Le responsabilità della maggioranza


Quello che in effetti accade in questi casi è qualcosa di molto più grave: la maggioranza chiaramente rifiuta di far ricorso al suo potere (...) diventando «immensa unità negativa» (...). E tutto ciò dimostra (...) che una minoranza può avere un potere potenziale decisamente maggiore di quello che ci si aspetterebbe (...).
La maggioranza che sta semplicemente a guardare (...) è di fatto già un alleato latente della minoranza. 

(Hanna Arendt)
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Del perché essere parte di una maggioranza è sempre una responsabilità.
E del perché non essere direttamente responsabili di atti violenti non è sufficiente.  

La famiglia, gli assoluti e il senso del tempo...


1. Gli assoluti e il senso del tempo.
Sono andata a rileggermi il dibattito sul tema famiglia in assemblea costituente. È davvero molto interessante. Vedi questi giganti (Calamandrei, Moro, Togliatti, Jotti... ) impegnati in altissimi ragionamenti ma anche in piccole mediazioni, punzecchiature, frecciate personali...e capisci che i tempi sono cambiati, ma anche che tutto diventa mitologico solo a posteriori...Ma non è questo il punto, ovviamente.

La cosa che mi ha colpito è notare che la contrapposizione tra mondo cattolico e sinistra era tutta sull'indissolubilità del matrimonio. Con corollario della totale parità tra coniugi contrapposta all'esigenza di mantenere un "vantaggio" paterno. Non è strano. Erano gli anni 40. Le donne non avevano nemmeno il diritto di voto e la DC su questo interpretava anche le idee del mondo contadino comunista. E come andò a finire? Il fronte comunista vinse la battaglia (nella Costituzione la famiglia non fu indissolubile) ma perse doppiamente la guerra (perché per il divorzio dovette aspettare 30 anni e soprattutto perché il PCI perse le elezioni del 48).
 
A rileggere la storia, 70 anni dopo, non si può non notare che il concetto di famiglia si modifica nel tempo. Per tutti. Anche per i cattolici. Che oggi si sentirebbero a disagio nel fare una battaglia frontale a difesa dell'indissolubilità del matrimonio civile. Ad esempio. Eppure allora sembrava si trattasse di un punto di non ritorno. Come dire che gli assoluti, visti a distanza di tempo, assumono tutti una minore assolutezza. E questo forse ci aiuta anche a ridimensionare gli scontri. 

2. Cosa pensano i cattolici degli omosessuali
Oggi il nodo è il riconoscimento delle unioni civili delle coppie omosessuali. Ed io non riesco a non partire da alcune domande. Esistono persone omosessuali. E' un dato di realtà. Ineludibile. Come cattolici noi cosa pensiamo? Pensiamo che vogliamo uno Stato in cui loro debbano per forza restare soli a vita? O pensiamo che anche le persone omosessuali possano provare a costruire una progettualità di vita con un'altra persona, una solidarietà fatta di affetti e sogni ma anche di diritti e doveri, di segni ed impegni socialmente riconosciuti e riconoscibili? 

3. Dai monologhi al dialogo

Amo la piazza, e scendere in piazza per ciò in cui si crede è un diritto. Ma temo le due piazze di questi giorni finiscano per essere legittimi monologhi. Mentre noi abbiamo bisogno (se vogliamo essere un popolo) di dialoghi. Di costruire unità, nella pluralità. E possiamo farlo solo assieme.

Perchè il dibattito culturale e sociale non può essere rinchiuso nelle strettoie del dibattito legislativo. Non può essere la legge l'unica forma di riconoscimento culturale. E non può essere la politica (in crisi) l'unico soggetto cui deleghiamo la composizione delle sintesi. 
E allora mi verrebbe da dire che abbiamo bisogno di approvare la legge ma anche di approfondire il senso antropologico e civico che vogliamo attribuire al concetto di famiglia.
La famiglia è qualcosa di naturale che lo Stato riconosce o nasce da un istituto giuridico specifico (sia esso solo il matrimonio od altro?).  
La famiglia nasce da una scelta reciprocamente e pubblicamente assunta da persone adulte o è qualcosa che si determina in automatico come conseguenza di altri fatti (siano essi la convivenza o l'aver generato assieme un figlio od altro...)?  
Se forse potremmo convenire tutti sul fatto che la famiglia in essenza è alleanza, solidarietà e progettualità, quanto questo ha necessità di declinarsi nel rapporto tra generi e tra generazioni perché si dia famiglia?
Personalmente non ho certezze granitiche. Solo piste di riflessione. Ma mi verrebbe da dire che al momento la mia idea di famiglia (civilmente parlando) si attesta sul fatto che ci siano due persone adulte che, in una dimensione che comprenda affetto e sessualità, fanno un patto di solidarietà e progettualità comune. E scelgono che questo patto non sia solo un fatto privato ma che abbia una valenza sociale. Poi affetto e sessualità nel tempo possono mutare o persino sparire. Ma, fino a che la scelta tra i due resta in piedi, la società sa che su quella formazione sociale può contare. 

E due persone che convivono e basta? La realtà è superiore all'idea. Sono famiglia, nei fatti. Ma quello per me è un fatto privato. Non è una fatto sociale. La società non sa se e quanto può contare su quell'unione. Tutte le scelte possono non essere eterne, è vero. Ma l'esistenza di una scelta non è un fatto irrilevante. Per questo non mi convince moltissimo la parte di legge sulle convivenze di fatto.

4. Famiglia e generatività
E poi c'è il tema della generatività. Seguendo la "mia pista" ogni famiglia per essere tale deve contenere in sé l'apertura ad una generatività. Ma non necessariamente questo deve significare generatività fisica. Si può essere famiglia anche senza avere figli. Questo a mio parere vale per tutti. Famiglie omosessuali e famiglie eterosessuali. E credo sia utile approfondire e riconoscere anche questo aspetto. Perchè altrimenti si finisce per considerare le famiglie senza figli come di serie B o si spingono le unioni omosessuali a cercare a tutti i costi di avere dei figli anche solo per potersi riconoscere come famiglia.

Dopo di che credo sia opportuno riconoscere le unioni civili tra omosessuali e anche tutelare i bambini che vivono all'interno di famiglie omosessuali e garantire loro rapporti solidi con gli adulti di riferimento. Perchè questi bambini esistono e la realtà è sempre superiore all'idea.

Ma è innegabile, il tema del riconoscimento sociale e giuridico di una coppia omosessuale è una cosa.  Il riconoscimento del diritto di essere genitori è un altro. In primo luogo perché il diritto di essere genitori in sé non esiste. Per nessuno. In secondo luogo perché, anche in questo caso, la realtà è superiore all'idea. Ed è la realtà che dice che le coppie omosessuali non sono fisicamente generative in modo autosufficiente. Sempre la realtà dice che le persone che lo desiderano trovano comunque (in Italia o all'estero) modalità per mettere alla luce un figlio. Per coppie omosessuali di donne questo spesso comporta scelte in tutto simili a quelle compiute da tante coppie eterosessuali. Per coppie omosessuali di uomini questo comporta modalità più delicate e complesse e controverse.

Uscendo da arroccamenti di posizione simmetrici credo che allora tutti potremmo riconoscere che il tema della generatività non autosufficiente apre infinite questioni delicate che hanno bisogno di essere approfondite culturalmente prima ancora che giuridicamente. Anche per recuperare un governo sulle cose e sulla vita e non far si che, semplicemente, tutto ciò che la scienza o la tecnica rendono possibile diventi automaticamente legittimo e socialmente buono ed utile.

P.S. Poi per chi crede può esserci la famiglia come sacramento e come vocazione e molto altro. Ma oggi stiamo discutendo di una legge...


Colonia. Riflessioni da donna, occidentale, cattolica.


Ciò che è accaduto a capodanno in alcune città tedesche è inquietante e preoccupante per vari motivi.

Perché (a quanto pare) ci si trova di fronte ad una forma nuova di violenza organizzata. In parte inedita e che quindi per poter essere combattuta va approfondita e compresa meglio.

Perché (a quanto pare) la forma di violenza ha colpito nel segno di nostre fragilità e tensioni culturali e sociali. 
Si è infilata in varchi aperti, arrivando a nodi scoperti e quindi ferendo in modo più profondo e non solo individuale. Che questo aspetto sia stato premeditato o no è comunque avvenuto. Ed anche con questo ora che si deve fare i conti.

Credo che i nervi scoperti toccati da questo fenomeno siano essenzialmente tre:

la migrazione con le sue ricadute in termini di scontro tra diritti umani e diritti di sicurezza. Ma anche di incapacità di composizione pacifica di differenze sociali, culturali e religiose e di connessione istintiva con il terrorismo. 

il rapporto tra i generi. Le acquisizioni civili e culturali in questo campo sono talmente recenti e poco profonde da risultare accessorie, fragili e superficiali e da poter essere messe in crisi ed in discussione da ogni minima novità o contrapposizione tra questo ed altri diritti.

il linguaggio insufficiente  (strettamente connesso alla dimensione di cultura comune incapace di leggere ed interpretare il presente). E la comunicazione che coniuga aumento della potenza con diminuzione del controllo. 

Tutto questo riguarda tutti. Uomini e donne. Stanziali ed immigrati. Nuovi arrivati e seconde generazioni.

Da tutti serve rifiuto della violenza. In qualsiasi forma e contro chiunque. 

Da tutti serve non rinnegare i diritti umani. Ovunque e di chiunque. 


A livello di principio sono due punti fermi che serve ribadire, tutti assieme. Non come il forte che impone al debole di abiurare la propria civiltà (fede e cultura) per abbracciarne un'altra. Non come obbligo condizionale per l'inclusione ("la mia società è così, se vuoi integrarti devi accettarli"). Ma come base di comune umanità. Da rivendicare e ricercare. E poi serve trovare, con pazienza e tenacia, pragmaticità e creatività le forme per dar gambe a tutto questo nella pratica. 

E su questo continuo a pensare che le esperienze di islam europeo, le seconde generazioni in Italia ed i nostri expat all'estero sarebbero risorse preziose da valorizzare.  
Così come un'esperienza di incontro europeo e di grande investimento (fatto insieme da più religioni) in una riscoperta delle esperienze e delle pratiche di nonviolenza nel mondo sarebbe una ricchezza inesplorata per la convivenza e la pace (vogliamo pensare anche solo a Aug San Suu Kyi e alla recente vittoria alle elezioni in Birmania per fare un esempio di donna, non cattolica e non occidentale?)

Poi, se volessimo approfondire, potremmo dire che la violenza sulle donne ha più a che vedere con una distorsione dell'idea di mascolinità e di rapporto con il potere che con ipotetici "usi errati" della femminilità. Che il corpo della donna come territorio simbolico di conquista in cui piantare, anche fisicamente, un segno tangibile del proprio passaggio è (purtroppo) un classico di tutte le guerre (e delle esperienze coloniali). O su altri fronti potremmo dire che è risaputo che i ricongiungimenti famigliari riducano l'incidenza della devianza nelle esperienze migratorie e persino che l'idea (fondata della nostra cultura occidentale) del dualismo corpo/anima ha qualche responsabilità morale nelle nostre distorsioni attuali... 

Dopo capodanno ognuna di noi sarà più in tensione per strada di notte. 

Ma, da donna, rivendico il diritto di non sentirmi dire che la soluzione è che io stia più attenta. E di non sentir parlare di me come proprietà (nemmeno in termini di proprietà da difendere). 
E, da donna occidentale, rivendico il diritto di dire che il tema dell'emancipazione femminile è tutt'altro che risolto anche da noi. E, da donna occidentale cattolica, aggiungo il diritto di specificare che in quel "da noi" rientra anche la dimensione religiosa. Perchè a prender per buono il metro del giudizio superficiale ed esterno di ciò che è civile e ciò che non lo è nelle religioni si rischiano certi boomerang... 

Da donna rivendico il diritto di identificarmi in tutte le donne. Quelle palpeggiate o stuprate per strada (o dentro casa). E quelle che muoiono in guerra o in mare con i figli in pancia o in braccio. Ma anche in ogni altro essere umano.  E rivendico il diritto di avere, sulle cose che accadono, un pensiero articolato e complesso. Di avere, a volte, anche idee diverse da altre donne senza che questo sia vissuto come tradimento o mancanza grave. 

Rivendico persino (ma guarda un po'!) il diritto di uscire dall'eterno ruolo di vittima. E di partecipare attivamente, in ogni campo e settore ed attività, a costruire una società ed un popolo migliore. 

Una società capace di trovare un equilibrio tra la condivisione della foto di un bambino morto in mare su ogni bacheca social ed il deliberato nascondimento a tutti gli organi di informazione di una notizia per cinque giorni.
Una società capace di non essere sciatta nelle traduzioni da una lingua all'altra, capace di trovare (o creare) termini diversi per concetti diversi senza mettere la semantica a servizio delle proprie posizioni. 

Una società che, orfana di ideologie, recuperi maggiore capacità di convivere con emozioni e sentimenti. Impulsi e desideri. Distinguendo gli uni dagli altri dando a ciascuno il proprio posto. 

Una società che ritrovi la capacità di fare politica davvero e non per reazione istintiva di pancia a ciò che avviene giorno per giorno. 

Cosa sta dietro all'assenza di coraggio politico, di cui tanto ci si lamenta? In questi anni abbiamo trovato molto valore, disponibilità al sacrificio di sé ma, anche tra noi, pochissimo coraggio politico....Il coraggio politico può crescere solo sul terreno della responsabilità libera dell'uomo (e donna, ndr) libero.... Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in quest'affare, ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene...          (D. Bonhoeffer)  

I circoli di lavoratori: cellula base del movimento aclista dalle origini

I circoli esistono da quando esistono le Acli. Nella Acli della nascita, il circolo di lavoratori è la “cellula base” del movimento. I nucle...