Il lavoro nero va bene!


Provo a fare un intervento con lo sguardo generale di tutto il lavoro svolto nelle 4 regioni. 

Abbiamo visto i dati del lavoro sommerso. Sono impressionanti.
Ed abbiamo anche visto che i dati sono una sottostima del problema.

Abbiamo sentito che le persone non vengono a chiedere aiuto per avere maggiori diritti. Ma perché temono di perdere il lavoro (nero) che oggi hanno, soppiantate da qualcuno disposto ad averlo più nero ancora.

Abbiamo colto l'esistenza di un sistema organizzato, strutturato e persino efficiente.  In grado di sostenere, tollerare, coprire o alimentare il lavoro nero.

Abbiamo colto impotenza e rassegnazione. E timore a parlare. 

Allora diciamocelo... A fronte di tutto questo, quello che realisticamente viene da dire è: il lavoro nero va bene!

Al di là delle dichiarazioni di principio, la realtà è che ciascuno di noi (singoli, associazioni ed istituzioni comprese) si sente nei fatti impotente. Aspira astrattamente al bianco, ma si arrende ad accettare il grigio. In un movimento collettivo che è di immersione non di emersione.

E ciò che ci ritroviamo è una società in immersione. Cioè... finiamo tutti annegati!

Perché gli effetti di un sistema di nero li abbiamo visti e sono concreti, non teorici: meno diritti. 
Ma anche meno soldi per le pensioni, meno soldi per la malattia, spazio crescente alla criminalità...

A fronte di tutto questo, consapevoli del senso di limite, di impotenza e frustrazione che ci portiamo addosso, ma anche dei rischi che corriamo nel non fare nulla...cosa ci dice il lavoro fatto? A mio parere ci dice alcune cose chiare:

Ci dice che da soli non si può niente ma che forse assieme si può provare.
Non grandi cartelli teorici. Piccole reti locali. Lavoratori, imprenditori, istituzioni, sindacati, forze di polizia, scuole...Si possono formare tavoli territoriali, mettere a confronto le esperienze e costruire assieme soluzioni piccole ma pratiche e condivise. Sperimentazioni da provare, misurare, verificare.

Ci dice che non bastano le sole norme o i soli controlli.
Serve  un sistema di sanzioni ed incentivi, un lavoro politico, amministrativo ma anche un'azione profondamente culturale. Perché esiste (sia tra i lavoratori che tra i datori di lavoro) troppa gente che non ha alcuna consapevolezza. E gente che è consapevole ma non sa da che parte cominciare. C'è da fare coinvolgendo le imprese, le scuole, le università, le parrocchie...

Ci dice che non esistono solo buoni e cattivi.
Esistono datori di lavoro che vorrebbero regolarizzare e lavoratori che si rifiutano oltre che (ovviamente) il viceversa.

Ci dice che l'emersione non è un evento.
Di quelli che basta decidere con un click una volta per tutte. Perchè restare a galla nella legalità è come nuotare. Devi continuamente muovere gambe e braccia. E gestire il respiro, la fatica, i crampi... L'acqua nel naso, e quella volta che bevi...  È un processo che deve continuamente trovare soluzioni ed adattamenti a mille problemi concreti. E come nella metafora. A tuffarti ci metti un attimo. A uscire dalla piscina fai fatica e senti tutto il peso... 
E allora c'è bisogno di accompagnare datore di lavoro e lavoratore, assieme, in questo processo. Un processo anche lento, di emersione. Che in primo luogo prova ad invertire la progressione. E cerca di spostare verso sfumature di grigio più chiaro.

Ci dice che la povertà incide.
Ed incide il costo del lavoro ed il prezzo finale del prodotto. E quindi servono incentivi ma anche un lavoro sull'intera filiera di produzione. Che significa anche riconoscere il potere affidato alle nostre scelte di consumatori consapevoli.

E, come ha detto qualcuno, "Le Acli hanno la loro mission, ma gli aclisti non sono extraterrestri". 

Però forse da questa esperienza possiamo ricavare qualcosa.
Non la bacchetta magica, non la ricetta risolutiva. 
Ma una pista di lavoro con alcune indicazioni da sperimentare. 

Adesso, visto che questo è un lavoro che abbiamo svolto per un servizio che ci è stato affidato, per prima cosa riconsegneremo ciò che abbiamo scoperto all'Unar ed alle istituzioni nazionali. Perché (piccolo o grande che sia) possa essere un patrimonio a disposizione di tutti.

Poi, come Acli, dobbiamo considerare che ciò che abbiamo realizzato interpella direttamente noi. E ci dice qualcosa di merito ma anche di metodo.

Un nuovo metodo di fare politica.
Studiare i dati criticamente, ascoltare le persone andandole a cercare (perché lo sportello di prossimità non è un ufficio), interpellare gli esperti ed i testimoni in dialoghi non formali, individuare alcuni punti in comune. E le consensus conference. Che non sono solo un nome figo da scrivere per far scena ed ottenere i progetti. Significa ascoltare singolarmente e poi invitare, tutti assieme, i testimoni stessi e i soggetti significativi del territorio e dire: bene, da ciò che avete detto, noi abbiamo individuato queste 10 cose, come significative. Quali di queste possiamo considerarle comuni e condivise? Queste 5? Ok. Partiamo da qui. Il prodotto del lavoro sono 5 cose condivise. Ed è la rete territoriale che l'ha prodotta. Non è la stessa cosa che fare un comunicato sull'ultimo fatto di cronaca.

La credibilità di convocare. 
Forse non ovunque, ma in alcuni luoghi, le Acli hanno (forse più di altri e nonostante i limiti e le contraddizioni) la credibilità ed il riconoscimento per convocare persone, istituzioni ed organizzazioni. Per mettere assieme mondi diversi. E la capacità di convocazione (pure se imperfetta) è un patrimonio enorme che non può non essere riconosciuto e che non può andare sprecato. E' un capitale sociale da coltivare e su cui investire.

Continuare.
Questo è stato un progetto. Un'occasione specifica per fare alcune cose. Adesso dobbiamo capire come portare avanti questa esperienza: le reti territoriali, gli sportelli di prossimità, i percorsi di accompagnamento all'emersione e un investimento culturale in una sensibilizzazione non di superficie. Il come è da capire. Ma va trovato il modo. Senza aspettare di essere migliori, per farlo. Con la consapevolezza che mettersi in moto realmente su questo ci renderà migliori. 

*traccia dell'intervento a Bari il 29.09.2015




Fallire


Per essere innovativi serve assumere dei rischi. Ed è altamente probabile che le attività rischiose possano non funzionare. Ma se si ha paura di fallire non c'è innovazione.

Il fallimento è parte integrante del gioco quando si accetta la sfida dell'innovazione: assumersi il rischio di fallire é componente dell'apprendimento. 

Thomas Edison ha fatto migliaia di tentativi prima di inventare la lampadina e li descriveva dicendo "finora ho trovato 10.000 metodi non funzionanti".

Dispersivo, si dirà. 
Si perde tempo, si dirà. 
Costoso. 
Tutto vero. 
Ma non esiste alternativa al procedere per esperimenti. Continuamente. 

Perché il cambiamento non è un evento. È un processo. Ed il principio, anche per persone, imprese ed organizzazioni, é l'evoluzione. Sopravvive chi é in grado di adattarsi rapidamente ai continui cambiamenti cogliendo le opportunità, anche quelle che si presentano sotto forma di problemi.

La perfezione (impossibile) come obiettivo per sé e per gli altri produce frustrazione personale che diventa rabbia. Alimenta conflitti che servono a trovare un nemico esterno. Cui attribuire la colpa della distanza tra ciò che siamo e ciò che vorremmo (e forse potremmo) essere. Impedisce alleanze e cooperazione. E mantiene tutto fermo ed immobile, per paura di dover fare i conti con ciò che siamo. 

L'educazione all'innovazione passa per l'educazione al rischio. 
L'educazione al rischio poggia sull'educazione al limite ed al fallimento. 
L'educazione al limite previene la cultura dello scarto. 

Non ho ricette né personali né sociali. 
Solo sprazzi di consapevolezza. Mi pare.
Personale. Genitoriale. Associativa. Sociale. 

E, dopo questo week end ancora di più, l'idea che lo sport (praticato, non tifato) possa essere una grande leva per fare esperienza. 

E che la fede in un Dio che fa passare la salvezza da una morte di croce possa c'entrare qualcosa. 






giustizia e pace... (giorno 3)



Il terzo giorno è stato il giorno della politica.

E quel che mi resta in testa è la convinzione che il rapporto tra Acli e politica sia uno dei nodi (parzialmente) irrisolti di questa associazione. E che riuscire a trovare il punto di equilibrio in questo rapporto vorrebbe dire riuscire a risolvere (almeno parzialmente) anche il tema dell'identità e della mission... 
Che vuol dire equilibrio nel rapporto con il potere ed il denaro. 
Ma anche rapporto con il sogno, con l'orizzonte, con la prospettiva...  
E con i padri. E con il tempo... 

E poi nella relazione del Presidente c'era la fantomatica parola: congresso! 

E qui restano più domande che risposte...
Cosa c'entrano i congressi con la politica? 
Cos'è in fondo un congresso? 
Una scelta di direzione? Un confronto di idee? Un momento di sintesi o di lacerazione? 
Oppure una bolla sospensiva dalla realtà? un rito da celebrare? una gara da vincere? un dazio da pagare? una prova di sopravvivenza? 
La democrazia (anche interna) è un valore. Innegabile ed irrinunciabile. 
E la dimensione di scelta tra più istanze o persone non è un disvalore. 
Ma le forme in cui la viviamo fanno fatica ad essere generative di senso. 

Alternative? Non ne vedo. 
Vedo il bisogno di capire come darci strumenti per non smarrirci.
Personalmente e associativamente.  
(O almeno per limitare i danni...)  

Addendum: grazie a Davide che alla domanda "cos'è un congresso?" risponde così... 

Di acqua e di respiro 
di passi sparsi 
di bocconi di vento 
di lentezza 
di incerto movimento 
di precise parole si vive 
di grande teatro 
di oscure canzoni 
di pronte guittezze si va avanti 
di come fare 
di come dire 
di come fare a capire 
di alti 
di bassi 
battiti del cuore 
fasi della luna 
e ritmi della terra 
di intelligenza 
di intermittenza 
si vive di danze 
di ballo sociale 
di una promessa 
di un faccia differente 
di mediocri incontri 
di bellezze 
di profumi ardenti 
di accidenti 
rotolando si gira, si balla 
si vive, si fa festa 
quella, questa 
si picchia forte col piede 
nella danza 
e si sbaglia il passo 
si vive di fortune raccontate 
e di viaggiare 
e si cammina stanchi 
è di lavoro 
è opposizione 
è corruzione 
si vive di lenta costruzione 
e di tempo che ci inchioda 
e di diavoli al culo 
di fianchi smorti 
di fuochi desiderati 
si vive di pane 
di speranza di bere 
un vino buono per l'estate 
rotolando si vive 
di discorsi leggeri 
cori 
di maschere notturne 
canto e discanto 
e giù divieti 
e oli sulla pelle 
e sorrisi di fantasmi 
e fantasmi fotografati 
e giù campane annuncianti 
si vive di sguardi fermi 
di risposte folgoranti 
di lettere partite 
che aspettiamo in cima al mistero 
di essere così soli. 

Di questo si vive 
e di tant'altro ancora 
che inseguiamo come i cani 
respirando dal naso 
per finire invece 
ancora sorridenti, ancora abbaianti 
di un dolore a caso.

(Discanto - Ivano Fossati)

Giustizia e pace si baceranno (giorno 2)


Lo spettacolo.
Lo spettacolo è "Le quattro stagioni. Statistica e altri materiali recitati e narrati" - Incontro di studi Acli 2015  una sorta di racconto parallelo della storia delle Acli e della storia d'Italia.
Una specie di contaminazione tra generi. La statistica, il saggio, il teatro, la musica... segui e non sai se ti trovi in una sorta di storytelling o in un'analisi sociologica. Questo un po' spiazza il piano razionale e attiva stimoli ed emozioni. Che permettono una comprensione diversa. Ed in fondo, a modo suo, forse anche questo è un tentativo di ermeneutica nuova.
Però è la narrazione di una storia guardando indietro. Ricostruendo solo il punto di vista del nonno.
Ed in sala e su twitter è nato un po' un dibattito:

Andrea Bossi: esempio di questo paese e dell'associazione: vecchi che raccontano passato e presente. Tempi nuovi spiriti nuovi.
Paola Villa: lo stavamo dicendo... serve lettura della storia fatta anche da un'altra generazione. E scrivere il seguito.
Matteo Bracciali: cosa risponderebbe il pronipote al nonno (prob con una mail)?
Paola Villa: (Secondo me risponderebbe con un periscope in diretta) scriviamolo il seguito della storia declinato al futuro!
Santino Scirè: nuove generazioni protagoniste del futuro! Acli una grande storia... adesso abbracciamo il futuro! 
Ma anche....
Davide Caviglia: Storia Italia Iref. Dopoguerra di ricostruttori. Poi tanti predatori, alcuni longevi quanto basta per tornare come maestri. 

Il lavoro di gruppo. 
Progettare i circoli. Una ventina di persone, 6 scenari. Ed il confronto sul "cosa fare". Bella la voglia di partecipare e raccontarsi. Bello lo scambio. E l'idea di continuare il dibattito a distanza (chissà se riusciremo davvero...).

Il circolo: cerchio chiuso od aperto. 
Cerchio senza circonferenza di bordo?
Il concetto di cerchio. Qualcosa che a prima vista appare in qualche modo perfetto - equidistante tra tutti i punti del perimetro e il suo centro, così dice la geometria - ma anche chiuso in sé stesso. Parrebbe che il termine enciclica sappia di circolo, quasi club privato, delimitato chiaramente da ciò che è al di fuori.
La geometria classica ci offre anche un'altra definizione di cerchio: in mancanza di indicazioni ci riferiremo al cerchio chiuso, cioè delimitato dalla linea di circonferenza. Ma se non consideriamo la circonferenza di bordo diremo che il cerchio è aperto. Si tratta di un cambio totale di prospettiva, semplice ma efficace. E' a partire dalla prospettiva con cui guardiamo le cose che queste prendono forme aperte o chiuse. Non è necessario pensare un cerchio con il suo perimetro, il bordo appunto, quasi fosse un giardino recintato, una proprietà in cui non si può entrare. Se eliminiamo la recinzione la realtà circolare resta e ha sempre una sua centratura, ma è comunicante, debordante, diffusiva verso l'esterno. 
Il circolo come spazio fisico e simbolico dove circolano idee, cose, persone, processi...
Il circolo luogo, da aprire e mettere a disposizione di altri.
Il circolo gruppo di persone.

Il bisogno di partire dalla realtà e non da noi e dai nostri problemi. 
Il "cosa posso fare per risolvere il distacco tra circolo e provinciale, per attirare i giovani, per avere più gente, più idee, più partecipazione...." non ci porta da nessuna parte. Ci fa solo avvitare su noi stessi. Come viti spanate.  
Il "di cosa c'è bisogno nel mio territorio e nella mia comunità? Cosa stanno facendo altri a cui posso collegarmi portando il mio contributo? Cosa posso mettere a disposizione?" forse ci offre piste di soluzione. Nel micro come nel macro...  

Giustizia e pace si baceranno? (giorno 1)


Ci vuole più tempo per tornarci sopra. Ma il primo giorno di #acliarezzo2015 è andato e per ora mi appunto solo, in modo un po' confuso e frammentato, alcuni stimoli.

Titolo: Giustizia e pace si baceranno.
Io: giustizia e pace si baceranno?
Davide: in questo mondo?
Suor Giovanna: non serve né punto interrogativo né punto esclamativo. Non è promessa, è visione. Senza visione non si può fare.
E mi viene in mente l'episodio "Se lo vedete cominciate".
E mi viene in mente don Alberto con la riflessione sul Regno.

Come combattere le disuguaglianze.
Ognuno a suo modo e con ampia quantità di grafici e dati, a me pare che tutti i relatori abbiano contribuito a disegnare il quadro di un paese bloccato in cui impegni e doti individuali non sono sufficienti a permettere a ciascuno di cambiare un destino già scritto.
E viene in mente, ovviamente, don Milani.
E viene in mente il "far spazio ai poveri senza farsi spazio con i poveri".
E come questo oggi necessiti, anche politicamente, di tornare ad essere il tema del dibattito e di elaborazione di proposta.

Quali disuguaglianze.
Età, genere, nord/Sud. Sono emerse.
Ed agli esperti chiederei, esistono anche differenze tra città e campagna? Un po' la distanza tra smart city ed aree interne?
Ma nel complesso è indubbio che colpisca l'enorme sbilanciamento generazionale. Che però dopo i grafici di oggi mi appare anche più chiaro: non è questione di guerre tra classi di età. Non è questione di anziani con più peso politico dei giovani. E' questione di una società bloccata, che non riesce a ridisegnarsi sull'oggi, né ad essere proiettata sul domani.
Un paese sostanzialmente insostenibile.

Quale sviluppo.
Non c'è sviluppo sostenibile se si permettono disuguaglianze insostenibili.
Ma a me pare che ieri sia emerso anche di più.
Crescita, povertà e disuguaglianza sono tre questioni da leggere assieme.
Pace e giustizia ed il bacio declinato al futuro.
Il bisogno di ridisegnare una ermeneutica dell'oggi. 

La possibilità di essere lobby di futuro.
La nostra vecchia quarta fedeltà al futuro (che guarda caso, mi viene in mente ora, era contemporanea alla proposta provocatoria che ho sempre trovato eccentrica di "un bimbo un voto").
Ho bisogno di tornarci con calma. Ma è un nodo.

Cercate il vostro carisma specifico.
Qualcosa di cui c'è bisogno.
Qualcosa che sapete fare.
Per far spazio ai poveri.
Per essere costruttori di una società più giusta e in pace.
Non lo so. Ma credo c'entri qualcosa lo scegliere di non voler rappresentare una parte, una classe... Scegliere di voler rappresentare l'interesse complessivo, la fatica di tenere assieme, una forza che cerca di essere collante di ricomposizione... il poliedro, il popolo...
E vediamo da domani
cosa emerge...

Riusciamo a pensare al circolo come ad un cerchio senza la conferenza di bordo?

Cerchi, circoli e quadrati... 



Riusciamo a pensare al circolo come ad un cerchio senza conferenza di bordo? 

Il concetto di cerchio. Qualcosa che a prima vista appare in qualche modo perfetto - equidistante tra tutti i punti del perimetro e il suo centro, così dice la geometria - ma anche chiuso in sé stesso. Parrebbe che il termine enciclica sappia di circolo, quasi club privato, delimitato chiaramente da ciò che è al di fuori.

La geometria classica ci offre anche un'altra definizione di cerchio: in mancanza di indicazioni ci riferiremo al cerchio chiuso, cioè delimitato dalla linea di circonferenza. Ma se non consideriamo la circonferenza di bordo, diremo che il cerchio è aperto. 

Si tratta di un cambio totale di prospettiva, semplice ma efficace. E' a partire dalla prospettiva con cui guardiamo le cose che queste prendono forme aperte o chiuse. Non è necessario pensare un cerchio con il suo perimetro, il bordo appunto, quasi fosse un giardino recintato, una proprietà in cui non si può entrare. Se eliminiamo la recinzione la realtà circolare resta e ha sempre una sua centratura, ma è comunicante, debordante, diffusiva verso l'esterno. 

Il circolo come spazio simbolico dove circolano idee, cose, persone, processi...
Il circolo come luogo, da aprire e mettere a disposizione di altri.
Il circolo come gruppo di persone. 

Siamo sintonizzati su un mondo che non esiste più. Dobbiamo sintonizzarci sull’oggi. 
Abbiamo bisogno di (ri?)scoprire il nostro carisma specifico.  
Abbiamo bisogno di non partire dai nostri bisogni e nostri problemi.

Il "cosa posso fare per risolvere il distacco tra circolo e provinciale, per attirare i giovani, per avere più gente, più idee, più partecipazione...." non ci porta da nessuna parte. Ci fa solo avvitare su noi stessi. Come viti spanate.  

Il "di cosa c'è bisogno nel mio territorio e nella mia comunità? Cosa stanno facendo altri a cui posso collegarmi portando il mio contributo? Cosa posso mettere a disposizione?" forse ci offre piste di soluzione. Nel micro come nel macro...   

(sintesi, incompleta e parziale, del lavoro di gruppo in INS2015 ad Arezzo moderato con Emiliano Manfredonia) 

Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un...