Ci prendiamo una stazione?


Di Daniele Petrocca (Acli Savona)
Credo sia uno spunto interessante per attività che potrebbero fare le Acli.
Attualmente sono circa 1.700 le stazioni impresenziate della Rete Ferroviaria Italiana che il Gruppo FS Italiane sta concedendo tramite contratti di comodato d’uso gratuito alle associazioni e ai comuni affinché siano avviati progetti sociali che abbiano ricadute positive sul territorio e per la qualità dei servizi offerti nelle stesse stazioni.
Di queste, circa 345 stazioni, corrispondenti ad una superficie di oltre 63.683 mq già sono state assegnate.
E’ stato inoltre avviato un nuovo progetto di riqualificazione per il riuso sociale – ambientale degli spazi grazie alla sottoscrizione di Protocolli d’Intesa con la Regione Toscana, Legambiente, AITR (Associazione Italiana Turismo Responsabile), CSVnet (Centri di Servizi per il Volontariato) e Legacoop Sociali.
Un esempio importante e recente di progetto di riqualificazione del patrimonio è stata la trasformazione di parte della stazione di Ronciglione in casa di accoglienza per famiglie con bambini affetti da malattie oncologiche. La stazione è stata ceduta in comodato d’uso gratuito per sei anni, ora è del tutto trasformata e gestita dall’ associazione Cuore di Mamma.
Fanno parte del Patrimonio FS anche 3.000 km di linee ferroviarie dismesse, di cui 325 km sono stati destinati a greenways: piste ciclabili e percorsi verdi accessibil a tutti, riservati alla mobilità dolce. Il Gruppo vuole infatti definire un Piano Nazionale di Greenways, seguendo l’esempio di altre nazioni europee, come la Spagna, con il coinvolgimento delle Istituzioni, in particolare del Ministero dell’Ambiente, delle Regioni, degli Enti Locali e delle principali Associazioni ambientaliste.
http://www.fsitaliane.it/fsi/Impegno/Per-le-Persone/Riutilizzo-Patrimonio-FS-Italiane

Minimo comune multiplo


di un lavoratore delle Acli 
Sarebbe interessante iniziare dal minimo a partire dalla propria mission: accompagnare la gente perché possa rispondere ai bisogni sociali e personali minimi. Penso sia un’esigenza essenziale in una società povera di relazioni. Quel minimo si pone a servizio dell’uomo e della donna nelle loro declinazioni di cittadino e cittadina, di lavoratore e lavoratrice, di cristiano e cristiana.
È possibile? Oggi possiamo indicare alcune esigenze basilari sulle quali impegnare un’associazione di promozione sociale?
Quando le Acli scoprono il minimo, hanno potenzialità per essere luogo di aggregazione della socialità, di promozione di cittadinanza attiva, di tutela della dignità delle persone. È possibile mettere a sistema buone pratiche sparse?
Quel minimo lo trasformano in comune. Le Acli hanno questa qualità speciale: costruire reti di condivisione, che diventano moltiplicatore sociale quando perdono tempo nella cura e nella custodia delle relazioni.
Il minimo in comune diventa moltiplicatore di azione sociale quando mostra Acli attraenti per il loro sguardo di speranza che non si arrende, piuttosto che affaticate nelle occupazioni quotidiane e attardate nella gestione della propria governance.
Quel minimo parte dalla consapevolezza di essere uomini e donne in carne e ossa al servizio degli uomini e donne in carne e ossa non di un’idea.
Per iniziare dal minimo oggi occorre avere il coraggio di proporre una visione di uomo. La Chiesa italiana rifletterà tra pochi giorni sul nuovo umanesimo.
Le Acli verso quale visione di umanità si dirigono: narcisista o solidale; tecnocratica o democratica; individualista o personalista, consumista o generatrice.
Le tre fedeltà aiutano a rispondere, perché indicano tre relazioni per leggere la nostra storia: quelle della città, del mondo della produzione, della comunità ecclesiale. Come vivere pienamente la città attraverso la crescita della partecipazione? Come costruire un’economia sostenibile per puntare a una ricchezza per tutti? Come portare la sapienza della profezia cristiana nel dialogo con il mondo?
Prendere a cuore le relazioni, coltivarle nella quotidianità potrebbe essere una via aclista per leggere il nuovo umanesimo.
Le persone nelle loro comunità sono il minimo comune multiplo. Metterle al centro nei luoghi di lavoro, a iniziare da quel luogo di lavoro che per molti sono le Acli, significa attivare una nuova forma di responsabilità e di libertà che valorizza la condivisione di una vocazione.
Mettere al centro la persona nella città a iniziare dalle esperienze di volontariato nei nuclei e circoli che dovrebbero aspirare a rendere protagonisti i cittadini nelle loro comunità, significa attivare percorsi di partecipazione che danno linfa a una democrazia piatta.
Mettere al centro la persona nella Chiesa significa aprire nuovi dialoghi con le comunità per favorirne l’uscita dalle mura parrocchiali e accompagnarle allo scoperto, lì dove le Acli hanno vissuto, per 70 anni, come un avamposto.

Far collaborare il fenicottero, il porcospino, le porte e il campo... è possibile!



di una lavoratrice Acli 
“E tu chi sei?” domandò il bruco. […] Intimidita Alice rispose “Io… a questo punto quasi non lo so più, signore, o meglio, so chi ero stamattina quando mi sono alzata, ma da allora credo di essere cambiata più di una volta”. Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie
Il cambiamento non è un proclama, il cambiamento di suo non è minaccioso…è solo cambiamento, ed è necessario adattarsi a quello esterno per sopravvivere. E noi stiamo cambiando.
Alice nel Paese delle Meraviglie è il racconto di una bambina alle prese con scenari e personaggi strani e sempre diversi, che, interagendo con lei e lei con loro, la modificano continuamente e la spingono a interrogarsi su se stessa. La partita a croquet della regina contenuta nel romanzo è un’abile metafora che possiamo utilizzare per spiegare la complessità del momento: non c’è solo il giocatore che decide le sorti di una partita, studiando la traiettoria, calibrando il tiro, ecc. ma in gioco c’è anche il campo; e la mazza con cui si gioca è viva e interferisce nella partita, così come la palla che è un porcospino e si muove, che va dove vuole, indipendentemente dalla nostra volontà e le porte? Anch’esse esseri viventi. Possiamo solo sperare, oltre che essere buoni giocatori, di influenzare fenicottero, porcospino, porte e campo per giocare, ovvero interagire costantemente e con abilità rispetto al contesto, avendo chiaro il nostro fine.
Il cambiamento esterno può diventare minaccioso e pericoloso se non lo si comprende e non lo si affronta in modo adeguato, se l’identità della persona o dell’organizzazione che lo sta vivendo non è forte o se non si ha chiaro quale ruolo si debba o si voglia giocare in un contesto che, nel tempo, si è modificato e che ancora si modificherà.
Quando si verificano questi casi, le risposte al cambiamento o non vengono date (rinviando ad un generico “dobbiamo lavorare per un cambiamento”, intendendo magari anche una futura modificazione profonda e salvifica…), oppure vengono fornite sulla base di vecchi schemi che non soddisfano più la domanda. Spesso, ancora in questi casi, nelle organizzazioni i vertici spingono per accentrare, convinti di poter meglio rispondere alla situazione esterna che via via appare più complessa e pericolosa; in realtà ciò non avviene (e perché dovrebbe accadere se il problema è il modello generale, lo schema di riferimento di risposta adottato e non le singole azioni?) e le strutture si burocratizzano e determinano una lacerazione fra le persone e l’organizzazione (e le persone, nel frattempo, elaborano e magari attuano schemi divergenti di fronteggiamento della situazione).
Ecco, ritengo che ora il focus di attenzione perciò non possa essere il concetto di necessità di cambiamento, o la ricerca di metafore che lo interpretino (seppur utili per introdurre i temi), ma i termini chiari della risposta ad esso, risposta che deve essere concreta e strutturata in una proposta di intervento organica e di sistema, politica e tecnicamente definita.
Comunque se lo scenario della partita su richiamata è oggettivamente ansiogeno, c’è anche da dire che nella realtà, mai come adesso, in un momento di grande trasformazione sociale, normativa, culturale, emergono non solo degli scenari esterni minacciosi fatti di tagli, crisi e ridimensionamenti, ma anche scenari affascinanti, sfidanti, ancora parzialmente inesplorati per il Terzo Settore e per il sistema Acli e che danno la possibilità di ripensarsi e di innovarsi, lasciando ben salde le proprie radici nelle finalità associative e nelle sue fedeltà. Finalità e fedeltà che vanno ri-narrate, ricondivise e vivificate, soprattutto tramite azioni concrete, affinché quanto l’associazione “professa” e quanto “attua” siano coerenti e mai divergenti, a cominciare dalla quotidianità dei volontari, dei collaboratori e dei lavoratori dell’associazione e delle imprese di sistema che ne costituiscono, di fatto, con i soci e gli utenti, veri e propri rappresentanti.
Se è vero che la necessità di cambiamento nasce soprattutto da esigenze esterne, non può essere di certo affrontata guardando solo all’interno, ma confrontandosi in modo onesto con l’esterno stesso, affinando le nostre competenze e i nostri saperi, accogliendo punti di vista divergenti e non cercando solo delle strategie di adattamento al contesto, ma sforzandosi di modificare lo stesso scenario. Ho l’impressione che mai come adesso sia possibile cogliere e re-interpretare in chiave innovativa il rapporto fra l’agire che le ACLI possono porre in campo e i modelli emergenti dal “fuori”; basti pensare alle nuove forme di economia che si stanno diffondendo anche in Italia: le forme dell’economia della condivisione, sostanziate spesso dalla nascita di comunità e reti sociali collaborative ad impatto economico. Queste nuove forme sociali lasciano spazi insperati fino a poco tempo fa, spazi che consentirebbero di innovare e professionalizzare “mestieri” antichi che l’associazione da sempre svolge, anche assieme alle imprese di sistema. Queste nuove forme sono potenzialmente distorsive dell’attuale modello economico (si pensi solo alla recente polemica su AirBnb a Barcellona) e generano ulteriori sfide, come quella di promuovere una buona economia collaborativa, e non necessariamente solo non profit, che non intacchi il modello tradizionale a cui sono legati ovviamente la quasi totalità dei posti di lavoro esistenti, ma ad esso si affianchi, guardando a soggetti specifici, a partire da quelli a cui guarda anche oggi il sistema. Sarà necessario ricercare un nuovo equilibrio, una forma armonica di convivenza fra diverse forme di economia, che migliori la vita delle persone, che crei occupazione, salvaguardando a lungo termine il welfare sociale. E’ un’economia definita in primo luogo dalle relazioni e su questo il sistema potrebbe spendersi.
Quali possono essere gli ambiti di applicazione?
Innanzitutto i sistemi di welfare, per quello pubblico già oggi si denotano grandi carenze e in prospettiva sappiamo che potrà contare su minori risorse pubbliche. In questo ambito è possibile promuovere reti collaborative territoriali capaci di elaborare e proporre soluzioni di welfare locali in cui le Acli possono partecipare co-disegnando e organizzando un mix integrato di iniziative associative (a partire dai Circoli, a finanziamento pubblico, a finanziamento 5*1000, basate sul volontariato); servizi al cittadino e alle famiglie (a prezzi competitivi rispetto ai soggetti esclusivamente profit); servizi alle imprese per affiancarle nell’elaborazione di piani di smart working, di welfare aziendale e di conciliazione, sia nell’accesso alle risorse pubbliche e alle agevolazioni fiscali previste per le aziende; partnership con le pubbliche amministrazioni per l’organizzazione di servizi socio-educativi e socio-sanitari. Un filone comune (es: Acli, ENAIP, CAF, Patronato, US ACLI, ecc.), su cui si può intervenire in modo specializzato e differenziato con le associazioni (anche i livelli di base) e con le imprese di sistema, ciascuno con la propria vocazione e competenza, guardando a destinatari specifici (socio, cittadini, altre organizzazioni del Terzo Settore, aziende, Pubbliche Amministrazioni).
Ma anche la tutela del lavoro e i servizi ad esso collegati sono piattaforme interessanti per pianificare strategie di lavoro comune, così come l’ambito dei diritti di cittadinanza (immigrazione, pari opportunità, ecc.).
L’associazione e i servizi sono già adesso in larga misura osmotici, non vanno separati, ma meglio specializzati e gestiti, almeno su alcuni ambiti caratterizzanti quali il lavoro e il welfare, in modo integrato: soci che divengono clienti/utenti delle imprese di sistema e viceversa, pubbliche amministrazioni che possono trovare agevole un interlocutore unico/unitario da valorizzare come partner sono meccanismi di forza. Occorre dare però un nuovo assetto all’organizzazione che sostiene questi processi, a partire dalla struttura nazionale e dal suo rapporto con i circoli, le reti e con le imprese, alleggerendola in alcune sue parti e dotandola di unità organizzative nuove impegnate a lavorare sulle esigenze dell’attuale contesto, che offrano servizi all’interno oltre che all’esterno. Occorre impegno e investimento in ricerca e innovazione, pianificazione strategica e progettazione, comunicazione e marketing. La governance complessiva di tutto questo è una sfida che chiama in causa competenza e responsabilità.
Un processo trasformativo che si attivi guardando a proposte concrete che si collocano in queste tipologie di scenari offre la possibilità di confronti fuori dalla retorica e di attivare strategie differenziate che tengano conto veramente della centralità dei territori e della loro capacità di ascolto e elaborazione (dal contributo di Lodi si diceva anche di personalizzazione) degli interventi, ma in quadro comune, codificato, comprensibile anche all’esterno delle ACLI, dove ogni livello associativo e ogni impresa agiscono sinergicamente.
Spero possa nascere presto una fase di costruzione di un nuovo modello possibile e sostenibile di sistema, perché questo attuale, per forza di cose, volenti o nolenti noi tutti, ne uscirà fortemente ridimensionato. Mi auguro sia una fase fatta di ascolto a tutti i livelli, confronto (interno ed esterno), condivisione, sperimentazione, sintesi e ancora azione, utilizzando metodi nuovi (è possibile superare il modello “gruppo di lavoro”…) in cui si possa formare una sorta di “mente collettiva” che, come ricorda Weick, non nasce dal pensiero, ma dall’azione: “un contributo coscienzioso attiva una mente collettiva non appena comincia a convergere, integrare, assistere ed essere definito in rapporto ai requisiti immaginati di un’azione congiunta”.

Acli Capaci di trasformazione




Direzione Nazionale ACLI – 27/28 ottobre 2015 – Sottogruppo Sviluppo

ACLI CAPACI DI TRASFORMAZIONE

2 punti fermi da considerare
10 ipotesi di trasformazione da confutare
4 ambiti da esplorare


2 punti fermi…

IL CAMBIAMENTO Tutto quello che abbiamo intorno ci dice con chiarezza che siamo
alla fine di un’epoca. Il che può voler dire che siamo all’inizio di un’epoca. Non sto
dicendo che è una buona notizia. Non sto dicendo che è una cattiva notizia. Sto
dicendo che dobbiamo decidere se vogliamo aggrapparci a quel che resta del prima o
scegliere cosa c’è dopo. Un conto è portarsi dietro dei valori. Un conto è portarsi dietro
dei servizi, dei modelli che ci sono stati in un determinato momento ma che non è
detto che debbano esserci nel dopo. (Giovanni Fosti #Apertialcambiamento Acli
Lombardia).

L’INNOVAZIONE SOCIALE “Definiamo innovazioni sociali le nuove idee (prodotti,
servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali in modo più efficace delle
alternative esistenti e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove
collaborazioni. In altre parole innovazioni che sono buone per la società e che
accrescono le possibilità di azione per la società stessa (Definizione Innovazione
Sociale secondo Libro Bianco dell’Innovazione sociale)

Obiettivo del sottogruppo di lavoro:
A partire dalla conferma o confutazione di 10 ipotesi di trasformazione, costruire
una lettura di 4 scenari in grado di offrire elementi per identificare piste di sviluppo,
linee di servizi, prodotti ed attività per le Acli (complessivamente intese). E

contribuire alla costruzione condivisa di una visione, di un’idea, di una narrazione

Documento completo da scaricare: Acli Capaci di trasformazione

Ikea Family, Carta Nectar, Decathlon e via dicendo...


di Roberto Toninelli (Acli Brescia)
Provo anch’io a condividere alcune riflessioni su questo spazio virtuale, per dare il mio contributo a questo tentativo di immaginare le Acli che vogliamo. E per farlo parto da una parola, che dovrebbe stare alla base del nostro “esserci” nell’associazione e pure del nostro sistema democratico. La tessera.
Che il numero dei tesserati sia in calo, è (purtroppo) quasi fisiologico in questi anni di crisi della partecipazione e dello strumento “tessera”. Nei portafogli degli italiani, lo spazio che prima era occupato dalle tessere (di associazioni, partiti, sindacati), ora è utilizzato per le carte di credito e soprattutto per le cosiddette fidelity carddella grande distribuzione: Ikea Family, carta Nectar, Decathlon e via dicendo. Ma non è solo una questione di spazio occupato nel portafogli, ma di percezione dell’idea di tessera. Noi sappiamo bene la differenza (abissale) che c’è tra l’aderire e l’impegnarsi in una associazione, e l’avere una card che mi permette di avere alcuni sconti riservati ai cliente più affezionati. Eppure per moltissime persone la differenza non è così scontata. A tutti noi credo sia capitato di sentirci domandare “ma che vantaggi ho se faccio la tessera delle Acli?”. Questa può essere una sfida per noi. Può anche andare bene il cercare di offrire nuove convenzioni per i soci, ma non dobbiamo certo scimmiottare le logiche del marketing e del commercio. Riusciamo a comunicare il bello dello stare dentro un’associazione che ogni giorno cerca di rendere migliore la comunità nella quale viviamo? Creando spazi di socialità perché le persone si riapproprino del loro protagonismo, secondo la logica evangelica che mette la persona al centro di tutto? Per farlo dobbiamo aiutare le persone a passare dalla logica del “consumatore” a quella del cittadino, che esiste in quanto tale (e non perché cliente) ed è membro di una comunità (e non di un mercato). Credo che questa sia la vera sfida che abbiamo di fronte.
Come fare questa cosa dobbiamo capirlo insieme. Ma siamo già sulla buona strada! Moltissime delle attività che funzionano di più nei nostri circoli sono fatte per offrire dei servizi alle persone e alle famiglie: sportelli, punti famiglia, doposcuola, corsi di tutti i tipi e tanto altro. Cose fantastiche e delle quali le nostre comunità hanno un estremo bisogno, ma che possono essere realizzate e proposte in modi diversi. Perché la vera sfida è quella di generare vera partecipazione, di fare in modo che chi partecipa alle nostre iniziative, lo faccia “insieme” ad altri e facendosi venire la voglia di fare qualcosa per la propria comunità. Dobbiamo innescare meccanismi che aiutino la gente a “sortire insieme i problemi” e non da soli, come diceva don Lorenzo Milani. Ottima cosa fare degli sportelli per chi cerca lavoro. Ma se provassimo anche a mettere insieme chi vive questa situazione perché possa condividere e cercare di trovare una soluzione “insieme”? Organizzando degli incontri, facendo dei gruppi, aiutando le persone a condividere la loro situazione, non limitandosi solo alla dimensione dello “sportello”. Che è già tanto ma non basta. Sicuramente è un compito difficile, ma è il nostro.
Faccio un altro esempio, citando un’esperienza che negli ultimi anni è stata fatta propria da molti circoli Acli: i Gruppi di acquisto solidale. Possono essere un ottimo strumento per riattivare la partecipazione, purché non si limitino ad essere una “centrale di acquisti” per pagare di meno i prodotti biologici. I Gas possono aiutare chi si avvicina per un’esigenza di tipo “familiare” ad allargare l’orizzonte al livello comunitario e politico, conoscendo dei possibili modelli di nuova economia, ragionando insieme su come cambiare il nostro sistema economico e su cosa possiamo fare (insieme, come famiglie) per sensibilizzare le nostre comunità su certi temi, impegnandosi per azioni concrete sul territorio. Il gas parte dalla necessità (familiare) di gestire gli acquisti. Ma i Gas delle Acli, oltre a fare questo, devono andare oltre, introducendo il livello “comunitario” e politico.
Insomma c’è modo e modo di fare le cose. E noi possiamo farle in modo che la gente torni a percepire che essere delle Acli (e magari fare la tessera, ma questo è un discorso più complesso…) ha dei vantaggi. Eccome! Non dei vantaggi solo per se stessi, ma per tutti.

Diamo i numeri!


Il blog esiste dal 17 ottobre.
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La gran parte sono dall’Italia. Ma ce ne sono anche 58 dagli USA, 14 dal Regno Unito, 12 dal Belgio, 6 dal Brasile e dai Paesi Bassi, 2 da Irlanda, Francia, Grecia e Argentina.
In 12 giorni ci sono stati 1405 visitatori.
Noi ne siamo contenti!
E ricordiamo che iltempostascadendo
Perché il 15 novembre si chiude.
E ricordiamo  perchèpiugiusto
Raccogliere idee per contribuire a capire che sfide sociali raccogliere e come.
grazie e avanti.
Stefano, Santino, Paola, Andrea, Roberto e Matteo.


Ut unum sint


di Marco Livia 
Parto da una prima considerazione: non c’è solo un modo + giusto e uno + sbagliato di fare le cose, ma si deve ricercare, il più delle volte, una terza via.
È l’essenza della democrazia la mediazione, che non significa accontentare o accontentarsi di un risultato minore, ma mettersi in gioco, per andare oltre l’ostacolo, condividere con gli altri le proprie idee con la capacità tutta cristiana di perderle per ritrovarle insieme agli altri nuove, rigenerate, migliorate.
Conoscere ed imparare dal passato, confrontarsi con il presente, immaginare il futuro, decidere la rotta, fare scelte anche difficili o piene di incognite è tutto ciò che rende affascinante la vita di un uomo e di una donna, di un socio, di un membro attivo di un’associazione, di un suo dirigente. È questo un continuo lavoro politico che va poi misurato nel suo esplicarsi: raggiungere gli obiettivi andando alla scoperta di quale siano gli aggiustamenti da fare, la modalità più efficiente ed efficace da applicare!
Eh già, poi alla fine farsi misurare: quanto è difficile, e quanto è rischioso soprattutto se si opera in squadra e non da soli.
Ma la passione di fare le ACLI deve trascendere da tutto ciò. È necessario investire ed anche rischiare insieme, ma con entusiasmo, sapendo che ogni azione porta con sé un certo numero di conseguenze: guadagni e perdite ed è quindi necessario, per quanto possibile, “farci i conti” per valorizzare i primi e nel caso, poi, far tesoro delle seconde.
Far tesoro degli errori e registrarli per non ripeterli. Accantonare le vittorie e non “sprecarle”.
Ancora oggi lo “sconosciuto” fa un po’ paura, ma la curiosità è vincente in battaglia, il più delle volte, ed alla fine o nel mentre, ci accorgiamo che abbiamo camminato; e per me questo è l’importante: non fermarsi mai, ma guardare avanti, oltre il problema a testa alta, sognando ma con i piedi piantati bene in terra, con l’ottimismo di chi sta guidando una squadra alla vittoria, o di chi dirige un’orchestra dove ognuno è necessario per “suonare” l’overture della vita.
Infine una riflessione sul metodo che si può utilizzare. Oggi mi è tornato in mente l’ideale evangelico dell’unità: ut omnes unum sint. Esso è anche l’ideale che ha ispirato Chiara Lubich la fondatrice del Movimento dei Focolari.
Gesù muore in croce per salvare l’umanità e da quella morte necessaria, deriva la salvezza attraverso la resurrezione.
Possiamo provare a mettere in gioco noi stessi e le nostre aspettative affinché tutti siano uno: dall’unità e dalla morte delle nostre certezze risorgera’ una nuova strada: confrontiamci con il metodo dell’unità che ci ha insegnato Cristo: morire per l’altro, per gli altri per la nostra associazione, per risorgere nuovi, rigenerati nell’altro al servizio degli altri, della comunità che bussa alle nostre porte chiedendoci un aiuto sempre più complesso e diversificato.
Per quanto mi riguarda farò di tutto per essere portatore di unità e non di divisione per il bene della nostra grande e appassionante associazione.

Chiediamoci perdono


Di Marco Bonarini - lavoratore Acli 
Oggi ci si presenta una crisi drammatica delle Acli, analogamente alla crisi del nostro tempo, una crisi che appare legata al denaro, ma è una crisi di fiducia e di capacità di condividere il cammino che ci unisce nella nostra umanità, quell’umano-che-è-in-noi, come dice il teologo Sequeri.
A) Riconoscere il dono
«La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!» (1Pt 4,7-11)
Prima di tutto occorre ringraziare del dono che abbiamo tra le mani: la possibilità di “fare le Acli”, dono che abbiamo ricevuto gratuitamente dai nostri padri e che dobbiamo trasmettere gratuitamente (per loro) ai nostri figli. Questo dono è il nostro carisma che occorre riconoscere con semplicità, umiltà e spirito non proprietario. E’ un dono per il popolo italiano in Italia e nel mondo e per la chiesa italiana e universale.
B) Chiedere perdono
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente» (Mt 5,13).
In questa crisi delle Acli, occorre poi chiedere perdono per tutti quei peccati, soprattutto di omissione, che abbiamo compiuto a tutti i livelli, dalla presidenza nazionale a quelle dei circoli, dai soci ai lavoratori.
Distratti dal vero compito
«Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato in pensieri parole, opere ed omissioni»
Il primo peccato è di omissione: ci siamo distratti dall’impegno comune, ci siamo lasciati prendere dallo spirito del tempo che ci chiede di occuparci prima di tutto di noi stessi e poi, se c’è tempo e voglia, degli altri. E’ una omissione profonda, rimossa, nascosta, che facciamo fatica a distinguere nella nostra coscienza, perché siamo impegnati con molto impegno (è voluta la ripetizione) a compiere molte buone azioni che rimangono e ci alleviano il senso di colpa, ma che ci hanno distolto da quel fare attenzione al nostro stare insieme «per realizzare un grande compito».
Noi, uomini e donne, siamo relazione, la relazione ci precede, siamo già in relazione con tutti. La vera libertà non è quella se entrare in relazione con altri, ma è quella di scegliere quale qualità dare alle relazioni con gli altri. E questa qualità, nella Bibbia, si chiama giustizia: «La giustizia implica una relazione fra due (o più) soggetti spirituali dotati del principio interiore della libertà; parlare di giustizia quindi significa porre in atto un discorso che riguarda non l’individuo in quanto tale – fosse anche nel suo rapporto ad una norma -, non l’individuo in rapporto alle cose, ma il soggetto definito dalla sua relazione ad altro soggetto […] Data l’”alterità” dei soggetti in rapporto tra loro, la relazione di giustizia (opposta alla relazione ingiusta) è allora quella che rispetta, promuove, afferma il senso di ognuno dei soggetti; in altre parole, la giustizia è quella qualità (o virtù) della relazione per cui ad ognuno è dato quello che gli spetta come soggetto» (p. P. Bovati sj, biblista e attuale segretario della Pontificia Commissione Biblica).
I riti della politica
«Quando sarai entrato nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti e ne avrai preso possesso e l’abiterai, se dirai: “Voglio costituire sopra di me un re come tutte le nazioni che mi stanno intorno”, 15dovrai costituire sopra di te come re colui che il Signore, tuo Dio, avrà scelto. Costituirai sopra di te come re uno dei tuoi fratelli; non potrai costituire su di te uno straniero che non sia tuo fratello. 16Ma egli non dovrà procurarsi un gran numero di cavalli né far tornare il popolo in Egitto per procurarsi un gran numero di cavalli, perché il Signore vi ha detto: “Non tornerete più indietro per quella via!”. 17Non dovrà avere un gran numero di mogli, perché il suo cuore non si smarrisca; non abbia grande quantità di argento e di oro. 18Quando si insedierà sul trono regale, scriverà per suo uso in un libro una copia di questa legge, secondo l’esemplare dei sacerdoti leviti. 19Essa sarà con lui ed egli la leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere il Signore, suo Dio, e a osservare tutte le parole di questa legge e di questi statuti, 20affinché il suo cuore non si insuperbisca verso i suoi fratelli ed egli non si allontani da questi comandi, né a destra né a sinistra, e prolunghi così i giorni del suo regno, lui e i suoi figli, in mezzo a Israele» (Dt 17,14-20)
Il secondo peccato è di esserci fatti prendere e sorprendere dal luogo comune: “la politica è fatta così”, con i suoi riti di ambiguità. Questi hanno caratterizzato in modo speciale il nostro dibattito negli organi. Siamo usciti da un congresso spaccati in due e non siamo stati capaci di ricucire, al di là delle apparenze, tutti timorosi di riposizionarsi per non essere tagliati fuori dal potere, dal nazionale ai provinciali. In questo il fatto di essere cattolici, incapaci di reggere il confronto e il conflitto in nome del presunto bene di una unità, in questo caso magica, non ci ha aiutato e qui serve una vera conversione.
Tra gli aclisti c’è una grande delusione di fronte alle aspettative di questa presidenza nel suo complesso, perché quello che si è deciso o non deciso, lo si è fatto insieme, c’erano tutti e alla fine si è deciso, o si è deciso altrove?
Dobbiamo sempre imparare da Gesù come stare nel conflitto con lo scopo non di vincere, ma di convincere l’altro a vivere in modo giusto. Ce la faremo a convertirci personalmente e quindi, di conseguenza, associativamente, cioè ad adottare un altro stile di esercitare il potere e di gestire il conflitto?
Il metodo del Sinodo sulla famiglia dovrebbe aiutarci a comprendere come fare emergere le diverse posizioni e poi trovare una sintesi e non viceversa. Lo stesso accade in famiglia: l’unità della coppia è un affare serio e si costruisce a caro prezzo, caro prezzo che non vogliamo e/o non sappiamo pagare per giungere a una vera unità nella diversità. San Paolo parla della carità come metro per dirimere le questioni delle sue comunità: sapremo farlo come lo ha fatto lui, che si è fatto tutto a tutti pur di salvarne qualcuno? 1Cor 9,19-23: «Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge – pur non essendo io sotto la Legge – mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. Per coloro che non hanno Legge – pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io».
Quale fede ci accomuna?
«Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,22-25)
Il terzo peccato di cui chiedere perdono è che non siamo stati all’altezza di una vera riflessione su come conciliare la fede che ci è richiesta dal carisma con il mutare dei tempi: la fede dei nostri padri, viva e tradizionale (nel senso migliore della tradizione), oggi non è più sufficiente in questo tempo che ci interroga in modo pressante. Lo abbiamo visto al Sinodo, lo vediamo tutti i giorni, come la nostra ricerca di fede necessità di un di più, e non un di meno, da parte di tutti, credenti o meno che siamo. L’umano-che-è-in-noi ci accomuna e ci interroga, le risposte non possiamo che trovarle insieme, ma là dove la sfida è maggiore e non là dove possiamo accontentarci di pannicelli caldi.
Tutti siamo colpevoli
«Salmo. Di Davide. Quando il profeta Natan andò da lui, che era andato con Betsabea.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. 
Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (Sal 51,1-5)
tutti danno la colpa di ciò che non va agli altri, ma raramente sento qualcuno che dice: è colpa mia. Il nazionale non sa fare il suo mestiere; i territori si preoccupano solo di sé e non si interessano del nazionale, se non per avere soldi, i servizi e le associazioni specifiche vanno ognuno per sé, i circoli non sono curati dai provinciali, mancano i giovani. C’è qualcosa di vero in tutto questo, ma non è questo il punto: cosa abbiamo fatto affinché tutto questo non accadesse? Dobbiamo dircelo con carità, se vogliamo fare in modo che le cose vadano diversamente.
Chi sono io?
«Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un abortoIo infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto» (1Cor 15,8-11)
Oramai diffido di chiunque si consideri giusto, anche a ragione. Se Paolo non fa fatica a riconoscersi come un aborto, a causa del suo peccato, se papa Francesco chiede preghiere perché è peccatore, se i santi chiedono perdono per i propri peccati, chi siamo noi per ritenerci giusti? (Non basta più essere una brava persona per fare il dirigente oggi in qualunque posizione di governo, dalla multinazionale all’ultimo circolo).
Nessuno è giusto e tutti siamo salvati dall’amore di Dio. Senza questa umile consapevolezza non andremo da nessuna parte, se non ci aiutiamo prima a riconoscere l’amore di Dio che ci rende fratelli e poi i nostri peccati quotidiani, in primis l’uso della parola che si permette di dire senza riconoscerne la sua potenza, nel bene come nel male. Anche qui possiamo imparare da Gesù e convertire il nostro dire, che non sminuisce ciò che non va e non esalta ciò che va, ma che sa incoraggiare lo sfiduciato, aiutare a riconoscere il proprio peccato e a dare speranza ai poveri.
Dobbiamo guardarci dentro con coraggio e aiutarci a cambiare insieme personalmente, prendendoci a cuore gli uni gli altri: lo sapremo fare?
Faccio mia l’esortazione di Paolo che scrive ai Galati, una comunità conflittuale:
«Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso . Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge» (Gal 5,13-23).
C) Preghiamo gli uni per gli altri
«Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,3-6)
Papa Francesco chiede preghiere per sé, io chiedo preghiere per le Acli. Nella Evangelii Gaudium, nel capitolo finale, quello più importante, Francesco dice:
«Quando si afferma che qualcosa ha “spirito”, questo indicare di solito qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria. Un’evangelizzazione con spirito è molto diversa da un insieme di compiti vissuti come un pesante obbligo che semplicemente si tollera, o si sopporta come qualcosa che contraddice le proprie inclinazioni e i propri desideri. Come vorrei trovare le parole per incoraggiare una stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa! Ma so che nessuna motivazione sarà sufficiente se non arde nei cuori il fuoco dello Spirito. In definitiva, un’evangelizzazione con spirito è un’evangelizzazione con Spirito Santo, dal momento che Egli è l’anima della Chiesa evangelizzatrice. Prima di proporre alcune motivazioni e suggerimenti spirituali, invoco ancora una volta lo Spirito Santo, lo prego che venga a rinnovare, a scuotere, a dare impulso alla Chiesa in un’audace uscita fuori da sé per evangelizzare tutti i popoli» (EG 261).
Papa Francesco ci propone un itinerario di conversione:
– l’incontro personale con l’amore di Gesù che ci salva;
– il piacere spirituale di essere popolo;
– l’azione misteriosa del Risorto e del suo Spirito;
– la forza missionaria dell’intercessione.
Preghiamo chiedendo lo Spirito per la nostra conversione personale. Questo ci aiuterà a discernere come «fare le Acli» in modo giusto, adeguato al nostro tempo, uscendo da noi e andando incontro ai poveri. Solo il Vangelo fa nuove le Acli e i poveri ci aiuteranno a farle.
Mi scuso in anticipo se qualcuno si è offeso. Mi potete contattare in sede nazionale per ogni chiarimento.

I tempi fanno quello che devono: cambiano!




Da un lavoratore delle Acli: 
Omelia del Papa a Santa Marta.
Molto istruttiva anche per “I nostri” tempi.
I tempi fanno quello che devono: cambiano. I cristiani devono fare quello che vuole Cristo: valutare i tempi e cambiare con loro, restando “saldi nella verità del Vangelo”. Ciò che non è ammesso è il tranquillo conformismo che, di fatto, fa restare immobili.
Saggezza cristiana
Davanti agli occhi del Papa c’è un nuovo brano della Lettera ai Romani di San Paolo, il quale, dice Francesco, predica con “tanta forza la libertà che ci ha salvato dal peccato”. E c’è la pagina del Vangelo nella quale Gesù parla dei “segni dei tempi” dando dell’ipocrita a coloro che sanno comprenderli ma non fanno altrettanto con il tempo del Figlio dell’Uomo. Dio ci ha creato liberi e “per avere questa libertà – afferma il Papa – dobbiamo aprirci alla forza dello Spirito e capire bene cosa accade dentro di noi e fuori di noi”, usando il “discernimento”:
“Abbiamo questa libertà di giudicare quello che succede fuori di noi. Ma per giudicare dobbiamo conoscere bene quello che accade fuori di noi. E come si può fare questo? Come si può fare questo, che la Chiesa chiama ‘conoscere i segni dei tempi’? I tempi cambiano. E’ proprio della saggezza cristiana conoscere questi cambiamenti, conoscere i diversi tempi e conoscere i segni dei tempi. Cosa significa una cosa e cosa un’altra. E fare questo senza paura, con la libertà”.
Silenzio, riflessione e preghiera
Francesco riconosce che non è una cosa “facile”, troppi sono i condizionamenti esterni che premono anche sui cristiani inducendo molti a un più comodo non fare:
“Questo è un lavoro che di solito noi non facciamo: ci conformiamo, ci tranquillizziamo con ‘mi hanno detto, ho sentito, la gente dice, ho letto …’. Così siamo tranquilli … Ma qual è la verità? Qual è il messaggio che il Signore vuole darmi con quel segno dei tempi? Per capire i segni dei tempi, prima di tutto è necessario il silenzio: fare silenzio e osservare. E dopo riflettere dentro di noi. Un esempio: perché ci sono tante guerre adesso? Perché è successo qualcosa? E pregare … Silenzio, riflessione e preghiera. Soltanto così potremo capire i segni dei tempi, cosa Gesù vuol dirci”.
Liberi nella verità del Vangelo
E capire i segni dei tempi non è un lavoro esclusivo di un’élite culturale. Gesù, ricorda, non dice “guardate come fanno gli universitari, guardate come fanno i dottori, guardate come fanno gli intellettuali …”. Gesù, sottolinea Francesco, parla ai contadini che “nella loro semplicità” sanno “distinguere il grano dalla zizzania”:
“I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente. Dobbiamo cambiare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo, ma il nostro atteggiamento deve muoversi continuamente secondo i segni dei tempi. Siamo liberi. Siamo liberi per il dono della libertà che ci ha dato Gesù Cristo. Ma il nostro lavoro è guardare cosa succede dentro di noi, discernere i nostri sentimenti, i nostri pensieri; e cosa accade fuori di noi e discernere i segni dei tempi. Col silenzio, con la riflessione e con la preghiera”.

Chiamiamoci per nome


di Andrea Bossi (Lodi)
Negli ultimi anni, alcune delle campagne di comunicazione che hanno raccolto un enorme successo sono quelle partorite dallo staff di pubblicitari della Coca Cola, ok, sembrerà starno ma vorrei partire proprio dalla famosa bevanda zuccherata per parlare dell’approccio alle sfide che richiamano le nostre Acli.
Il colpo di genio della multinazionale di Atlanta è stato quello della “personalizzazione del prodotto”.  Chi non ricorda le bottigliette 2014 con, al posto del marchio, il nome proprio di persona? “Il condividila con Lorenzo, Laura, Marco, Sara…” ? Chi non ha mai perso qualche minuto a cercare al supermercato o all’autogrill la bottiglietta con il nome della propria fidanzata, del fidanzato o dell’amico/a? Chi l’anno successivo non si è divertito a bere dalle bottiglie del “dillo con una canzone”?
Ecco questa strategia di marketing (copiata anche da altri) segna uno stacco, il ribaltamento della prospettiva: non sono più le persone a cercare i marchi che possano identificare una moda, una stagione, uno stile, ma sono gli stessi produttori a voler mettere la persona, il consumatore al centro.
Questo ribaltamento non lo vediamo solo nel commercio ma anche nella vita delle associazioni: non esiste più il socio fidelizzato ma dobbiamo essere in grado di accogliere esperienze di vita associativa legate a percorsi sempre più specifici e personalizzati, magari discontinue nel tempo. Non ha più tanto senso collegare il protagonismo alle tessere. Non so dire se fosse meglio prima o adesso, solo dobbiamo avere l’onesta di ammettere come cantava Bob Dylan  che “Things Have Changed”.
Questa è la conseguenza di due fattori:
1) La perdita delle mediazioni. A tutti i livelli si sono perse le rappresentanze intermedie che facevano formazione ma che creavano anche un senso di identità e appartenenza.
2) Le innovazioni tecnologiche e lo sviluppo digitale hanno velocizzato tutto, dalle comunicazioni alla relazioni.
In questo scenario credo che il terzo settore, ed in particolare le Acli, debbano imparare da quanto fatto dal mondo dell’economia negli ultimi anni. Partiamo da qui, oggi la sfida è quella di decentrare , di specializzare e personalizzare  il più possibile i percorsi.
Le Acli invece, nonostante la ritrita retorica sull’importanza dei circoli, sono stati un corpaccione lento e verticista. Hanno mantenuto un approccio decisamente centralista e questo lo notiamo dalla farraginosità delle comunicazioni e delle interazioni sia verticali che orizzontali (relazioni tra circoli, associazioni specifiche).
L’associazione debba essere più aperta e portare i suoi iscritti e coloro che le sono vicini, ad intervenire, a fornire opinioni, pareri e ad essere parte integrante delle dinamiche associative. Deve imparare a comunicare non solo per informare ma per interagire perché, nell’epoca di facebook e twitter, la comunicazione è un processo creativo in continuo divenire e non un semplice canale di dare/ricevere con momenti ben definiti e separati.
Con la fine delle grandi famiglie del ‘900 si è sgretolata la rappresentanza e la comunicazione di massa ha aperto nuovi mondi e nuovi città (virtuali) da esplorare. Sbaglieremmo a considerare i social dei semplici strumenti di comunicazione, sono di più, sono un prolungamento delle relazioni quotidiane, sono dei luoghi con codici, regole, stili di comportamento.  Prima di giudicarli giusti o sbagliati dovremmo avere la sincerità di prendere atto di quello che sono.
Dobbiamo tornare a “chiamarci per nome”, sentirci nell’associazione non semplici numeri, tessere, destinatari di servizi. Dobbiamo sentirci nomi, storie, idee che camminano. Le persone hanno voglia di sentirsi chiamati in causa, di scoprire se stesse prima ancora di una appartenenza di gruppo (che spesso si rifà a semplici canoni passati).
Qualsiasi percorso di formazione perde di senso se non è oggi supportato da una empatia di fondo che unisce le persone. Nel mondo del tutto e subito, dello streaming e della possibilità di coprire migliaia di km con un click, la gente la si smuove solo con la fiducia, con una rete di relazioni di amicizia che ci facciano sentire visibili e importanti. Non conta quanto buona è l’offerta ma quanto riesce a toccare le corde dell’interesse reciproco.
È qui che concretizza il paragone con la Coca cola…se una bevanda può intercettare il desiderio di esprimersi, perché noi che  siamo una realtà di formazione e promozione sociale non riusciamo (e nemmeno proviamo) a trasmettere questa voglia di sentirci, ognuno con le proprie caratteristiche, con il proprio nome, con la propria canzone a segnare il ritmo dei passi, protagonisti di questo tempo.

Hai presente Kickstarter?




Lo dico a voi perché mi sembrate i più smart. E perché mi sembra in linea con le cose che state scrivendo e proponendo. Ma non mi va di comparire con il mio nome.
Avevo persino pensato di farlo sul mio territorio con le mie Acli. Non è stato tanto il problema economico che mi ha fermato. E’ che se fai partire queste cose poi ci vuole qualcuno che ci stia dietro. E in fondo poi forse ha più senso in dimensione nazionale.
Hai presente Kickstarter?
Kickstarter è un sito web di crowdfunding per progetti creativi attraverso cui sono stati finanziati diversi tipi di imprese, tra cui film indipendenti, musica, spettacoli teatrali, fumetti, giornalismo, videogame e imprese legate all’alimentazione…
In Italia le piattaforme di crowdfunding sono 41. Nel 2013 erano 27. La prima piattaforma italiana (Produzioni dal basso) sta per compiere 10 anni e con questa modalità sono stati finanziati progetti per 30 milioni di Euro.
Il crowdfunding è un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone ed organizzazioni. E’ una pratica di microfinanziamento dal basso che mobilita persone e risorse. E dal momento che abbatte le barriere tradizionali dell’investimento finanziario è spesso usato per promuovere innovazione e cambiamento sociale.
Perché come Acli non lanciamo una piattaforma del genere destinata al sociale? Non nel senso di lanciare la ricerca di un singolo finanziamento per un nostro progetto. Nel senso di lanciare una piattaforma. Uno spazio in cui piccole realtà, a partire dai nostri circoli, possano cercare fondi e contatti per realizzare le loro attività sociali.
Per esempio, l’associazione di un paese che vuole comprare il defibrillatore o l’ambulanza o che deve sistemare il parco pubblico o che vuole fare un’iniziativa… lancia l’idea e mobilita. E potrebbe essere un modo per raccogliere fondi ma anche volontari per l’attività.
Come Acli faremmo un servizio utile a tutti, amplieremmo il numero di contatti e relazioni. E valorizzeremmo strumenti ed opportunità della tecnologia di oggi per fare cose che in fondo abbiamo sempre fatto. Cioè fare rete e metterci a servizio delle comunità.
Ma sarebbe anche un modo per entrare in contatto con gente giovane e brillante che ha idee di innovazione sociale.
Non dovrebbe costare molto da avviare. E per il mantenimento si potrebbe pensare a una forma di piccola percentuale sulle campagne che rende l’esperienza sostenibile.
Perché non proviamo?

Post pubblicato sul blog di dibattito congressuale Acli www.piugiusto.org 

Il secondo miglior momento









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Non ci serve una riforma organizzativa. Non ci basta una rifondazione etica o una riscoperta delle radici. Ci serve una profonda trasformazione. E’ tremendamente urgente. Ed io credo che lo sappiamo tutti.
La paura del cambiamento è un fatto naturale. Ma se riusciamo a guardare in faccia la paura e gli errori che stiamo commettendo (intenzionali e no), possiamo riconoscere che ci stiamo aggrappando alle conflittualità interne per scaricarci di dosso la responsabilità di ciò che non riusciamo ad essere. E ci siamo dentro tutti.
Solo le cose senza vita restano sempre uguali. Tutte le cose vive si trasformano. E la realtà, che è sempre superiore all’idea, dall’esterno ci spinge fortemente nella stessa direzione.
Smettiamo di contrapporci alla realtà e allo scorrere della vita. Smettiamo di vivere il cambiamento come una minaccia o come un tradimento. Non c’è alcun luogo sicuro dentro cui restare tranquilli. Il mondo cambia velocemente e vanifica piccole e grandi posizioni di rendita.
Se ancora crediamo nelle Acli e nelle ragioni per le quali esistono, mettiamo da parte la paura di fallire, i ruoli istituzionali usati come scudi dietro i quali nascondersi e gli schieramenti precostituiti. Nella consapevolezza dei nostri limiti,  mettiamoci comunque la faccia, la testa ed il cuore e facciamo emergere tutte le risorse e competenze che abbiamo, per unirle in una impresa comune: la scelta di avviare un grande processo di trasformazione, inserito in un orizzonte di senso in cui riconoscersi.
Un blog non è uno spazio esaustivo. Salto l’analisi (nostra e del paese) e salto ciò che già c’è in un lavoro di gruppo post assemblea. Lascio solo qualche traccia d’uscita.
L’identità associativa reale
 Le Acli (Associazione) sono il centro. Tutto il resto (servizi e associazioni specifiche) è corollario. Il circolo è l’unico soggetto identitario di valore. Il resto è importante ma parziale e propedeutico (associazioni specifiche come identità incomplete, anticamere e porte di ingresso alla vita associativa vera) o strumentale (servizi ed imprese come luoghi del fare e del realizzare, in risposta ad un mandato, o soggetti cui è delegato l’onere della sostenibilità economica). 
Ecco. Questa visione ha bisogno di trasformazione. Se le sfide del Paese sono: riscrivere un vocabolario ed un’esperienza del lavoro, ridisegnare un sistema di welfare, restituire alla politica il governo dell’economia e far ripartire un Paese bloccato, in un’ottica di maggiore giustizia sociale e in un quadro di convivenza, non è solo l’identità associativa il nostro punto di forza. O meglio, da molto tempo ormai l’identità associativa reale, quella che gli altri concretamente incontrano e percepiscono, è data dall’insieme di ciò che siamo. Che è più della somma delle singole parti. Il tutto delle Acli che si presenta assieme è un’esperienza spesso declamata ma mai concretamente realizzata. E porta uno specifico anche nel mondo dei corpi intermedi e del terzo settore.
Le questioni organizzative che ne derivano sono molte. Qui ne sottolineo solo due: la necessità di un luogo ben definito e legittimato che assuma la visione e il governo di insieme (a livello territoriale e nazionale) e la necessità di tenere a questo livello lo spazio di studio, ricerca ed innovazione, nonché l’interlocuzione e la proposta politica.
Due aree
Quello che oggi chiamiamo “sistema” è di fatto un groviglio di rapporti sostanziali, formali ed informali di cui non possediamo nemmeno una rappresentazione. Possiamo ridisegnare la mappa individuando due aree:
  • area associativa 
Una rete (non tante reti) di realtà di base leggere, diffuse, costituite da cittadini che si associano, in legame con un territorio, con interessi specifici ed attività differenziate. Ma con alcuni punti comuni di una proposta associativa riscritta assieme (il gruppo, l’apertura ad una dimensione di fede e di discernimento spirituale sulla realtà, l’impegno volontario come esercizio di cittadinanza, la formazione delle coscienze al senso critico e la tensione verso il bene comune…).
Una struttura (provinciale, regionale e soprattutto nazionale) alleggerita, semplificata e ridisegnata in supporto all’esperienza dell’associarsi nelle realtà di base.
E’ lo spazio dell’essere e dello stare assieme. Della relazione con/nelle parrocchie e con le scuole e con le istituzioni locali. Dell’associazione consapevole e sostenibile che recupera la dimensione del movimento. E di un fare sperimentale che nasce dalle esigenze locali e dalle sensibilità e che non è ancora definitivo o strutturato.
  • area dell’impresa sociale 
Un gruppo di imprese a base territoriale, organizzato a livello nazionale (e magari a breve europeo), che orienta la propria azione di costruzione creativa di risposta ai bisogni emergenti secondo linee di produzione tra cui:
– un servizio di sportelli (in presenza e online) di presa in carico, assistenza e consulenza dei bisogni delle famiglie (che comprende cittadini, lavoratori, consumatori…)
– la costruzione di servizi di conciliazione e welfare generativo e partecipato, valorizzando le nuove tecnologie, gli scambi, l’economia di condivisione e la partecipazione, in rete con famiglie, istituzioni ed imprese.
E magari anche un servizio che (a partire dalla realtà delle colf) provi a organizzare le occasioni di promozione di lavoro in forma associata.
Due aree distinte che fanno capo ad una governance comune che non si limiti a coordinarle ma le progetti e le faccia agire dentro obiettivi e strategie d’insieme.
Si, ma…” lo so, ci sono infiniti “ma” da affrontare per andare in questa direzione. E quasi tutti sono veri ed utili. Questo non significa che non si possano prendere in mano, per scioglierli uno ad uno, e fare finalmente un passo avanti!
E se l’orizzonte non è questo che qualcuno ne proponga un altro. Ma, iniziamo a costruire gli scenari per domani smettendo di guardarci l’ombelico nelle singole mosse dell’oggi. Ed iniziamo oggi. Perchè i tempi della vita sono dettati dalla realtà, non dai ritmi dei nostri infiniti congressi. E perché il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso.
(pubblicato su www.piugiusto.org)

La nostra casa comune





Di Andrea Citron 
Prendo a prestito le parole che il Santo Padre ha usato per definire la terra per sviluppare il mio pensiero.
Nel condominio dove abito la partecipazione a quella che dovrebbe essere la casa comune in cui viviamo è praticamente pari allo zero. Basta prender parte ad una delle poche (una all’anno, quelle straordinarie le evita anche l’amministratrice) assemblee ordinarie per capirlo. La noia ti assale dopo una buona mezz’ora passata a sentire il lungo appello delle tante presenze per delega. In effetti in sala ci sono poco più di una decina di persona. Pochette se pensate che la mia palazzina (16 unità abitative) fa parte di un super condominio che si riunisce per una assemblea ordinaria di comparto che dovrebbe mettere insieme poco più di 160 condomini.
L’amministratore si presenta col suo pacco di deleghe… altri quattro o cinque più o meno interessati con i loro mazzetti.
Tutto si sviluppa molto velocemente, tutto accade per delega: la democrazia è salva, le decisioni vengono più o meno prese, sempre nell’interesse di qualcuno, quasi mai nell’interesse della casa comune, il super condominio.
Inutile dirsi che colei che amministra è contenta così: meno problemi, meno ore da investirci a compenso invariato, più libertà d’azione nel far tornare i “suoi” di conti.
Altrettanto inutile dirsi che tutti si lamentano di questa situazione: salvo uno sparuto gruppetto di non pervenuti nemmeno nella più classica e scontata delle lamentazioni: le spese condominiali.
Eccolo appunto, l’altro punto dolentissimo dopo la partecipazione per delega: i conti. I nostri conti, quelli della casa comune.
Avrete capito, non tornano mai! Ma proprio mai. Non ci sono mai soldi… perché la gente non paga le spese condominiali, perché ci portiamo appresso i debiti di passate amministrazioni, perché i tempi sono difficili, perché …., c’è sempre un perché, al solito, ma rimanda sempre a qualcun altro.
Ma il punto resta e resterà ahimè sempre che non si riesce a pensare d’insieme, a fare quel ragionamento semplice a dirsi ma difficile a realizzarsi di pensare quanto sarebbe bello lavorare tutti (amministratore, costruttore, condomini…) a rendere bello, piacevole per tutti il vivere in quello che il destino, la nostra libera scelta, i soldi del babbo, di qualche altro parente o i nostri, hanno destinato a farci da casa ..comune.
Tutti noi condomini viviamo il nostro spazio comune come se fosse il nostro di spazio …. come se a viverci in questo spazio non ci fossero altre persone, distribuite qualcuna più a nord, qualcuna più a sud, alcuni al piano terra altri nei piani alti. Come se questo spazio non fosse bello soprattutto perché ci permette di vivere in comune con altri. 
Ah..quelli degli attici, sono a priori un mondo a se, quasi non vivessero nel nostro spazio comune.
Questa è la vera e più grande difficoltà: vivere con gli altri. E non c’è amministratore che tenga. Anche il più bravo fallirà senza una squadra di condomini disposti a remare insieme per il bene comune. 
Venendo alle nostre Acli e lasciando il mio super condominio ai suoi problemi….penso che le possiamo definire “la nostra casa comune”.
Le Acli un po’ come la terra ci precedono e ci sono state date. Qualche problemino l’abbiamo ereditato, qualcuno probabilmente l’avremo anche creato. Ma per il bene che vogliamo loro e nel riconoscerle come lo spazio in cui viviamo, lavoriamo e cresciamo tutti assieme, meritano quella partecipazione non delegante e quello sforzo unisono per cambiarle in meglio, che purtroppo probabilmente mai avrà il mio super condominio …. ma che sono convinto ci potrà essere nella Mia Associazione.
Il cambiamento è qualcosa di auspicabile, necessario; ne va dell’esistenza di questa casa comune. Tutti i vari “condomini” di questa associazione dovranno mettere le migliori energie e forze nel portare il loro piccolo tassello nel mosaico del cambiamento …..avendo sempre presente l’interesse di tutti e mettendo per una volta da parte quello personale.
Dovranno partecipare tutti …. dall’attico al piano terra. Pensando che tutti viviamo le stanze della stessa associazione, che come la terra ci chiede in questo momento un sforzo ancora maggiore per continuare a far da “casa” a quanti in essa vivono.
Chiudo riprendendo da Papa Francesco poche frasi della sua “Laudato sì”…bellissime…. riferite alla terra. Pensiamole per un attimo rivolte anche alle nostre Acli.
“Dimentichiamo che noi stessi siamo terra. Il nostro stesso corpo è costituito degli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora”.

Le chiavi della cucina


di Stefano Tassinari
Il nostro rapporto con il ‘potere’ sarà la misura della nostra capacità di cambiare, per ‘sentirci intimamente uniti con tutto ciò che esiste’ (preghiera finale della Laudato si’).
Il potere: come lo concepiamo, come lo usiamo e soprattutto come ce ne distacchiamo, dando limiti di tempo e di ‘spazio’ ai propri ruoli, per creare attorno a noi una reale partecipazione, un reale poter essere degli altri e del mondo.
Siamo per accumulare potere o per distribuirlo e infine per consegnarlo? Lavoriamo per il potere di avere di pochi, che cercano di rappresentare tanti altri, o per il ‘poter essere’ di tutti?
Non sono domande retoriche. Non sono benvenute risposte affermative immediate e buoniste.
Su queste domande probabilmente si misura sia la nostra capacità di una autentica spiritualità (di essere, non solo come chiesa, in uscita da se stessi) sia quella di essere effettivamente un corpo sociale intermedio.
Si gioca la differenza tra essere associazione di promozione sociale che, partendo dalla forza umana e dalle contraddizioni del lavoro, genera una nuova coscienza e partecipazione di popolo, per chiedere e costruire una società più giusta e, invece, diventare un’organizzazione di addetti ai lavori, o meglio, una, pur legittima, lobby che difende gli interessi di una rete di imprese sociali. Non solo, su di esse si gioca anche la sostenibilità e il patrimonio economico e umano di un grande sistema di servizi di welfare.
L’invito di Papa Francesco a ripartire dal Vangelo incarnato chiama ad uscire da noi stessi, per saper piangere per chi soffre, per vivere la misericordia come qualcosa che ti tocca nelle budella, per ‘prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo’. Ma questa tensione è tale se ci vede finalizzare il nostro fare al trasferire potere alle persone e ai contesti che incontriamo, al riscattare chi è più debole, i ceti più deboli, all’emanciparsi insieme, al rendere tutti più eguali e liberi. Su questo ci dobbiamo misurare faticosamente, anche per non confondere l”uscita da se’ con la voglia di conquistare spazi e potere.
Ridiamoci una nuova proposta associativa forte e aperta, che non abbia paura di proporre liberamente di fare gruppo insieme sulla Parola che parla alla vita vera di ognuno, sul riflettere e assumere coscienza della realtà, su un impegno sociale e politico autorevole perchè autonomo; rinnoviamo la nostra democrazia e la partecipazione nella vita degli organi. Non temiamo di riconsegnare con forme nuove questa grande associazione alle nuove generazioni di cittadini e lavoratori!
I corpi intermedi oggi sembrano messi all’angolo da una politica sempre più personalistica, ma soprattutto dall’essersi trasformati più in organizzazioni e strutture, importanti e autorevoli, e meno in animatori di partecipazione civile e politica. Qui ne va della democrazia e della lotta a quella esplosione delle diseguaglianze che è la più profonda radice dei mali sociali attuali, della frammentazione dei legami e del futuro. Quella esplosione delle diseguaglianze che parte dal lavoro e che ormai, concentrando con la ricchezza anche il potere di lobby, mina profondamente lo stesso libero mercato. E la nostra società globale rischia di somigliare alla Fattoria degli animali di Orwell, dove tutti sono eguali, ma qualcuno è più eguale degli altri.
Essere autori di un mondo del lavoro e di un welfare più giusti e promotori di uno sviluppo sostenibile e integrale. Quale sostenibilità economica possiamo trovare in epoca di tagli e di privatizzazione del welfare se non valorizziamo l’umanità, la competenza e la credibilità del nostro sistema di servizi per coinvolgere le persone nella stessa organizzazione e tutela dei propri diritti? Incontriamo almeno 3 milioni di persone ogni anno. Sprechiamo questo credito se non diamo loro volto, voce, se non le coinvolgiamo in un mix di servizi più integrato e personalizzato, se non pensiamo a una loro partecipazione, a un loro protagonismo. Non vediamo che sono i nostri primi alleati per promuovere e per rendere sostenibili in diversi modi i nostri servizi e le nostre attività, e il loro ruolo pubblico.
Non è facile cambiare il modo di concepire e vivere il potere, così come il denaro, che ne è l’altra faccia. Pesano molti aspetti reali. Le istituzioni sono partner del nostro lavoro. Ormai la maggior parte dei dirigenti sono/siamo anche lavoratori della nostra rete di associazioni e servizi. Tagli, emergenze e una profonda crisi associativa, per troppo tempo sottovalutata, ci trovano assediati dalla gestione e dalla quotidianità.
Eppure la quotidianità è il luogo della nostra sfida: se ormai anche il profit si gioca sul fare comunità, per esempio trasformando, come Eataly, un supermercato in un luogo dove mangiare bene e sentirsi parte di un mondo quasi alternativo, perchè non possiamo farlo noi che dall’essere comunità veniamo?
Con una differenza, profonda, molto profonda, che nel nostro fare comunità noi nasciamo, in ultimo, per consegnare alle persone le chiavi della cucina.

(post pubblicato sul blog di dibattito congressuale www.piugiusto.com)

Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un...