Il grande flusso delle migrazioni come realtà sconvolgente che ci interpella nel nostro essere cristiani, chiesa, cittadini.




il grande flusso delle migrazioni come realtà sconvolgente che ci interpella in modo pressante nel nostro essere cristiani, Chiesa, cittadini.

Nuovo ordine mondiale: solo un sogno?
      La dimensione internazionale

Incontri di discernimento Pio Parisi dell’Ass. Maurizio Polverari -
spunti per il discernimento comunitario 


Premessa: 
Non sono in grado.
E non è un modo di dire.
Non sono in grado di fare una lettura geopolitica.
Non sono in grado di fare una esegesi sapiente.
Quello che provo a fare, sentendomi onestamente inadeguata, è mettere in comune alcune suggestioni, che vengono da discernimento personale o da riflessioni altrui. Da incontri.  Suggestioni nate a partire dalla mia esperienza in una ONG nei Balcani, in una Associazione come le Acli, in una esperienza come assistente sociale. L’ultimo incontro di spiritualità di Bose e l’esperienza con i minori non accompagnati è l’intreccio da cui attingo di più.


L’immagine: Jousef. Giuseppe. Il sonno e il sogno. Il sogno di Giuseppe.

Jousef è un minore straniero non accompagnato. E’ in comunità. E da poco sta facendo un tirocinio. Il suo problema è che non riesce a svegliarsi al mattino. Punta la sveglia, sul cellulare,  in successione, più volte. Ma non riesce ad alzarsi. I suoi compagni di stanza si lamentano. Nascono i conflitti. Il sonno è una trappola e una tenaglia.

La prima figura che ripropongo è Giuseppe, un figura che non parla, in tutto il Vangelo non dice una parola. Di lui si dice solo che “era giusto”.  E che era un sognatore. Giuseppe è la figura che esprime la capacità di assumere una grande responsabilità. E lo fa a partire da un sogno. Un sogno non suo. Ma di cui si prende cura. E che ha precise conseguenze nella realtà.

Ci siamo noi, come Jousef. Con la nostra fatica a svegliarci dai nostri sonni. A svegliarci per lasciare il sonno e accettare il sogno. Il sogno di un altro su di noi. Una realtà in cui ci troviamo, che non è la nostra realtà, non è ciò che vorremmo, non è ciò che desideriamo. E non riusciamo a riconoscerci.

C’è Giuseppe. Con la capacità di sognare e pregare mentre dorme. E di alzarsi e accettare di mettere il pratica in sogno di una altro, di giorno. La capacità di fare spazio all’Altro nella sua dimensione verticale, nel momento in cui siamo meno difesi, mentre dormiamo.

Giuseppe è colui che sa mettere a frutto le pause.
Sa sognare e pregare mentre dorme.
Giuseppe sa fare spazio ad un sogno che non è il suo.
Per questo è un grande sognatore.

Noi avevamo alcuni sogni su come sarebbe stato il nuovo ordine mondiale, negli anni passati. I nostri sogni non reggono. E oggi non riusciamo a svegliarci dal nostro sonno. Non riusciamo a staccarci dai nostri sogni, che sono senza conseguenze nella realtà.

Papa Francesco ha raccontato di avere sul tavolo un’immagine di san Giuseppe che dorme.  E quando ha un problema, una difficoltà, scrive un foglietto e lo mette sotto san Giuseppe, perché lo sogni! Un nuovo ordine mondiale oggi, un nuovo equilibrio, oggi è un po’ così. Un biglietto da mettere sotto la statuetta di Giuseppe. Affinchè lo sogni.

L’immagine: Giacobbe  e Giuseppe. Guardò intensamente il volto dell’egiziano e non lo riconobbe.

“Chi è quell’uomo di media corporatura, domanda Giacobbe, vestito nell’eleganza di questo mondo. Babbo, è tuo figlio Giuseppe, rispose Giuda. Con dolore e con amore guardò a lungo intensamente il volto dell’egiziano e non lo riconobbe. Accaddè però che gli occhi di Giuseppe per il lungo guardare si riempirono di lacrime che gli scorrevano giù per le gote. E quando il nero degli occhi fu tutto molle di pianto, ecco, quelli erano gli occhi di Rachele. Negli occhi di Giuseppe, il padre, Giacobbe riconosce  gli occhi di sua madre. Rachele”.

I ragazzi egiziani sono spesso i più difficili da comprendere, in comunità. Sono coloro in cui è più difficile riconoscersi. Ma sempre è difficile riconoscersi nell’altro quando è altro. Quando avviene è una sorta di miracolo. E di scoperta. E in fondo accade spesso tramite una mediazione. Riconosco Giuseppe, perché rivedo in lui Rachele.

L’immagine: Sara ed Agar. La tentazione passa dalla paura.

Sara, moglie di Abramo, Agar è la serva. Lei stessa, Sara, dà la sua serva ad Abramo, suo marito. Perché potesse avere una discendenza. Poi però nasce Ismaele, 14 anni, figlio della schiava, gioca con Isacco, figlio della principessa. Giocano. Il gioco è una alleanza. E’ un momento bello. Ma di fronte a quella scena Sara, la madre, ha paura. Ha la tentazione. E se lui vuole l’eredità? E lo allontana.

La tentazione è sempre in noi. La tentazione è la paura che l’altro voglia prendere il nostro posto.
E colpisce tutti, anche coloro che accolgono.

Jousef/Giusepe, Giacobbe e Giuseppe, Sara ed Agar. Sono queste 3 immagini che tengo a sottofondo del tentativo di ragionare sulle migrazioni e sull’assenza o presenza di un nuovo ordine mondiale.

Mondiale. Mondo.

Mondo è un sostantivo ed un aggettivo. Mondo, come mondo. Mondo come ordinato, pulito. Cosa è per me il mondo? Tutto ciò che ruota attorno a me e al mio godimento. L’idea di tondo, di cerchio. La circonferenza è l’insieme di punti che si trovano alla stessa distanza dal centro. Il mio centro sono io, il mio godimento, la mia soddisfazione.
Io misuro l’intorno, secondo quello che torna a me.
Ma ad un certo momento, l’altro sconvolge i miei piani, i miei progetti, il mio mondo. Ad un certo punto mi accorgo che l’altro non corrisponde all’immagine che ho di lui. E qui è difficilissimo. Non so come fare…ho paura, sono disorientato…
L’altro.
Questo sono le migrazioni per la società oggi. Sono il principio di alterità con cui fare i conti.
Sono tanti gli educatori, i volontari, gli attivisti che crollano qui. Anche sugli immigrati. Sui poveri. L’immigrato è prezioso, è il privilegiato. E io scelgo di dare il mio tempo. Di andare a lavorare in comunità. In associazione. Nel no profit. In parrocchia. E poi? E poi in comunità negli ultimi 6 mesi ci sono state 17 macchine di educatori danneggiate. E sono stati i ragazzi. Proprio quelli. E come faccio a tenere assieme questo con l’idea dell’altro?
Non ci sono valori materiali e valori spirituali. C’è l’uomo. Che può vivere in modo mondano o in modo spirituale. Non è che sei mondano perché parli di sesso e sei spirituale se parli di Dio. Puoi essere mondano nel tuo modo di parlare di Dio e puoi essere spirituale nel modo in cui prepari la pasta e fagioli per qualcuno. La differenza tra mondanità e spiritualità è se vuoi vivere come se l’altro fosse al tuo servizio. Anche a servizio del tuo progetto di accoglienza. O se riconosci all’altro la possibilità di essere altro.
L’uomo è quel vivente che fa esperienza dell’altro e quindi fa esperienza dell’al di là del mio mondo. Al di là del tuo mondo, delle tue idee, dei tuoi progetti. E in questo sta, in fondo, l’esperienza di incontro con Dio. Se non cerco di fare in modo che anche Dio sia una mia creatura.
Tutti noi, prima o poi, facciamo esperienza dell’altro. E se lo facciamo davvero sono esperienze durissime. Che ci mettono alla prova profondamente. L’altro, in quanto altro, non può essere governato. In fondo non può nemmeno essere del tutto compreso. Può essere soltanto o accolto o distrutto. Questo è l’abisso che abbiamo di fronte. Accogliere o distruggere.
Allora, noi diciamo: accogliere. Perché lo sappiamo che l’accoglienza è la risposta giusta.  Ma l’altro manifesta la sua alterità massima esattamente quando non può essere aiutato. Quando rifiuta anche il tuo progetto di accoglienza. L’altro è colui che tu non puoi aiutare, quando non lo puoi aiutare. E’ tremendo. E’ lacerante. E cercare di distruggere l’altro è il tentativo di uscire da questa lacerazione.   L’abisso in cui siamo oggi è spesso questo. Abbiamo di fronte la scelta tra accogliere o distruggere. Ma non siamo in grado di accogliere. E allora finiamo per distruggere. Cosa resta oltre questo loop?
L’abitare.
Se non possiamo distruggere e non possiamo accogliere cosa ci resta? Ci resta il quotidiano. L’abitare.
La definizione di abitare è in Genesi 15. Abitare non è stare. Abitare è coltivare e custodire. Cosa custodisci? Ciò che è tuo lo coltivi, lo costruisci. Ciò che non è tuo sei chiamato a custodirlo. Proprio perché non è tuo, non puoi costruirlo, non puoi essere tu a dirigere a dettare tempi e tappe. Ma puoi custodire. Proteggere, innaffiare, conservare…
In comunità è sempre presente il binomio tra educatori e custodi. Gli educatori, giustamente, vorrebbero essere educatori. Ma ci sono mille situazioni in cui non si riesce ad essere educatori. Perché l’altro non vuole, perché scappa, perché non accetta, perché non riesce. Cosa resta di fronte a questo? Resta l’idea di scacciare. L’accoglienza si, ma questo ragazzo non può più stare qui. Gli immigrati si, ma gli egiziani no. Gli egiziani si, ma lui no. E’ per proteggerlo. E’ perché ha superato il limite. E’ per proteggere gli altri. L’unica soluzione che ci resta è rimuovere il problema. Per rimuovere il disagio che non sappiamo affrontare. A volte è davvero l’unica cosa che si può fare. Ma c’è un’altra possibilità. C’è la possibilità di scegliere di abitare con. Di custodire e proteggere anche ciò che non vuole essere accolto.  Difficilissimo nella pratica.  Il vero eroismo. Ma, complessivamente, forse è l’unica strada.
Ma l’altro non è un oggetto. Non siamo solo noi i destinatari dei messaggi.
La guerra. Una bomba uccide i figli ad una madre. Se quella mamma dice: da domani io prendo un mitra e inizio a sparare a chiunque... noi, umanamente, che diciamo? Non è giusto, ma lo capiremmo...
Il testo biblico non dice a quella donna: ti capisco. Non lo dice, perché Dio la ama. Dio dice  a quella donna “non farlo”. Non fare del dolore ingiusto che hai subito una giustificazione per fare il male. Non farlo. Perché non solo ti metterai a distruggere, ma alla fine ti autodistruggerai.
Geremia. Lettera agli esiliati. Ad un popolo esiliato Dio dice: Costruite case ed abitatele. Piantate orti e mettete al mondo figli. Moltiplicatevi. Lì dove siete. Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportate. Pregate il Signore per esso, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere.
L’esperienza della deportazione, della migrazione, dell’esilio, diventa sempre una ingiustizia subita. E’ sempre un accumulo di esperienze drammatiche. E di dolore. E diventano ottime giustificazioni e motivazioni per avere reazioni distruttive. E noi di fronte a questo cosa diciamo? Noi spesso abbiamo un approccio ideologico. O diciamo: Fuori tutti. O diciamo: Non è giusto che gli immigrati distruggano. Ma in fondo li capiamo. E li giustifichiamo. Qualsiasi cosa facciano.
Ma non è così che li aiutiamo. Anzi,  è così che teniamo loro nella loro condizione di minorità. Perché da questo loro distruggere, può nascere solo distruzione. E loro, i più poveri, saranno i primi ad uscirne distrutti. Amare i migranti non vuole dire giustificare tutto. Non vuol dire solo “lotta per i diritti”. Vuol dire la lettera agli esiliati. Costruisci case. Pianta orti. Cerca il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare. Prega il Signore per esso. Perché dal suo benessere dipende il vostro benessere.
Vuol dire, anche detto agli immigrati, il Qoelet.  Non restare ad interrogarti se è giusto ciò che ti è successo. Soffermarti sul concetto di giustizia di ciò che ti è accaduto è vanità. Preoccupati degli altri, riparti, scommetti, di nuovo. Da lì può venire una nuova salvezza, anche tua.
I  piccoli e dei poveri. Il tema di Pio.

Sempre in Geremia. c’è l’immagine dei due cesti di fichi. I fichi buoni e fichi cattivi. Ci sono i falsi profeti che dicono che i fichi belli sono buoni e i fichi brutti sono cattivi. E Geremia dice: non ascoltate i falsi profeti.  Ma  Geremia non intende dire ingenuamente che i deporta­ti sono i buoni e i rimasti sono i cattivi, che i migranti sono buoni e gli stanziali sono cattivi. Geremia non rovescia banalmente i falsi profeti. Chi fa il simmetrico dei falsi profeti è anch’esso un falso profeta.
Non vi traggano in errore i profeti che sono in mezzo a voi e i vostri indovini; non date retta ai sogni, che essi sognano. 9Poiché con inganno parlano come profeti a voi in mio nome; io non li ho inviati.
Ciò che dice Geremia poggia su un altro piano. Dice che gli esiliati, i piccoli, i poveri,  si trovano in una condizione migliore di noi. Perché hanno meno possibilità di crearsi degli alibi. Gli altri, noi, possiamo ancora illuderci di essere a posto e di poter ristabilire l’alleanza con Dio a partire da noi stessi, con atti di culto e di buona volontà. I migranti, loro, invece, possono solo confida­re in un intervento totalmente gratuito di Dio, che apra a una prospettiva del tutto nuova.   
C’è una intelligenza e una sapienza sottili che vengono proprio dall’essere bisognoso. Non è una sapienza di rassegnazione o sottomissione. Ma è una sapienza di coscienza. So che dipendo dall’altro e da Dio. So che il mio destino non è solo nelle mie mani. So che ho bisogno di fare alleanza con l’altro e di fidarmi dell’Altro.

Anche lo stanziale, anche il ricco, anche noi abbiamo bisogno di una alleanza con l’altro e con l’Altro. Ma non ce ne accorgiamo.

E’ il tema di Pio, il tema dei piccoli e dei poveri. Il povero è colui che sa di non potersi dare la salvezza da solo. E’ questo che lo rende avvantaggiato e prezioso. 

Anche il povero può non vedere. Può competere. Può chiudersi. Non è lui come persona singola ad essere più buono. E’ lui come condizione ad essere vantaggiosa.

Ordine
Qual è il nuovo ordine? Quello che non c’è. L’apocalisse. Un ordine di giustizia.
La giustizia, che già dall’antico testamento, non si misura in leggi. Non solo. La giustizia dei capi, ad esempio, si misura dalla tutela che viene data verso orfani, vedova e straniero. E perché? Non perché ne abbiano diritto per legge. Anzi, proprio perché sono coloro che non sono in grado di far valere dei diritti. Sono impossibilitati a farsi valere da soli. Sono in balia degli altri. Non sono protetti né dalla famiglia né dal proprio paese. La giustizia dei potenti si misura da come sono in grado di difendere chi non è difeso. Nemmeno dal diritto.

Internazionale
Noi avevamo un’idea di ordine internazionale. Cioè tra nazioni. L’idea di una aggregazione territoriale. E ideologica. E di dimensione. Ma oggi viene meno l’identità nazionale. Viene meno l’idea di aggregazione come opportunità. Viene meno l’idea che la politica e le istituzioni siano il principio regolatore. L’economia governa la politica. Non vice versa. Le frontiere esistono per gli uomini ed in parte per le merci, non per il denaro.

Come nasce il nuovo ordine?
Il nuovo ordine mondiale non c’è. Ma la speranza riposa nelle assenze. E’ vero, le stelle sono molto lontane. Sono inarrivabili. Ed è addirittura probabile che alcune stelle che ancora vediamo non esistano già più. Ma cosa saremmo noi senza l’aiuto delle cose che non esistono?

M cosa esiste e cosa non esiste? Oggi, nel tempo della post verità?
I sogni non esistono. La speranza (non l’ottimismo) vede quello che esiste nel futuro, anche se non nel presente.

La pista non è un nuovo ordine internazionale.
E’ forse più verso un nuovo progetto di sviluppo integrale globale.
Tra popoli. Terra, tetto, lavoro.

Il nuovo ordine mondiale non può nascere in modo ordinato e strutturale.
Può nascere solo da un mettersi in movimento. Nel grigio della nebbia.
Su un piano che prima che istituzionale è politico e culturale.

Un movimento che metta assieme i popoli.
Come nell’ultimo incontro promosso da Papa Francesco.

E concludo con un brano di Chiara Patrizia:

In certi momenti
la resistenza al male
che sembra guidare la storia
e l'annuncio profetico
del bene della vita
è possibile solo
in uno "stare" silenzioso
davanti al Signore
e sperare in Lui,
uno stare dalla coscienza lacerata
che non ha altro
che il silenzio
per resistere
e per operare.

Il silenzio può diventare resistenza
politica e profetica. 





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