Evitare che prevalga la logica istituzione versus movimento



Incontro con Raffaela Milano – Direttrice Save the children

Roberto Rossini: la nostra idea è fare queste audizioni è provare a confrontarsi con altri sistemi che stanno sul territorio. La domanda di fondo è: verso che tipo di organizzazione stiamo andando, per rispondere alle esigenze del 21° secolo? Le persone non hanno più grande intenzione di associarsi, di far parte di organizzazioni strutturate, preferiscono adesioni più lasche, più simboliche… coinvolgere le presone in circoli diventa difficile. Anche se c’è desiderio di appartenenza che magari è più nei simboli. Ma ci rendiamo conto che se vogliamo fare il sociale in un certo modo abbiamo bisogno di un’organizzazione. di movimenti di azione. 

Raffaella Milano: Molto lusingata da questo invito, spero possa essere utile, è una metodologia interessante, da copiare. Anche noi siamo in fase di elaborazione strategica. La mia è un'esperienza di terzo settore, io sono ricercatrice sociale, nasco con Cittadinanza attiva, Tribunale dei diritti del malato, la mia militanza è sempre stata quella. Poi ho avuto la chiamata da Rutelli a gestire l'Ufficio dei Diritti dei cittadini e poi da Veltroni come assessore tecnico. Dopo di che sono entrata nel board di Save the children, come vicepresidente, questo è un po’ il mondo da cui vengo. Le Acli le ho incontrate tantissime volte, da tanto tempo.

La rete territoriale, l’esperienza mia di origine, quella di tribunale dei diritti del malato, nasce come rete territoriale, con livelli territoriali. Save the children non ha questa struttura, a livello italiano ha una struttura solo nazionale, proprio adesso ci stiamo interrogando su come territorializzare il nostro intervento. Devo dire però che Save the Children ha una forte dimensione internazionale, da cui forse si può trarre qualche idea. Nel 2019 StC fa 100 di storia. E' la più grande organizzazione indipendente che si occupa dei diritti dei bambini nel mondo. E' composta da una serie di paesi che sono confederati. E' una alleanza in cui rientra anche l'Italia, con proprio autonomo statuto e proprio bilancio. E’ una Confederazione. Qualche anno fa si è sentita forte l'esigenza di riforma perché capitava che, per esempio, in Etiopia interveniva StC USA, UK, Norvegesi, gli svedesi… 5 uffici diverse, 5 organizzazioni diverse sullo stesso posto e questo naturalmente creava problemi, non era qualcosa di sostenibile… così si è dato vita a StC international. I membri hanno fatto un passo indietro nell’interpretazione diversa sul campo. Hanno creato un ufficio di paese, facendo convergere le risorse di ogni stato per dare vita ad una unica organizzazione. Questo ha creato dei problemi giganteschi. Pensate solo ad armonizzare la logistica, i contratti di lavoro, le sedi…. E’ stato processo estremamente faticoso, ma è stato un processo effettivamente di successo, ha creato una migliore organizzazione e questo dà l’idea di come, a seconda degli obiettivi che ci si pone, poi nel tempo si modifica la struttura. Non c’è una organizzazione buona per tutte le stagioni. 

Questo, cosa altro ci ha insegnato? L’importanza di organigramma a matrice. Dove in sostanza, rispetto al livello territoriale gerarchico, si creano strutture matriciali che intervengono in maniera orizzontale per cercare di intervenire sul campo. Per esempio, noi  abbiamo questi cowntry officer e poi abbiamo i tecnical expert, che sono figure che sono messi in campo dai diversi paesi e non hanno dipendenza gerarchica ma hanno dipendenza funzionale. In pratica, portano dei know how all’organizzazione, anche se non sono gerarchicamente sovraordinati. Abbiamo una linea gerarchica e poi ci sono invece queste strutture a matrice, orizzontali che influenzano, condizionano, aiutano e danno valore aggiunto. Questo credo possa essere un elemento di riflessione sul contesto italiano e per le Acli. 

Sempre di più vediamo l’organizzazione tradizionale si trasforma in struttura a castello e a rete. Il castello e la rete, il castello serve, perché qualcuno poi le decisioni le deve prendere, devono essere chiari i livelli di responsabilità, ma la rete serve sempre di più. Pensare ad una struttura che sia solo top-down e non ci sia una struttura orizzontale, matriciale che porta soft skills, oggi è difficile. Io credo che, per la mia esperienza, è molto importatne sviluppare know how orizzontali e avere questa tecnicalità messa a disposizione. Questo rende la vita più difficile Perché ogni programma ha come due riporti. La vita diventa più complicata, diventa molto più importante oliare le risorse umane per evitare blocchi o dinamiche intrusive. Ma dalla nostra esperienza, questo rapporto poi sul campo significa che c'è il program manager, quello che detta il tempo, se devi vaccinare i bambini, lui sa che devono essere vaccinati, controlla le operazioni, ma poi ha al fianco il tecnical expert che ha una conoscenza del fenomeno e delle sue implicazioni, dialoga con il pm per aiutare sul piano dei contenuti, delle capacità e così via. Sono due funzioni delicate ma entrambe indispensabili quando si arriva ad un certo livello di complessità. 

In Italia noi siamo in processo inverso. Vogliamo rafforzare la territorializzazione anche se STC non è una struttura particolarmente democratica. Siamo una struttura molto verticistica, molto diversa dalle Acli, ma ci rendiamo conto che ai territori dobbiamo dare più peso e l’idea è mantenere salda una linea di programmi ma, con questo livello di know how, stiamo riflettendo molto sul tema delle comunità di pratiche, che è un tema molto interessante.  Vuol dire anche creare reti all’interno della stessa organizzazione, alla luce dei know how. Banalmente abbiamo la rete di punti luce, comunità di pratiche sono gli educatori dei punti luce, che magari si occupano di coding. Dal confronto tra loro, emergono linee di indirizzo che alimentano i programmi. Penso che alla luce dell’esperienza che stiamo facendo, avere i territori è una risorsa straordinaria.

Voi avete una struttura straordinaria. Voi siete nei luoghi più difficili. Penso a Quartoggiaro dove lavoriamo insieme, conduciamo insieme un punto luce in piazzetta capuana e se penso alle Acli a Quartoggiaro penso a ciò che la vostra territorialiazzazione vi consente di essere. La vostra territorializzazione è il patrimonio numero uno che avete e che pochi hanno a questo livello. 

Accanto a questo potreste riuscire a strutturare funzioni matriciali, che non inficiano ma creano comunità di pratiche, creano condivisione di know how e competenze, miglioramento quantitativo, in stc (che è molto strutturata) abbiamo anche un percorso di qualità e di misurazione di impatto molto importante che si chiama MEIL che è un sistema assicurato da un tutoraggio. E' estremamente complicato, ma in sostanza, accanto ai territori c’è sempre una funzione di qualità che va a misurare l’impatto di quel che si fa, con regole precise. Le organizzazioni vivono di reputazione. Viviamo di fondi privati quindi viviamo di reputazione. E’ fondamentale per noi essere in grado di dimostrare la qualità del nostro operato. Le fonti di monitoraggio, l'accountability e l'impatto sono fondamentali per ogni nostro intervento. E anche così il bilancio sociale. 

(...) 

Il solo fato di essere presidi democrazia e di apertura, in un momento in cui tutto sembra remare contro, è già una grandissima missione. Perché poi noi sappiamo che i diritti sono frontiere mobili, vanno avanti e possono anche tornare indietro. Anche solo presidiare che esistano luoghi aperti, intergenerazionali, dove le persone si rispettano a prescindere da dove provengano, dove si fa comunità, è già grandissima risorsa. Poi se si fa con il caffè corretto, va benissimo. Il fatto di essere in un determinato luogo da più del servizio che si eroga. Ora c’è la riflessione sul welfare generativo, ma cosa è, se non essere fisicamente sul territorio e fare in modo che tutti possano diventare una risorsa rispetto poi a tutti i rischi che si corrono, primo tra tutti isolamento sociale Io ho sempre in mente la vostra piazzetta capuana, si balla la pizzica, c’è il punto luce, c’è il segretariato sociale. 

Sempre più l’idea di un hub di servizi. No una semplice prestazione. Un luogo in cui incontri, promuovi. Che non ha una natura troppo a canna d’oca. Non faccio il caf, faccio il segretariato ma creo un luogo comunitario dove ti metti in gioco, puoi fare qualcosa.. .Credo sia molto importante in un’epoca prestazionistica, anche di caf e patronati, pensare ad un’epoca della reciprocità, ove le persone vengono messe in campo, non solo come utenti ma come risorse del territorio. Ora siamo insieme sulla battaglia per il REI. La nuova sfida è fare in modo che questo assegno non resti assistenziale, ma sia un contributo che mette in moto le risorse delle persone. Le fa riempire la vita delle persone di nuovi significati. E questo è un po’ la sfida. Diventare attivatori di comunità.

Lo dico non solo per le Acli, ma per tutto il mondo del terzo settore, evitare che prevalga la logica istituzione versus movimento. Il rischio credo sia per le organizzazioni più storiche, come le Acli ma anche altre, alla fine, di vivere ed essere vissute come un’istituzione. Il che va benissimo. C’è una componente istituzionale o di servizio. Ma probabilmente dobbiamo riscoprire il movimento. come base politica, culturale, che spinge in un altro verso. E’ necessario con maggior forza il senso di matrice… un senso di movimento. E' vero che l'appartenenza non è più l'appartenenza di una volta.  C’è militanza senza appartenenza. Quindi ci sono petizioni online, ci sono identità multiple, una persona non si sente più solo delle Acli. Magari fa le Acli e altre n cose. Non vuole la che la sua vita sia ingabbiata in una forma definita. Si cambia di più. Ma c’è grande bisogno di significati, quelli che la politica non riesce più a dare, penso a tanti ragazzi, abbiamo fatto con loro una serie di laboratori, se io fossi premier. Questo secolo ci chiede un risveglio dell’essere movimento. Non sentirsi troppo organizzazione. Essere una brava ed efficiente organizzazione, che proprio perché brava riesce a fare movimento. Movimento culturale, sociale, per il cambiamento.

(...)

Un’area a cui abbiamo dato molto spazio è il digital. E' una funzione che mette insieme un po’ tutto, sia parte interna che esterna, quindi di conseguenza comprende sia la gestione delle banche dati dei donatori ma anche social media, twitter... Tutto ciò che è gestione digital.  Consiglio anche a  voi di ragionare su questo, perché questa area è andata molto più in là dalla gestione sito. Capisco che c’è un mondo dietro, è giusto qualcuno lo governi. E la funzione qualità. 

Voi avete una rete impareggiabile sul campo, stc è niente, voi avete la presa diretta sulla realtà, che vi potrebbe consentire di portare in presa diretta sui tavoli cosa succede su tutti i territori. Cosa succede, quando inizia la scuola. Cosa succede quando si introduce una norma. Avete una possibilità enorme di raccogliere info sul campo in presa diretta e in modo diffuso. E' una possibilità che è di pochissimi altri, come voi. Quindi secondo me sarebbe utile, oltre al lavoro di studio e ricerca tradizionale che fa l’istituto di ricerca, avere e rafforzare i canali di studio innovativi e le modalità di comunicazione per avere immediatamente contezza di cosa succede. Questo in termini di advocacy è importantissimo perchè divide le organizzazioni che predicano da quelle che fanno. Si vede subito, ai tavoli, quelli vanno in ordine ai punti di dichiarazione e quelli che sanno cosa è successo. Bisogna esserci nei posti per dire come stanno le cose. Voi ci siete. Forse potreste costruire un modo per esserci con minore distanza tra centro e territori, un modo per avere un canale con maggiore consapevolezza.

Temi veicolari… Noi come stc ci siamo trovati per la prima volta con la questione dei salvataggi in Mediteranneo, con un tema divisivo, che non avevamo previsto. Stc era sempre stata dalla parte dei buoni, invece abbiamo scoperto cosa significa essere con un’opinione pubblica che si polarizza e non dialoga. Questi temi divisivi stanno riprendendo forza e come organizzazione ci troveremo in mondo polarizzato. Cosa fare? Una delle cose più importanti credo sia quella di restare saldi sul territorio e cercare di non perdere nessuno. In piazzetta capuana, ce l’ho negli occhi, Quartoggiaro, è difficile. Ci sono le acli dappertutto, il baretto con le slot e gli anziani che fanno la fila per la slot. Le Acli sono il presidio. E allora, veicolare alcuni temi, che poi sono i valori delle Acli, in questi luoghi di crisi, dove la crisi si sente di più e dove c’è il rischio che soffi un altro vento… 

Non credo ci sia da inventarsi. Restare saldi sui valori e farlo sul campo, nei territori complicati, le periferie delle nostre città, è già grandissima missione. Farlo sui temi del welfare, del  lavoro, ma anche dello sport… noi ci occupiamo tanto di povertà educativa, uno dei temi forti di contrasto alla povertà educativa è lo sport vissuto in modo sano. Quindi io credo che ci sia più che altro da mantenere con coraggio e senza esitazioni una visione che è quella vostra. Dell’aclista storica. Viverla con coraggio. Senza voler piacere a tutti costi a tutti. Il rischio di una grande organizzazione come la vostra è anche il fatto di dover sopravvivere, questo a volte è pagare un prezzo, in ermini di libertà di parola e posizione. Resistere a questo è già scelta coraggiosa. 

Avere una forte identità non è avere temi nuovi, è fare in modo che anche nell’ultimo circolo questi valori non siano mai messi da parte. Immagino per voi ci sia anche un po’ il rischio della normalizzazione del servizio,  dove essere Acli o non Acli non significa più niente. Business as usual. A quel punto certo, si perde tutto. Io penso che i valori siano molto chiari e molto attuali. Sono attualissimi. Sono tornati ad esser molto attuali. Tutto sta ad avere il coraggio e la forza di farli propri, anche in quelle parti di Italia dove è più difficile.

(...) 

Per le comunità di pratiche, ci abbiamo iniziato a lavorare da pochi mesi. L’abbiamo affrontata così: abbiamo scelto alcuni temi e gli strumenti che ci siamo dati sono dei portali. Ad esempio, ci occupiamo della fascia 0-6 anni, abbiamo creato un portale, non aperto, si accede con password, tutte le persone impegnate nei vari progetti, sia nostre che dei partner, i pediatri etc e si scambiano informazioni. Sono comunità di pratiche virtuali. Abbiamo visto che iniziano ad essere molto utilizzati.

Altra cosa sono state le summer school per gli operatori. Summer school tematiche. Una era per operatori dei punti luce, c’era anche qualcuno Acli a Milano. Gli operatori hanno costruito anche insieme la summer school, hanno scelto quali temi approfondire, abbiamo avuto degli esperti. In pratica un modello molto semplice, molto rozzo ma è così anche per il progetto sulla dispersione scolastica. Le summer school le facevamo per i bambini, abbiamo scoperto che sono importante per noi. Non è il congresso, non si decide niente. Ma si approfondisce e si fa comunità. 

La collaborazione tra noi è molto positiva anche perché siamo talmente diversi che non ci sono forme di concorrenza, non c'è sovrapposizione. Siamo due mondi completamente diversi, ma vicini agli stessi bisogni. ….

(...) 

Chi vi conosce meno vi vede come i vecchi della prima repubblica. C’è questa visione divergente delle Acli. Io vi conosco da vicino. Chi vi conosce poco, vi vede un po’ reduci di un mondo che non c'è più. Di un associazionismo in collateralismo. Ma il fatto che stesso che siete sopravvissuti alla prima repubblica dice che avete altro.






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Debolezza e forza del consumatore




Il consumatore, da solo, è la parte debole nell'interazione tra persona e impresa. E per questo ha bisogno di tutela.

Il consumatore, se assieme ad altri, ha una enorme forza da giocare nei confronti dell'impresa e delle istituzioni. E' sempre stato così, oggi, con le attuali modalità di comunicazione e con la centralità che la reputazione ha per un'impresa, è ancora più vero.

Il consumatore oggi non ha solo il potere di difendersi, ma anche quello di orientare fortemente il modo di produrre dell'impresa.

E orientare il modo di produrre di un'impresa non vuol dire solo ottenere prodotti migliori o prezzi migliori o condizioni di acquisto migliori. Significa anche poter incidere sul modo in cui quell'impresa organizza il lavoro.

Questo significa che non è detto che l'unica modalità di mobilitazione sia per forza sempre lo sciopero, che parte dai lavoratori. Possono esserci anche forme di mobilitazioni, come sono i cash mob e le campagne, che partono dai consumatori.

Occuparsi di lavoro, per le Acli, può voler dire molte cose. E non tutti i posti devono fare la stessa cosa. Oggi a Roma ragionavamo di recupero di eccedenze alimentari (cioè di come fare in modo che lo spreco non resti tale ma torni in circolo in modo utile). In altri posti sono partiti dei GAS (cioè dei consumatori che si mettono assieme per fare in modo comune i propri acquisti). In molti posti, compreso qui, ci sono forme varie di solidarietà. Come tutte le varianti della vostra tradizione del caffè sospeso, che proprio da Napoli si diffonde altrove. In altri posti ancora la solidarietà assume la forma di distribuzione di pacchi famiglia, aiuti concreti e pratici per la sussistenza.

Questi sono i filoni di attività che alle Acli interessano e che vogliono sviluppare attorno al tema consumo. Le forme possono essere diverse. E alcune cose si possono modificare. Ma in questo senso ci interessa e ci fa piacere che anche qui ci sia la voglia di partire in questa direzione. E speriamo di rincontrarci anche in futuro...

Liberamente tratto dall'intervento a Portici (NA). 

L'eccedenza




L'eccedenza, in una società dei consumi, non è una disfunzione del sistema. È parte integrante di un sistema disfunzionale. 
Occuparsi di recuperare gli scarti e rimetterli in circolo non è un fine, è un mezzo. È il mezzo per costruire reti che aiutino le persone scartate ad uscire dai margini e rimettersi in circolo. 
Ed è un modo per costruire alleanze tra soggetti diversi del territorio (chi produce, chi distribuisce, chi assiste, chi ha bisogno, chi amministra). E quindi costruire coesione sociale e comunità. 
Ed è un modo concreto, comprensibile e prendibile di fare qualcosa di socialmente utile. 
E, attraverso il fare e la riflessione sul nostro rapporto con le cose, è un modo per educarci tutti a stili di vita differenti. Persone ed organizzazioni. E per trovare (in virtù della rete e della acquisita consapevolezza) anche la forza e la motivazione per provare a cambiare il sistema. 
Insomma, dicevamo oggi, cose come il recupero delle eccedenze alimentari non sono azioni caritatevoli aggiuntive da accostare al normale fare Acli. Sono modi concreti di sperimentare modi nuovi di essere Acli. 

Sintesi liberamente tratta dal dialogo tra Lidia Borzì, Italo Sandrini e la sottoscritta. Su invito di Erica Mastrociani.

La gardenia


Al banchetto come famiglia. Su proposta ed invito degli scout, a raccogliere offerte per la ricerca per combattere la sclerosi multipla, un sabato mattina, in un ipermercato della periferia romana.
Luogo, tempo, causa, formazione.
È un frullatore di "cose fatte mille volte nella vita" e di "è comunque una prima volta, fatta così".
Insomma, è un'esperienza.

Pietro la sera prima vuole fare un cartello. Giovanni osserva, cercando il suo spazio.
Poi arriviamo, con due capi scout (marito e moglie, lei incinta) di reparto, che non conosciamo ed un ragazzo del clan. Montati i tavoli, sistemate le piante, si comincia.

Che sia raccogliere firme, vendere biglietti della lotteria, fare sondaggi o piazzare gardenie...cercare di intercettare la gente per strada è sempre un'esperienza istruttiva.
Farlo da genitore, assieme ai figli, aggiunge una variabile non secondaria.

Pietro sente il compito. Ci crede. E prova a parlare con tutti.
Pietro: se dicono no... lo capisco. Ma perché non mi ascoltano e non mi guardano in faccia?
Gli si legge in faccia che ci resta male, all'inizio. Non è rabbia. È stupore ed incomprensione.
L'istinto di pancia è di proteggerlo. Sottrarlo, offrire una spiegazione rassicurante o suggerire tecniche difensive. Ma è un attimo. Lui non molla, continua. E arrivano le prime offerte. E le prime gardenie. Ed allarga il giro. Va da solo, più lontano, nei corridoi...

Al banchetto sembra che la gente arrivi in autonomia, poi si avvicina "Ce l'ha detto il bambino...".
Mamma: Pietro, quando ti dicono di si, puoi anche tornare con loro. Così ti godi anche il momento bello.
Pietro: No, non serve. Ci siete voi lì. Io parlo con gli altri.
Lui semina, noi raccogliamo.
Altro che proteggere... Prima lezione.

Noi adulti abbiamo esperienza. Agli adolescenti, agli stranieri, a quelli con la faccia dura senza un sorriso non diciamo niente. Puntiamo a chi incrocia lo sguardo, alle signore, ai carrelli pieni... Valutiamo, selezioniamo...
I bambini hanno meno pregiudizi. Parlano a tutti. Senza distinzione. Non calcolano l'investimento. Seminano e basta. Seconda lezione.

Giovanni ha i suoi tempi. Ma poi si sblocca anche lui. Non riesce ancora a chiedere. Ma riesce a dare.  Gira a regalare palloncini a tutti i bambini.
Chiedere è più difficile di dare. Ci vuole più tempo. Certo. Terza lezione.
Anche con i palloncini, c'è chi è diffidente. Di nuovo. Lo stupore. L'istinto di protezione. E poi Pietro è in uniforme. È protetto da un'identità collettiva. Giovanni è spoglio, nei suoi vestiti normali. E con pure il dito rotto...

Mamma: non insistere, se non lo vogliono il palloncino...
Giò: ma non è vero che loro non vogliono. Sono le mamme che hanno paura...
Quarta lezione. La protezione che protegge troppo. Appunto.

Poi pian piano prendi confidenza anche tra adulti. Chiacchieri. Racconti. Spunta fuori un Sarajevo...
Stare in strada e cercare di parlare con la gente non è mai facile. Devi trovare il coraggio di buttarti. E mettere in conto la frustrazione di tanti che ti ignorano, molti che ti prendono in giro, qualcuno ti risponde male...

Però, dopo un po', impari a non dare per scontato niente. E a quel punto, al posto di notare la maggioranza che dice no, cominci a notare la minoranza che dice si.
E quando smetti di cercare il numero e la massa, cominci a vedere le singole persone. Vedi chi si ferma, chi ci crede, chi dà, chi chiede...

E vedi che c'è persino chi "ti vede" e al tuo "grazie" risponde "grazie a voi, che impiegate il vostro tempo qui".

Fa un po' strano stare al banchetto per una causa "non tua". E di cui in fondo non sai moltissimo. Ma ha un buon sapore. Di leggerezza, gratuità, fiducia.

Siamo tutti stanchi questo pomeriggio.
Ma è stata una bella mattinata. 

P.s. Pensieri della sera
Pietro: è strano, pensavo che era molto molto più facile vendere. Però pensavo pure che ne vendevamo molte molte meno...

Didattica innovativa


P: abbiamo inventato le barzellette per imparare la grammatica.
Mamma: si, carino, però non funziona!

#Dettotranoi www.faccioquellocheposso.com 

Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un...