Dice che la parola del 2015 è RITMO



E a me viene in mente il gioco che si faceva da piccoli.

Con penitenza finale. 

E subito dopo mi viene in mente questo...

(Non so se è bene o male... ma è così)

(se da cell non funziona il plug in per il video la musica si trova anche qui)






Attenziò 

Concentraziò 
Ritmo e 
Vitalità 

Devo dare di gas 

voglio energia 
metto carbone e follia 

se mi rilasso, collasso 


mi manca l'aria e l'allegria perciò... 


Attenziò... 


Odio il pigiama e vedo rosso 

se la terra mi chiama non posso 
restare chiuso fra quattro mura 
ho premura di vivere perciò... 

Attenziò... 


Sto fermo un giro 

non passo dal via 
piuttosto non gioco e vado via 

fuori dal vaso 

fuori di testa 
ho sempre un piede sul motore 


                             Quindi.... 



"Attenzio' e Buon anno!"

La crisi della politica si è delineata come crisi della leadership


Il libro Politica ed Economia di Benedetta Zorzi e Natale Brescianini l'ho scoperto perché era tra le segnalazioni di Marco Bonarini su BeneComune.net e mi ha incuriosito per cui l'ho comprato (online) e letto (da cellulare). Cioè... non posso dire sia stata una meditazione profonda ma...si fa con ciò che c'è, come si può... 

Non è compresa nel libro, ma parto da una frase di Etty Hillesum "Occorre esercitarsi una vita intera per capire che, se si accetta una visione della vita, bisogna anche viverla; questa è probabilmente l'unica possibilità di ottenere un senso di armonia". 


E' una frase che mi aiuta a coltivare la speranza. Perché in fondo dice che il senso di disarmonia che proviamo segnala che non ci siamo ancora persi del tutto. Perché continuiamo ad avere in mente una visione di vita, e non abbiamo ancora mutato visione solo per assecondare ciò che viviamo e tacitare la disarmonia. 



Ma c'è da capire se quello che proviamo è un disagio che ci muove alla ricerca dell'armonia e dell'unità (monaco viene dal greco "uno" si interpreta come qualcuno che vive da solo, mentre è qualcuno che cerca di ricomporsi in un'unitarietà) o se è qualcosa in cui in fondo ci crogioliamo. Cioè (secondo il libro) se è  accidia. Parola assolutamente fuori moda. Ma che il libro riprende come il male che affligge in particolare la nostra epoca. Ritroviamo in questo l'eredità di questo antico male del deserto di annuì di Pascal, di angoscia di Kierkegaard e di nausee di Sartre. E' il disagio proprio dell'essere umano in quanto tale, togliendo Dio dal suo orizzonte viene risucchiato nell'abisso del nonsenso e del nulla. Quell'accidia che Dante sembra ritenere che sia persino un "vizio per difetto di ira". 

E' interessante,  perché anche al disagio e alla disarmonia (problema interiore) e all'ingiustizia (problema sociale) si finisce per assuefarsi. Oppure si può  reagire.


Il libro sottolinea che:  Lo sdegno etico è importante. Significa non essere indifferenti e provare a reagire con estremo interesse al fatto che il bene e la giustizia non siano realizzati. Lo sdegno etico fa parte della sana funzione dell'irascibile. 


Ma subito dopo specifica. Bisogna distinguere tra forza e violenza. La forza è il valore dell'essere (è infatti una virtù, anche etimologicamente) mentre la violenza è abuso della forza. L'unica forza che può opporsi alla violenza è la forza della giustizia. Alla violenza non può opporsi un eccesso di natura identica anche se contraria. Nè può opporsi la codardia. 


E quindi si torna alla nonviolenza. Non come qualcosa relegato solo al mondo dei conflitti violenti lontani da noi. Ma come qualcosa (in questo caso nell'elaborazione di Lanza del Vasto) di estremamente connesso con la politica e con la carità cristiana. 


Poiché nessuno possiede la verità, la rabbia di avere ragione rischia di diventare una passione forsennata e ci convince che il nemico è solo cattivo invece bisogna ammettere il bene che è in lui e il male che è in me, ma anche distinguere tra pretendere che una causa sia assolutamente buona perché mia e farla mia perché buona. Quindi nei conflitti bisogna sapersi chiedere quale sia la nostra parte di torto. 


Credo che tutto questo sia già di per sé interessante. Come cammino da percorrere per ogni persona che aspira ad essere in equilibrio e in armonia.  Ma il libro fa una passaggio ulteriore. Declina tutto questo come essenziale per esercitare la leadership. Specie la leadership politica. 


Ora et labora. La parola più importante è la congiunzione "et". Dice il libro. Perché il punto è quella capacità di riunificare e tenere assieme. Anche nella società. La crisi (dicono gli autori) sta anche nel fatto che viviamo una sorta di frattura fra tre dimensioni: abbiamo relegato la spiritualità alla sfera privata, il sociale al terzo settore e a coloro che non rientrano nel mercato e abbiamo lasciato il mercato abbandonato alle leggi della finanza che si allontana sempre di più da un'economia reale. 


La crisi della politica si è delineata come crisi della leadership, intesa come capacità di mettere in atto azioni e comportamenti in vista del raggiungimento di un obiettivo comune. Crisi generata solo in seconda istanza dall'assenza di personalità carismatiche, in primo luogo è una crisi di spiritualità. Il carisma, infatti, è l'effetto non la causa di una leadership efficace. Il capitale spirituale di cui si ha bisogno deve essere tesaurizzato tramite un lavoro interiore che formi la personalità politica.  



Quasi paradossale quando (ed è il tema di tutto l'ultimo numero di BeneComune.net) si tende ad interpretare la crisi come legata ai partiti e la leadership come il tentativo di soluzione. La storia del 900 si specchia nella storia dei partiti. Grandi obiettivi, grandi masse, grandi partiti. Ma ora progettare grandi mete non si addice ad un pensiero debole. Debole. Ecco, appunto: obiettivi deboli, masse indebolite, partiti debolmente organizzati. La scorciatoia diventa la figura del leader che in sé sussume le idee del partito e l'atteggiamento verso la politica nazionale. Il leader sa anche mobilitare la base, serviranno ancora le sezioni di partito? Scrive Roberto Rossini nell'introduzione. 

E qui mi pare si aprano due questioni: cosa è spiritualità. Cosa è politica. 

Definire la spiritualità è complesso. Nel libro ci sono molte piste di riflessione rispetto a questo. Ma in qualche modo mi pare utile scegliere quella in cui si dice che Non si intende far divenire tutti i dirigenti persone devote. E una persona si può definire spirituale quando diventa capace di carità, ovvero di una giusta relazione con sé e con il prossimo. E una città sarà giusta quando ciascuna delle componenti da cui è composta svolge il compito che le spetta e Ognuno di noi sarà giusto e compirà il proprio dovere quando ciascuna delle facoltà insite in lui svolgerà la propria funzione. (Platone). 

Fino a due secoli fa la facoltà di Economia e Commercio non esisteva, l'economia era studiata all'interno della Filosofia Morale e l'Economia era Economia Politica e fino ad un certo punto i grandi economisti erano filosofi. Abbiamo perso il quadro di riferimento. la cornice entro cui porre tutte le nostre attività. 

La politica è chiamata ad incarnare la spiritualità in cose concrete: strutture comunitarie e relazioni sociali. Politici che non coltivino in sé stessi atteggiamento di rispetto, fraternità, collaborazione per la ricerca del bene comune destineranno la società alla sterilità. 

C'è bisogno di persone in grado di intravedere e di realizzare nuove qualità umane e comunitarie, nuove dimensioni relazionali, affinché nella storia di oggi e di domani si possa incarnare un nuovo sviluppo, forse ancora inedito ma possibile, del regno di Dio. 




La memoria dei padri è un atto di giustizia



Che senso ha far memoria dei nostri morti? La memoria non esiste in sé. Dipende dalle domande che noi rivolgiamo. Dipende dal luogo (le Acli) dalla fase (la crisi). 
La storia non esiste in sé. Dipende dagli eventi. Lo ripeteva Pietro Scoppola. L'importante sono le domande che poniamo alla memoria e alla storia. (Giovanni Bianchi) 

Ecco, parto da qui. Perché fare memoria? 

"I nostri morti" Fare memoria, oggi, in Acli, di Arturo significa porsi all'interno di un noi. 
"Per Arturo le Acli non sono state un luogo di lavoro. Sono state una famiglia" ha detto oggi Cesarina. 
Papa Francesco ricordando Martini ha detto "La memoria dei padri è un atto di giustizia". 

Una famiglia. I padri.... 

Su quali gambe si è mossa, nella quotidianità, la democrazia nel dopo guerra? Sulla figura del militante. 
Il militante aveva ideologie diversa. Ma sotto sotto aveva una stessa ideologia: lavorava per una società migliore. Per sé o per i nipoti. Non cercava il risultato oggi. Non cercava visibilità. (Giovanni Bianchi)

Il militante

Bello. E appassionante. Non cercare visibilità. Lavorare per una società migliore. Lo capisco. Mi piace. C'è sicuramente una chiave in questo ma... 

Nessuno di noi allora era senza rete. Nessuno era veramente solo. Nessuno era privo di una prospettiva. Magari fallace. Come quella che seguimmo con Labor che fu sconfitta. Ma, al contrario di oggi, anche dopo la sconfitta, nessuno era veramente solo. Le reti non servivano tanto a proteggere. Servivano a dare prospettive. (Luigi Covatta) 

La domanda che pongo alla storia e alla memoria oggi è questa. Come essere  (e proporre di essere) militanti? Come lavorare (e cercare gente che lavora) a lungo termine, oggi, senza reti? Senza prospettive?  

L'appartenenza ideologica è stata per molto tempo la chiave della partecipazione. Oggi non è più così.  
E' un male, perchè siamo più soli. Ma forse è anche un bene, perché le appartenenze ideologiche potevano essere a volte anche solo illusioni di prospettive. Effetti di luce. Riflessi senza profondità. E le militanze ideologiche vivevano di omogeneità. Cioè tendevano ad escludere "gli altri". E contrapponevano. 

Allora,  forse la chiave può essere il cercare di costruire (vivere, mobilitare) una partecipazione basata su una appartenenza trasversale, l'appartenenza ad una comunità. Comunità come luogo delle differenze. Che non parte da prospettive condivise date. Ma che cerca insieme di costruire prospettive comuni. Magari parziali, frammentate, meno assolute di quelle di un tempo. Ma in grado di offrire l'alternativa alla solitudine. Magari meno a lungo termine di quelle di un tempo. Ma comunque con uno sguardo in avanti. 

Il nostro è tempo precario, si sa. Non abbiamo contratti a tempo indeterminato nemmeno con le prospettive e le idee. 

Ma un buon rapporto di collaborazione a progetto con un impegno ed un sogno forse non è poi così male. Non è una idea Eurostar. Che con un colpo solo in 3 ore ci porta da Roma a Milano. E' una idea treno locale. Che è un po' sporca, si ferma, per arrivare da qui a lì hai 3 cambi e un po' di attesa. Ma può funzionare... ed il viaggio può essere avvincente. 

(il groppo alla gola resta. Così come la sensazione di scarto. Come quella che dicevo nelle prime righe di questo post http://rendicontare.blogspot.it/2014/01/attendendo-laurora.html )




    Al servizio del protagonismo dei poveri


    I  poveri non possono diventare un’occasione di guadagno! 

    è la frase più ripresa del discorso di Papa Francesco ai volontari della Focsiv oggi. Ovviamente. E' di attualità... 

    Ma se devo dire cosa mi ha colpito di più è: 

    Le povertà oggi cambiano volto ed anche alcuni tra i poveri maturano aspettative diverse: aspirano ad essere protagonisti, si organizzano, e soprattutto praticano quella solidarietà che esiste tra quanti soffrono, tra gli ultimi. Voi siete chiamati a cogliere questi segni dei tempi e a diventare uno strumento al servizio del protagonismo dei poveri. 

    e poi: 

    Solidarietà con i poveri è pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. 


    Solidarietà è anche lottare contro le cause strutturali della povertà: la disuguaglianza, la mancanza di un lavoro e di una casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. 

    ed il bellissimo: 

    La solidarietà è un modo di fare la storia con i poveri. 

    "Con i poveri" non "per i poveri".  Ce n'è da fare! 

    P.S: a cura di Lorenzo Bellini, c'è anche uno storify della giornata https://storify.com/lolitoapketa/ipsia

    Organizzazioni: leggere il proprio posizionamento, per muoversi nel cambiamento






    Intervento di Giovanni Fosti all'Assemblea dei circoli Acli della Lombardia.

    Premessa:
    Imparare a volere bene al mondo in cui ci troviamo.
    Non colludo con l’idea che se siamo in difficoltà è perché qualcun altro ne ha la colpa.
    Può anche essere vero, ma il mio compito è vedere cosa possiamo fare.
    Tutto quello che abbiamo intorno ci dice con chiarezza che siamo alla fine di un’epoca.
    Ma può voler dire che siamo all’inizio di un’epoca. Non sto dicendo che è una buona notizia. Non sto dicendo che è una cattiva notizia. Sto dicendo che dobbiamo decidere se vogliamo aggrapparci a quel che resta del prima o scegliere cosa c’è dopo.
    Un conto è portarsi dietro dei valori. Un conto è portarsi dietro dei servizi, dei modelli. Che ci sono stati in quel momento lì, ma non è detto che siano da portarsi nel dopo.

    Cosa sta accadendo nel paese:
    La struttura della famiglia sta cambiando in modo velocissimo e impressionante. A Bologna presentando scenari del welfare, il 50% delle famiglie bolognesi è unipersonali. Stessa cosa è a Milano. Un welfare che è centrato sulla capacità di cura della famiglia ha in mente il Mulino Bianco, ma poi si confronta con un 50% delle famiglie fatte da una persona sola.
    C’è il mondo che abbiamo in mente e poi c’è il mondo reale.

    Il 70% delle persone over 65 alla domanda: pensi di poter dire che stai: bene/né bene né male/male si colloca tra bene e né bene né male. La fascia anziana noi ce la rappresentiamo come bisognosa di cura. In realtà non è sempre così.

    Le famiglie italiane hanno più supporto dalla rete famigliare che dal welfare pubblico. La fascia anziana è il perno reale del sistema di welfare perché mentre corre a fare conciliazione per i figli, prendendo in cura i nipoti, contemporaneamente ha un genitore anziano che ha elevato fabbisogno di cura. E’ la fascia di età che svolge questa funzione in un paese con sistema previdenziale costruito anni fa’.  I 70enni che saranno 70enni tra 30 anni si troveranno di fronte a bisogni simili ma in un sistema previdenziale diverso.

    Proviamo ad atterrare su una cometa. ..



    In questo articolo su Internazionale è scritto bene:

    Superare le divisioni.
    Mettere assieme le competenze.
    Unirsi per un obiettivo comune.


    Poi c'è pure altro, secondo me:

    una sfida. Importante. Ma rischiosa. Si riduce il budget ma si investe in qualcosa. Non solo taglio ed immobilismo. Scelta.

    Uno sguardo in avanti. Una scommessa sul futuro. Non solo vivere alla giornata parando i colpi delle emergenze. Ma sguardi e programmi per il prossimo ventennio. E persino azioni e progetti di cui non si vedrà l'effetto se non dieci anni dopo. ..

    E il tenere conto del tempo in cui viviamo. Comunicando in modo diverso.
    Per esempio, con un cartone animato per bambini...


    Io ci vedo tanti messaggi da cogliere.
    Per l'Europa. Ma non solo.

    Piena capacità

    Grazie ad Achille, mi è arrivato un intervento di Mons. Pasini alle Acli nel 2007 in preparazione del congresso.

    Noi ci stavamo ragionando sul primo pezzo, attorno all'idea di volontariato in Acli. Un volontariato dei diritti.

    Ma in questi giorni mi colpisce soprattutto la parte in cui si parla di cos'è il Patronato.
          Senza tutela il lavoratore resta in uno stato di inferiorità. Non raggiunge la piena capacità giuridica.

    Era Il 44. Interessante. Tema attuale, no?

    (A chi interessa qui il doc volontariato dei diritti di Pasini in versione integrale. 

    E chi lo ritiene può firmare la petizione).


    Ma cosa state facendo!


    Prima della rabbia c'è la sorpresa e lo sconcerto:

    "Ma cosa state facendo!"

    Il servizio di Gazebo sul corteo degli operai di Terni. 

    Non fa ridere. Ma è da vedere. (dal minuto 14) 

    Qui

    (non so se è intenzionale. Ma il video è anche un mostrare cosa è e che mestiere è fare il sindacato. Cosa che forse serve in egual modo a chi nel sindacato se lo è dimenticato e a chi pensa che il sindacato oggi non serva più).

    (Sul sindacato... non parlo tanto del "personaggio" ma dei tanti ignoti col megafono e la fatica di mettersi in mezzo mettendoci la faccia...)




    Destra Sinistra

    "Tutti noi ce la prendiamo con la storia
    Ma io dico che la colpa è nostra.
    E' evidente che la gente è poco seria 
    quando parla di sinistra o destra.
    Ma cos' è la destra. Cos'è la sinistra". 

    Mi spiace.

    Ma sull'interpretazione della realtà in base al criterio sinistra destra ha già detto tutto lui.

    Era il 1994. Sono passati esattamente 20 anni. 



    L'ideologia... l'ideologia... malgrado tutto credo ancora che ci sia.
    E' la passione, l'ossessione della tua diversità. Che al momento dove è andata non si sa...

    L'ideologia... l'ideologia... malgrado tutto credo ancora che ci sia.
    E' il continuare ad affermare un pensiero e il perché. Con la scusa di un contrasto che non c'è. 
    E se c'è chissà dov'è.... 
      

    E' colpa dei giusti

    Non me la prendo con i giudici.

    Decido di partire dal credere alla giustizia, per principio. E nel credere, per principio, alla giustizia è compreso anche il credere, per principio, alla presunzione di innocenza.  Per cui se non ci sono prove sufficienti non si può condannare qualcuno. Ci sta.

    Però, la realtà è la realtà.

    E la realtà è che una persona è entrata nel sistema della giustizia e viva e ne è uscita morta. Di fame, di sete e con evidenti lesioni. E non si può morire in stato di abbandono mentre si è nelle mani della giustizia e di un ospedale della capitale di un paese civile.

    Allora mi fa rabbia. Ma non mi fanno rabbia i giudici, i poliziotti, o gli infermieri... non ho rabbia per categorie. Mi fanno rabbia le persone.

    Mi fanno rabbia tutte le persone che con le loro azioni hanno contribuito a questa morte. In qualsiasi categoria siano.

    Ma, se possibile, mi fanno ancora più rabbia tutte le persone che con il loro silenzio hanno contribuito a questa morte. Perché se le prove non ci sono è anche perché qualcuno non le ha portate. Se qualcuno ha finto di non vedere o sapere, non ha fatto con coscienza il suo mestiere, ha mentito, nascosto o coperto.

    Non ci credo che le cose accadano senza responsabilità.
    Non ci credo che le cose accadano e nessuno veda, senta, noti nulla.

    E penso che il nodo di una società più giusta non si liquidi nella responsabilità civile dei magistrati. Ma risieda in un processo culturale per cui testimoniare la verità non sia gesto da eroi ma comune esercizio di cittadinanza.

    Non temo le parole (e i gesti) dei violenti. Ma il silenzio dei giusti. M.L.King


    Leopolda e San Giovanni

    A volte serve cambiare codice per dire le cose.

    Allora per leggere ciò che sabato scorso è accaduto nel Paese riprendo Europa (che è pure un modo per dire che un quotidiano che passa ad essere solo online non è per forza un quotidiano al passo prima della morte) e nello specifico l'articolo Leopolda e San Giovanni la metafora è la tv che riprende Gazebo. E ne tiro fuori due definizioni per il rapporto Leopolda - San Giovanni

    Sanremo contro XFactor



    Leopolda è partito di governo, è tv generalista che parla a tutto il pubblico. 
    Gli altri hanno un canale tematico per i maniaci del genere. 

    (senza nessuna denigrazione dell'essere maniaci o della tv di genere. Anzi, da parte di una che praticamente tutte le notti fa binge watching di Homeland... per dire).

    Ma poi la chiave di lettura vera non può non fare i conti con il genio di Makkox e con la sua angosciante Vignetta finale (e la parola finale non indica la fine della puntata). Da guardare.






    Movimento

    Il discorso di Papa Francesco ai movimenti popolari.

    Che dire. È una meraviglia. 

    E ci sono dentro tantissime cose. Da leggere con più calma e meditare. 
    I neretti sono miei. Solo per segnalare cose che mi colpiscono di più alle prime letture. 


    I poveri, come protagonisti e non destinatari. Le comunità che sono fatte di persone ma anche di luoghi fisici (terra, casa...). La solidarietà che è anche lotta. La realtà che è il punto su cui basare tutto. Anche se ci si sporca e poi "si odora". Le parole, che possono essere strumento per negare o mascherare la realtà. Il bisogno di non lasciare i temi importanti in mano a pochi. Il bisogno di creare forme nuove di partecipazione. I movimenti che hanno bisogno di essere liberi...

    E poi il Vangelo. Che è già, di per sé, un programma e una linea di azione. Rivoluzionaria. 

    Buongiorno di nuovo, 

    sono contento di stare tra voi, inoltre vi faccio una confidenza: è la prima volta che scendo qui, non c’ero mai venuto. Come vi dicevo, provo grande gioia e vi do un caloroso benvenuto.
    Grazie per aver accettato questo invito per dibattere i tanti gravi problemi sociali che affliggono il mondo di oggi, voi che vivete sulla vostra pelle la disuguaglianza e l’esclusione. Grazie al Cardinale Turkson per la sua accoglienza, grazie, Eminenza, per il suo lavoro e le sue parole.

    Questo incontro dei Movimenti Popolari è un segno, un grande segno: siete venuti a porre alla presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli, una realtà molte volte passata sotto silenzio. I poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano anche contro di essa! 
    Non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi. Non stanno neppure aspettando a braccia conserte l’aiuto di Ong, piani assistenziali o soluzioni che non arrivano mai, o che, se arrivano, lo fanno in modo tale da andare nella direzione o di anestetizzare o di addomesticare, questo è piuttosto pericoloso. Voi sentite che i poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste fra quanti soffrono, tra i poveri, e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di dimenticare.

    Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma una parola è molto più di alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, la terra e la casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro: i dislocamenti forzati, le emigrazioni dolorose, la tratta di persone, la droga, la guerra, la violenza e tutte quelle realtà che molti di voi subiscono e che tutti siamo chiamati a trasformare. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia ed è questo che fanno i movimenti popolari.

    Questo nostro incontro non risponde a un’ideologia. Voi non lavorate con idee, lavorate con realtà come quelle che ho menzionato e molte altre che mi avete raccontato. Avete i piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta! Vogliamo che si ascolti la vostra voce che, in generale, si ascolta poco. Forse perché disturba, forse perché il vostro grido infastidisce, forse perché si ha paura del cambiamento che voi esigete, ma senza la vostra presenza, senza andare realmente nelle periferie, le buone proposte e i progetti che spesso ascoltiamo nelle conferenze internazionali restano nel regno dell’idea, è un mio progetto.

    Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. Che triste vedere che, dietro a presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività, lo si nega o, peggio ancora, si nascondono affari e ambizioni personali: Gesù le definirebbe ipocrite. Che bello invece quando vediamo in movimento popoli e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di speranza. Questo è il mio desiderio.

    Questo nostro incontro risponde a un anelito molto concreto, qualcosa che qualsiasi padre, qualsiasi madre, vuole per i propri figli; un anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla maggioranza della gente: terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa. Mi soffermo un po’ su ognuno di essi perché li avete scelti come parola d’ordine per questo incontro.

    Terra. All’inizio della creazione, Dio creò l’uomo custode della sua opera, affidandogli l’incarico di coltivarla e di proteggerla. Vedo che qui ci sono decine di contadini e di contadine e voglio felicitarmi con loro perché custodiscono la terra, la coltivano e lo fanno in comunità. Mi preoccupa lo sradicamento di tanti fratelli contadini che soffrono per questo motivo e non per guerre o disastri naturali. L’accaparramento di terre, la deforestazione, l’appropriazione dell’acqua, i pesticidi inadeguati, sono alcuni dei mali che strappano l’uomo dalla sua terra natale. Questa dolorosa separazione non è solo fisica ma anche esistenziale e spirituale, perché esiste una relazione con la terra che sta mettendo la comunità rurale e il suo peculiare stile di vita in palese decadenza e addirittura a rischio di estinzione. 

    L’altra dimensione del processo già globale è la fame. Quando la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame. Dall’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile. So che alcuni di voi chiedono una riforma agraria per risolvere alcuni di questi problemi e, lasciatemi dire che in certi paesi, e qui cito il compendio della Dottrina sociale della Chiesa, “la riforma agraria diventa pertanto, oltre che una necessità politica, un obbligo morale” (CDSC, 300). Non lo dico solo io, ma sta scritto nel compendio della Dottrina sociale della Chiesa. Per favore, continuate a lottare per la dignità della famiglia rurale, per l’acqua, per la vita e affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra.

    Secondo, Casa. L’ho già detto e lo ripeto: una casa per ogni famiglia. Non bisogna mai dimenticare che Gesù nacque in una stalla perché negli alloggi non c’era posto, che la sua famiglia dovette abbandonare la propria casa e fuggire in Egitto, perseguitata da Erode. Oggi ci sono tante famiglie senza casa, o perché non l’hanno mai avuta o perché l’hanno persa per diversi motivi. Famiglia e casa vanno di pari passo! Ma un tetto, perché sia una casa, deve anche avere una dimensione comunitaria: il quartiere ed è proprio nel quartiere che s’inizia a costruire questa grande famiglia dell’umanità, a partire da ciò che è più immediato, dalla convivenza col vicinato. Oggi viviamo in immense città che si mostrano moderne, orgogliose e addirittura vanitose. Città che offrono innumerevoli piaceri e benessere per una minoranza felice ma si nega una casa a migliaia di nostri vicini e fratelli, persino bambini, e li si chiama, elegantemente, “persone senza fissa dimora”. È curioso come nel mondo delle ingiustizie abbondino gli eufemismi. Non si dicono le parole con precisione, e la realtà si cerca nell’eufemismo. Una persona, una persona segregata, una persona accantonata, una persona che sta soffrendo per la miseria, per la fame, è una persona senza fissa dimora; espressione elegante, no? Voi cercate sempre; potrei sbagliarmi in qualche caso, ma in generale dietro un eufemismo c’è un delitto. 
    Viviamo in città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie. Quanto fa male sentire che gli insediamenti poveri sono emarginati o, peggio ancora, che li si vuole sradicare! Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. E questo si vede oggi.

    Sapete che nei quartieri popolari dove molti di voi vivono sussistono valori ormai dimenticati nei centri arricchiti. Questi insediamenti sono benedetti da una ricca cultura popolare, lì lo spazio pubblico non è un mero luogo di transito ma un’estensione della propria casa, un luogo dove generare vincoli con il vicinato. Quanto sono belle le città che superano la sfiducia malsana e che integrano i diversi e fanno di questa integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Quanto sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che uniscono, relazionano, favoriscono il riconoscimento dell’altro! Perciò né sradicamento né emarginazione: bisogna seguire la linea dell’integrazione urbana! Questa parola deve sostituire completamente la parola sradicamento, ora, ma anche quei progetti che intendono riverniciare i quartieri poveri, abbellire le periferie e “truccare” le ferite sociali invece di curarle promuovendo un’integrazione autentica e rispettosa. È una sorta di architettura di facciata, no? E va in questa direzione. Continuiamo a lavorare affinché tutte le famiglie abbiano una casa e affinché tutti i quartieri abbiano un’infrastruttura adeguata (fognature, luce, gas, asfalto, e continuo: scuole, ospedali, pronto soccorso, circoli sportivi e tutte le cose che creano vincoli e uniscono, accesso alla salute — l’ho già detto — all’educazione e alla sicurezza della proprietà.

    Terzo, Lavoro. Non esiste peggiore povertà materiale — mi preme sottolinearlo — di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro. La disoccupazione giovanile, l’informalità e la mancanza di diritti lavorativi non sono inevitabili, sono il risultato di una previa opzione sociale, di un sistema economico che mette i benefici al di sopra dell’uomo, se il beneficio è economico, al di sopra dell’umanità o al di sopra dell’uomo, sono effetti di una cultura dello scarto che considera l’essere umano di per sé come un bene di consumo, che si può usare e poi buttare. 
    Oggi al fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione si somma una nuova dimensione, una sfumatura grafica e dura dell’ingiustizia sociale; quelli che non si possono integrare, gli esclusi sono scarti, “eccedenze”. Questa è la cultura dello scarto, e su questo punto vorrei aggiungere qualcosa che non ho qui scritto, ma che mi è venuta in mente ora. Questo succede quando al centro di un sistema economico c’è il dio denaro e non l’uomo, la persona umana. Sì, al centro di ogni sistema sociale o economico deve esserci la persona, immagine di Dio, creata perché fosse il denominatore dell’universo. Quando la persona viene spostata e arriva il dio denaro si produce questo sconvolgimento di valori.

    E per illustrarlo ricordo qui un insegnamento dell’anno 1200 circa. Un rabbino ebreo spiegava ai suoi fedeli la storia della torre di Babele e allora raccontava come, per costruire quella torre di Babele, bisognava fare un grande sforzo, bisognava fabbricare i mattoni, e per fabbricare i mattoni bisognava fare il fango e portare la paglia, e mescolare il fango con la paglia, poi tagliarlo in quadrati, poi farlo seccare, poi cuocerlo, e quando i mattoni erano cotti e freddi, portarli su per costruire la torre.
    Se cadeva un mattone — era costato tanto con tutto quel lavoro —, era quasi una tragedia nazionale. Colui che l’aveva lasciato cadere veniva punito o cacciato, o non so che cosa gli facevano, ma se cadeva un operaio non succedeva nulla. Questo accade quando la persona è al servizio del dio denaro; e lo raccontava un rabbino ebreo nell’anno 1200, spiegando queste cose orribili.

    Per quanto riguarda lo scarto dobbiamo anche essere un po’ attenti a quanto accade nella nostra società. Sto ripetendo cose che ho detto e che stanno nella Evangelii gaudium. Oggi si scartano i bambini perché il tasso di natalità in molti paesi della terra è diminuito o si scartano i bambini per mancanza di cibo o perché vengono uccisi prima di nascere; scarto di bambini.
    Si scartano gli anziani perché non servono, non producono; né bambini né anziani producono, allora con sistemi più o meno sofisticati li si abbandona lentamente, e ora, poiché in questa crisi occorre recuperare un certo equilibrio, stiamo assistendo a un terzo scarto molto doloroso: lo scarto dei giovani. Milioni di giovani — non dico la cifra perché non la conosco esattamente e quella che ho letto mi sembra un po’ esagerata — milioni di giovani sono scartati dal lavoro, disoccupati.

    Nei paesi europei, e queste sì sono statistiche molto chiare, qui in Italia, i giovani disoccupati sono un po’ più del quaranta per cento; sapete cosa significa quaranta per cento di giovani, un’intera generazione, annullare un’intera generazione per mantenere l’equilibrio. In un altro paese europeo sta superando il cinquanta per cento, e in quello stesso paese del cinquanta per cento, nel sud è il sessanta per cento. Sono cifre chiare, ossia dello scarto. Scarto di bambini, scarto di anziani, che non producono, e dobbiamo sacrificare una generazione di giovani, scarto di giovani, per poter mantenere e riequilibrare un sistema nel quale al centro c’è il dio denaro e non la persona umana.
    Nonostante questa cultura dello scarto, questa cultura delle eccedenze, molti di voi, lavoratori esclusi, eccedenze per questo sistema, avete inventato il vostro lavoro con tutto ciò che sembrava non poter essere più utilizzato ma voi con la vostra abilità artigianale, che vi ha dato Dio, con la vostra ricerca, con la vostra solidarietà, con il vostro lavoro comunitario, con la vostra economia popolare, ci siete riusciti e ci state riuscendo... E, lasciatemelo dire, questo, oltre che lavoro, è poesia! Grazie. 

    Già ora, ogni lavoratore, faccia parte o meno del sistema formale del lavoro stipendiato, ha diritto a una remunerazione degna, alla sicurezza sociale e a una copertura pensionistica. Qui ci sono cartoneros, riciclatori, venditori ambulanti, sarti, artigiani, pescatori, contadini, muratori, minatori, operai di imprese recuperate, membri di cooperative di ogni tipo e persone che svolgono mestieri più comuni, che sono esclusi dai diritti dei lavoratori, ai quali viene negata la possibilità di avere un sindacato, che non hanno un’entrata adeguata e stabile. Oggi voglio unire la mia voce alla loro e accompagnarli nella lotta.

    In questo incontro avete parlato anche di Pace ed Ecologia. È logico: non ci può essere terra, non ci può essere casa, non ci può essere lavoro se non abbiamo pace e se distruggiamo il pianeta. Sono temi così importanti che i popoli e le loro organizzazioni di base non possono non affrontare. Non possono restare solo nelle mani dei dirigenti politici. Tutti i popoli della terra, tutti gli uomini e le donne di buona volontà, tutti dobbiamo alzare la voce in difesa di questi due preziosi doni: la pace e la natura. La sorella madre terra, come la chiamava san Francesco d’Assisi.

    Poco fa ho detto, e lo ripeto, che stiamo vivendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi. Ci sono sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate. Quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, care sorelle e cari fratelli, si leva in ogni parte della terra, in ogni popolo, in ogni cuore e nei movimenti popolari, il grido della pace: Mai più la guerra!

    Un sistema economico incentrato sul dio denaro ha anche bisogno di saccheggiare la natura, saccheggiare la natura per sostenere il ritmo frenetico di consumo che gli è proprio. Il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità, la deforestazione stanno già mostrando i loro effetti devastanti nelle grandi catastrofi a cui assistiamo, e a soffrire di più siete voi, gli umili, voi che vivete vicino alle coste in abitazioni precarie o che siete tanto vulnerabili economicamente da perdere tutto di fronte a un disastro naturale. Fratelli e sorelle: il creato non è una proprietà di cui possiamo disporre a nostro piacere; e ancor meno è una proprietà solo di alcuni, di pochi. Il creato è un dono, è un regalo, un dono meraviglioso che Dio ci ha dato perché ce ne prendiamo cura e lo utilizziamo a beneficio di tutti, sempre con rispetto e gratitudine. Forse sapete che sto preparando un’enciclica sull’Ecologia: siate certi che le vostre preoccupazioni saranno presenti in essa. Ringrazio, approfitto per ringraziare per la lettera che mi hanno fatto pervenire i membri della Vía Campesina, la Federazione dei Cartoneros e tanti altri fratelli a riguardo.
    Parliamo di terra, di lavoro, di casa. Parliamo di lavorare per la pace e di prendersi cura della natura. Ma perché allora ci abituiamo a vedere come si distrugge il lavoro dignitoso, si sfrattano tante famiglie, si cacciano i contadini, si fa la guerra e si abusa della natura? Perché in questo sistema l’uomo, la persona umana è stata tolta dal centro ed è stata sostituita da un’altra cosa. Perché si rende un culto idolatrico al denaro. Perché si è globalizzata l’indifferenza! Si è globalizzata l’indifferenza: cosa importa a me di quello che succede agli altri finché difendo ciò che è mio? Perché il mondo si è dimenticato di Dio, che è Padre; è diventato orfano perché ha accantonato Dio.

    Alcuni di voi hanno detto: questo sistema non si sopporta più. Dobbiamo cambiarlo, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno. Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza violenza. E tutti insieme, affrontando i conflitti senza rimanervi intrappolati, cercando sempre di risolvere le tensioni per raggiungere un livello superiore di unità, di pace e di giustizia. Noi cristiani abbiamo qualcosa di molto bello, una linea di azione, un programma, potremmo dire, rivoluzionario. Vi raccomando vivamente di leggerlo, di leggere le beatitudini che sono contenute nel capitolo 5 di san Matteo e 6 di san Luca (cfr. Matteo, 5, 3 e Luca, 6, 20), e di leggere il passo di Matteo 25. L’ho detto ai giovani a Rio de Janeiro, in queste due cose hanno il programma di azione.

    So che tra di voi ci sono persone di diverse religioni, mestieri, idee, culture, paesi e continenti. Oggi state praticando qui la cultura dell’incontro, così diversa dalla xenofobia, dalla discriminazione e dall’intolleranza che tanto spesso vediamo. Tra gli esclusi si produce questo incontro di culture dove l’insieme non annulla la particolarità, l’insieme non annulla la particolarità. Perciò a me piace l’immagine del poliedro, una figura geometrica con molte facce diverse. Il poliedro riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso conservano l’originalità. Nulla si dissolve, nulla si distrugge, nulla si domina, tutto si integra, tutto si integra. Oggi state anche cercando la sintesi tra il locale e il globale. So che lavorate ogni giorno in cose vicine, concrete, nel vostro territorio, nel vostro quartiere, nel vostro posto di lavoro: vi invito anche a continuare a cercare questa prospettiva più ampia; che i vostri sogni volino alto e abbraccino il tutto!

    Perciò mi sembra importante la proposta, di cui alcuni di voi mi hanno parlato, che questi movimenti, queste esperienze di solidarietà che crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta, confluiscano, siano più coordinati, s’incontrino, come avete fatto voi in questi giorni. Attenzione, non è mai un bene racchiudere il movimento in strutture rigide, perciò ho detto incontrarsi, e lo è ancor meno cercare di assorbirlo, di dirigerlo o di dominarlo; i movimenti liberi hanno una propria dinamica, ma sì, dobbiamo cercare di camminare insieme. Siamo in questa sala, che è l’aula del Sinodo vecchio, ora ce n’è una nuova, e sinodo vuol dire proprio “camminare insieme”: che questo sia un simbolo del processo che avete iniziato e che state portando avanti!

    I movimenti popolari esprimono la necessità urgente di rivitalizzare le nostre democrazie, tante volte dirottate da innumerevoli fattori. È impossibile immaginare un futuro per la società senza la partecipazione come protagoniste delle grandi maggioranze e questo protagonismo trascende i procedimenti logici della democrazia formale. La prospettiva di un mondo di pace e di giustizia durature ci chiede di superare l’assistenzialismo paternalista, esige da noi che creiamo nuove forme di partecipazione che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune. E ciò con animo costruttivo, senza risentimento, con amore. 

    Vi accompagno di cuore in questo cammino. Diciamo insieme dal cuore: nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità che dà il lavoro.

    Cari fratelli e sorelle: continuate con la vostra lotta, fate bene a tutti noi. È come una benedizione di umanità. Vi lascio come ricordo, come regalo e con la mia benedizione, alcuni rosari che hanno fabbricato artigiani, cartoneros e lavoratori dell’economia popolare dell’America Latina.

    E accompagnandovi prego per voi, prego con voi e desidero chiedere a Dio Padre di accompagnarvi e di benedirvi, di colmarvi del suo amore e di accompagnarvi nel cammino, dandovi abbondantemente quella forza che ci mantiene in piedi: questa forza è la speranza, la speranza che non delude. Grazie. 

    ps. La nuvola delle parole è di http://www.vinonuovo.it 

    Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

    Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un...