professionalmente. Significa riscoprire la dimensione di umanità e cittadinanza. E giocarla ognuno nel suo ruolo e posizione.

Non siamo più i leader: Consapevolezza che la soluzione e il cambiamento non arriverà da noi. Ma che dobbiamo almeno avere il buon senso di non ostacolarlo.

(Intervento realizzato nell'incontro pubblico post Forum Cooperazione) 













Welfare trasnazionale - La frontiera esterna delle politiche sociali

Ottobre 2012 

Un approccio trasnazionale per un cosviluppo realmente sostenibile e dignitoso per tutti
L'intervento in occasione della presentazione del libro "Welfare transnazionale. La frontiera esterna delle politiche sociali ", a cura di Flavia Piperno e Mara Tognetti Bordogna, il 17 ottobre 2012  a Roma.
Il mio punto di vista è quello di una presidente di una ong e di una persona che ha la responsabilità del tema della cooperazione internazionale in una grande associazione come le Acli. Personalmente poi in una vita precedente sono stata una assistente sociale. Il mio approccio a questo libro quindi non parte dal tema migratorio come le persone che mi hanno preceduto, ma da un tema complementare che si intreccia con le riflessioni sulla cura.
Da questo punto di vista molto soggettivo provo a dire qualcosa rispetto a questo libro con una premessa e la sottolineatura di alcuni termini e concetti che ho trovato in questo libro e che mi pare siano utili alla riflessione comune.
La premessa è sul genere. Questo è un libro scritto da due donne e che racconta di storie in cui le donne sono spesso protagoniste. E non mi pare una coincidenza. Non sostengo la superiorità di un genere rispetto all'altro. Ma credo che questo sia un libro che prova a connettere e a collegare temi e ambiti diversi. E credo che la capacità di trovare connessioni, di creare alleanze sia qualcosa di cui la specificità femminile è portatrice. E credo sia collegata anche con la capacità di innovazione e, concetto oggi di moda, con la capacità generativa. Che non è solo mettere al mondo e/o far nascere idee ma è anche accompagnarne i successivi percorsi e processi. I termini/concetti:

Come hanno fatto le Acli a stare assieme 69 anni?

Riflessione sulle attribuzioni di deleghe post congresso Acli - Editoriale di Spazio Ipsia - Giugno 2012

Nelle nuove attribuzioni del congresso sono state assegnate due nuove deleghe: la cooperazione sociale (per la prima volta invitata in presidenza) e la cooperazione internazionale (per la prima volta esistente). Come Ipsia salutiamo positivamente queste novità. Perchè una delega è su un "oggetto specificamente nostro" e l'altra è un nostro auspicio espresso nei contributi pre-congresso. Ma non è solo questo. Ci pare che il tema della cooperazione sia un asse fondamentale per il futuro delle ACLI e del Paese.
Cooperare, letteralmente, è operare con l'altro. È fare assieme. Sembra ovvio. Ma chi lavora nella cooperazione (sociale o internazionale) sa quanto questo sia difficile nel quotidiano. Perchè solo nella fantasia iconografica (o nelle fasi iniziali dell'"innamoramento") l'altro è il partner ideale, è il socio che vorremmo, è colui/colei che condivide con noi prospettive, pensieri, obiettivi e anche stili e modi. Ma (forse più importante) solo nella nostra fantasia noi siamo i partner ideali, altruisti, coerenti, lucidi, onesti, forti, rappresentativi, organizzati. Nella realtà siamo quello che siamo. Tutti: Pieni di limiti, di mancanze ed errori. Ma anche tra imperfetti (o forse a maggior ragione tra imperfetti) la cooperazione è l'unica scelta che costruisce un futuro sostenibile.

Chi ha contribuito al dibattito congressuale?

Piccola analisi grezza degli interventi degli aclisti al Congresso Acli 2012. In 3 giorni di lavoro ci sono stati 75 interventi che è possibile analizzare in base alle seguenti categorie:

Genere:



Area Geografica:



"Corrente"
PSG = dichiarati per l'area di Paola Vacchina Stefano Tassinari e Gianni Bottalico
GB = dichiarati per l'area di Gianluca Budano
X = non dichiarati o dichiaratamente neutrali




In base a essere o meno candidati a Consigliere Nazionale in congresso:





In base al ruolo precedente al congresso.
Presidenza = Presidenza Nazionale ACLI
Delega DN = Delega di Direzione Nazionale ACLI
Pres AS = Presidente di Associazione Specifica
Pres Prov = Presidente provinciale
Pres Reg = Presidente regionale
Ex = Ex Dirigenti Nazionali
Servizi = Ruoli apicali dei Servizi




Dal punto di vista territoriale regionale: 


18 9 8 5 4 2 1 0
lombardia piemonte lazio toscana marche fvg aosta sicilia
puglia trentino emilia sardegna
veneto liguria campania calabria
umbria basilicata
abruzzo molise

Dal punto di vista territoriale provinciale: 

7 6 5 4 3 2 1
Milano Roma  Torino Brescia Brindisi Firenze Ancona
Trento Varese Genova Aosta
Mantova Arezzo
padova Ascoli
svizzera Avellino
Trieste Bergamo
Viterbo Biella
Caserta
Cuneo
Foggia
Forlì
L'Aquila
La Spezia
Lecce
Macerata
Perugia
Pesaro
Pescara
Piacenza
Pisa
Ravenna
Savona
Siena
Terni
VCO
Venezia
Vercelli
Verona
Vicenza
A questo Link è disponibile il file con i dati di base.
E' ovviamente possibile che ci siano errori. Ma forse può essere utile ad avere un'idea generale.
Sono solo dati grezzi. Ognuno farci analisi differenti. 

20 anni di Bosnia - La storia (incompleta) del rapporto tra le Acli e la Bosnia

La storia del rapporto tra le ACLI e la Bosnia non è una storia ma un intreccio di tante piccole storie. Per questo è difficile da raccontare. Perché ognuno conosce bene quello che ha visto e vissuto. Ma poco esiste di collettivo e complessivo. Anche per questo ci pare importante provare a raccogliere quello che sappiamo e abbiamo. Per metterlo in comune. Quello che segue quindi è il canovaccio di un racconto che chiediamo a tutti di completare. Con documenti, materiali, ricordi, immagini, storie…

La prima fase: 1992- 1995 La guerra. Diplomazia popolare e solidarietà ai profughi.
  • 1992 Time for peace Organizzazione assieme ad Arci e altre realtà di un capodanno di solidarietà nei campi profughi
  • 1992 -1997 Un sorriso per la Bosnia 23 comitati di gemellaggio tra comunità italiane e campi di profughi bosniaci in Slovenia con partecipazione in particolare di Cuneo, Torino, Como, Lecco, Sondrio, Padova, Trieste, Milano, Bergamo, Pesaro, Varese.
  • >> Un sorriso per la Bosnia Circolo ACLI Arosio (Como)
  • 1993- 1995 Progetto autotassazione a favore della popolazione della ex-jugoslavia (ACLI Mirano – Venezia)
  • 1993 Mirsada Marcia nonviolenta di interposizione verso Sarajevo
  • 1994 Un ponte oltre la guerra

Come i Balcani ci hanno cambiato


Aprile 2012 
Erri De Luca scrive: Ogni generazione ha la sua città. Noi abbiamo avuto Sarajevo. Io dico. Noi abbiamo avuto i Balcani. Perché quello che è avvenuto negli anni ’90 è stato un movimento che ha costruito una fitta rete di relazioni che partivano da tanti piccoli e sconosciuti posti d’Italia e li legavano a tanti piccoli e sconosciuti posti dei Balcani. Villaggi di Slovenja, Croazia e di Bosnia. I luoghi della guerra. I luoghi dell’accoglienza. I luoghi dei passaggi obbligati nei viaggi. Ognuno di noi ha i suoi. Il mio campo profughi era Smartinska, a Lubiana. E poi Kocevje. Quello di Paolo e Silvio era Novo Mesto. L’altro Paolo era Vic, quelli di Como erano Skofja Loka, quelli di Torino Postumia e Ajdoscina…. E “i miei profughi” erano di Travnik, altri di Kljuc, Krupa, Sapna…
In quel momento in Italia era tempo di Mani Pulite. Di disillusione politica. Era tempo di mafia che uccideva. Eravamo usciti dalla Milano da bere. C’era appena stata la guerra del Golfo che ci aveva riportato la guerra in casa ma sembrava un videogioco notturno. E non c’era internet e le notizie si seguivano stando svegli di notte davanti alla tv. E il pacifismo in Italia era fatto da gente adulta che manifestava con i cartelli per il disarmo. La cooperazione era fatta di ong divise in cattoliche e di sinistra (con una intersezione tra le due parti). Le prima andavano in Africa seguendo le esperienze dei missionari. Le seconde in America Latina appoggiando le lotte di liberazione. L’associazionismo aveva appena scoperto l’economia e l’idea di terzo settore e con Acli e Arci quasi sempre compatte e in prima fila lanciava idee e campagne e iniziative che poi sono diventati stabili.

Attendendo l'Aurora

Aprile 2012 

Riflessioni sulle Acli di oggi e domani
a partire dalla lettura e presentazione del libro L'assillo della Fede

La prima sensazione è l'emozione da blocco alla bocca dello stomaco. Di quando ci si trova di fronte a qualcosa di “vero”. Qualcosa in cui in parte ti riconosci (come anelito) in parte vedi subito, a colpo d'occhio, tutto lo scarto.
Poi, dolorosamente, la “nostalgia” di qualcosa che non hai vissuto. Il rimpianto di non esserci stata. La rabbia, persino, di avere in dote questi tempi e non quelli. E' un attimo, ma c'è. E' innegabile.
Quindi la sensazione di vedere una staffetta. Un corridore che corre, col testimone in mano. Si volta. Non vede nessuno ad afferrarlo e a proseguire la corsa. Lo stupore incredulo, prima di tutto, sul suo volto.
E infine la sensazione di responsabilità. Personale e collettiva. Di quella caduta, o di una raccolta. Ma anche della differenza tra i tempi. E del cambiamento che manca.

E allora, ok. Noi non siamo quelli. I nostri tempi non sono quelli. Noi non siamo santi. Nè eroi. Nè leader. Siamo immersi, totalmente, anche noi, nello spaesamento di popolo E siamo schiavi della schiavitù del breve termine. Ma tocca a noi darci da fare almeno per essere migliori (non “i migliori”). Cercando di capire cosa ci serve, cosa ci manca. E cosa, di allora, possiamo accogliere e tramandare. Io ho trovato 4 perle. Per ora. Un filo, e un piccolo gancetto per chiudere il tutto.

Le 4 perle:

La Parola. Non è una novità. Marco ce lo (ri)diceva l'altra settimana. Non puoi rimpiangere la mancanza degli effetti della Parola nella tua vita (o nella vita collettiva) se non ti fermi a darLe spazio. Costantemente. Quotidianamente. Non di regole ma di ritmi ha bisogno la vita secondo il Vangelo. La Parola non ti converte, non ti forgia e non ti scava, se non gliene dai la possibilità. E' talmente chiaro ed evidente da essere quasi banale. Serve solo una decisione. E l'aiuto reciproco per farlo.

I Maestri. “Noi avevamo gran gusto quando andavamo a caccia di maestri”. Mi colpisce come la vita “di quel gruppo” fosse costellata dai maestri. E di come queste “scoperte” (dirette o mediate dagli scritti) segnassero i percorsi individuali. E di come “gli incontri” (seminari, convegni) facessero altrettanto nei percorsi collettivi. I maestri non capitavano per caso. Venivano cercati attivamente. Non per riempire una scaletta di un momento da organizzare. Ma come di qualcosa di cui c'è realmente bisogno, per vivere. Come se l'esperienza personale ed associativa fosse una domanda costantemente aperta. E se qualsiasi azione fosse una ricerca infinita di risposte. Non trovo paralleli con “il nostro gruppo” (E non si tratta solo di investire di più sull'Ufficio Studi o su una Rivista). Si tratta di riscoprire assieme il bisogno della domanda e poi muoversi di conseguenza.

Perché associarsi alle Acli?



Una domanda sul perchè associarsi alle Acli. A chi era associato un tempo ed oggi non lo è più. A chi si associa oggi. A chi partecipa senza associarsi. A chi guarda da fuori. Ne è uscito un puzzle interessante...

Daniele: Io non mi sono mai sentito un vero aclista. Ho condiviso un viaggio bellissimo con voi in adolescenza di cui sarò sempre grato alle Acli e a chi l'ha reso possibile. Potrei anche fare una tessera, ma un'iscrizione senza un reale impegno non avrebbe senso... non siete Emergency o Amnesty. Ho scelto di agire nel sociale come professionista, ho abbandonato la politica, ho tre figli e la mia passione extra è l'arte marziale che insegno, nella quale metto un po' di quei valori di partecipazione imparati in quegli anni. Un giorno le starde potrebbero riunirsi, chi sà. Avete tutto il mio tifo.

Alfredo al perché associarsi alle Acli oggi ha risposto con la canzone “Per te” di Lorenzo Cherubini.

Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un...