Storie di famiglia


Ogni famiglia ha le sue storie. Nella nostra, tra le altre, c'è quella del bis nonno Attilio.

Sindacalista, socialmente impegnato, rifugiato in Svizzera per motivi politici sul finire del secolo (800). Costruttore, nel senso di maker anzitempo (c'era un bellissimo schiaccianoci originale in ferro, che girava a casa della Nonna Maria, attribuito a lui). Inventore di un modellino di teleferica (che Andrea da bambino ha ammirato e rimirato a lungo) che si dice sia stato brevettato a Berna, con un brevetto poi abbandonato, pare, per impossibilità di continuare a pagarlo.

Le storie di famiglia, però, non si sa mai quanto siano vere del tutto. Spesso i ricordi si mischiano a suggestioni personali e miti famigliari. Non è mai facile stabilirne il confine, quando tutto è condito con gli affetti e i passa parola tra generazioni.

Alla Comunione di Marta esce, per l'ennesima volta, il discorso. Ma stavolta c'è il Giuliano (famiglia ramo Frulli) che tornato a casa verifica sull'archivio del Corriere della Sera e porta una prima prova di incrocio tra grande storia e piccola storia.

Che familiarità hai con il chiedere aiuto? Laboratorio di prossimità

                                     



Giuseppe Dardes


La proposta di riflessione che volevo farvi gira attorno alle cose che dirò adesso, con due premesse. Questo potete pensarlo come laboratorio di prossimità. Cosa significa vivere uno accanto all’altro con una forma speciale di attenzione, cura, reciprocità? Ma l’altro aspetto interessante è che questa cura, questa necessità di attenzione, esonda dalla comunità. E lo fa in un modo quasi inspiegabile, non sappiamo come funzione, ma sappiamo che è così, esonda e trova energie e modi per vivere questa prossimità anche con altre persone, fuori dalla comunità. 

 

L’ha detto anche Marta, questa prossimità ha qualcosa di speciale, perché sta sul piano e sulla modalità di tipologia dell’informalità, della spontaneità, della misura del possibile che puoi fare come persone e come famiglia. Non come professionisti. Non come persone totalmente dedicate. I figli della signora di cui Marta diceva prima,  li sentiamo un po’ nostri vicini. A volte li abbiamo portati in una gita in montagna. Una volta sono venuti a Madonna di Campiglio. Loro erano contenti, hanno visto la neve per la prima volta. Noi quando abbiamo deciso di andare abbiamo visto che avevamo posto in macchina e abbiamo detto: perché non invitiamo anche loro? Questa roba si fa così. Nello spontaneo, nell’informale. 

 

L’altra roba interessante è che ad un certo punto alle suore è arrivata la richiesta di una persona che viveva in strada e che, vivendo con un cane, durante i botti di capodanno aveva il problema del cane che impazziva. Le consorelle delle suore che c’erano qui l’hanno intercettato e lui ha chiesto: c’è qualcuno che mi ospita? Le suore… un uomo adulto… hanno detto no. Però hanno pensato: c’è un gruppo di famiglie che vive in periferia, chiedi a loro…  

 

La prossimità è contagiosa. Le suore avevano una cappellina, che aprivano una volta l’anno per il rosario. Non veniva usata. Lui vive là. Usa il bagno qui e usa il caffè qui, ma vive là. Non ha accettato forme più robuste di vicinanza. Ma passando da una situazione di strada, che è al limite della dignità umana, in costante pericolo, con problemi di salute, adesso comincia, in questa forma, a sperimentare la vicinanza. A Natale l’abbiamo invitato a mangiare insieme, io non c’ero in quel momento, uno dei vicini gli dice: ti va di fare una partita a scacchi? Lui accetta, gioca e straccia in modo imbarazzante il mio vicino. Da lì arriva il racconto: io ero campione di scacchi nella mia città. Lui arrivava dalla Repubblica Ceca ed era un campione di scacchi. C’era una risorsa, un talento, che riemergeva.  Ma non lo scopri in un contesto di passività, lo scopri nella prossimità, in ciò che ti fa sperimentare che la persona, al di là dello stigma e della situazione del momento, ha risorse. Lui è un grandissimo lavoratore. Qui ha iniziato a sistemare la legna,  a fare mille lavori. È lui che ha la passione per sistemare le cose. Le suore gli hanno proposto una assunzione presso il vivaio che cura la frutta. 

 

Tutto questo passa per un’esperienza che è innanzitutto personale e famigliare. Noi ci troviamo, personalmente e come famiglia, a rispondere a richieste. Sei interpellato e devi dire si o no. Allo sguardo della persona che chiede aiuto puoi corrispondere lo sguardo. Puoi dire si o no. Ma inevitabilmente quello sguardo ti interpella. Ti lascia a disagio. Su quel si o no si gioca moltissimo della relazione che tu hai con gli altri. Come persona, come famiglia, con chi vive fuori. 

 

C’è una situazione che mi interpella. Io, personalmente, che faccio? 

Personalmente, come famiglia, che faccio rispetto a domande come queste? 

Di pancia, puoi fare qualcosa? Se si perché, se no perché?

 

Per l’ospitalità e l’accoglienza passa molto. Sull’accoglienza di una persona si gioca il nostro rapporto con il mondo. Voi sarete chiamati a misurarvi personalmente, ma sarete anche chiamati a sollecitare altri nel farsi carico. Entrambi questi aspetti hanno a che fare con il promuovere ed animare forme di comunità che abbiano senso. C’è sempre un oltre a noi. 

 

Al di là di ciò che posso fare io come famiglia, come posso allargare la rete dell’aiuto? Come posso coinvolgere altri? Io posso farmi carico di un pezzettino di risposta. Posso dire, io ci sto. Ma ad un certo punto devo dirmi: perché solo io? Lei, che magari  è una mamma della scuola, può fare qualcosa di questa cosa qui?; Lui, che frequento perché giochiamo a calcetto, può….

 

Questo è attivare trame di prossimità. Attivare. Non farti carico da solo. Ci muoviamo in modo anche un po’ leggero. Un pezzettino lo fa lei, un pezzettino un’altra famiglia…

 

Questo ha a che fare anche con il fare i conti con chi noi siamo. Io so di essere una persona timida, con una capacità di attivazione che è un decimo di alcuni miei vicini. Devo farci i conti. Ma anche per questo sono qui. Sono andato a mettermi vicino a gente che mi tiene attivo. So che così non mi addormento. 

 

E ha a che fare con il come chiedo aiuto? Come mi sento a chiedere ad altri? Persone, famiglie, circolo, associazione, parrocchie? Che familiarità ho con il chiedere? Il modo con cui mi rapporto al mio stesso chiedere ha a che fare anche con il modo con cui mi sento di fronte a qualcuno che mi interpella... 

Collina del Barbagianni: comunità di famiglie




Giuseppe Dardes: Tema che ci è particolarmente caro. Il rapporto tra territorio e comunità di famiglie. Lo scambio con i miei vicini, sul lavoro di oggi pomeriggio, è stato per me particolarmente illuminante, perché mi porta sensibilità diverse e che illuminano aspetti che, condizionato dal lavoro che faccio, rischio di dimenticare.  

 

Approfittando della presenza di Marta, quindi, mi fa piacere avere il suo punto di vista, perché un aspetto che ci teniamo a sottolineare è che una comunità di famiglie non è una comunità di uguali. E’ una comunità di differenti, gusti, sensibilità, attenzioni… Persone che vivono insieme e cercano di convivere con queste diversità. 

 

Vi abbiamo già detto, sia io che Bea, che lo stare qui, in questo modo, con questo tipo di presenza, questo gruppo di famiglie che stanno assieme, in un modo un po’ speciale, con questo tipo di comodato d’uso degli spazi, ha attirato l’interesse e l’attenzione di molte persone. Quando hanno scoperto chi eravamo, hanno iniziato a chiederci cose, le più diverse. Aiuti, vicinanza, ospitalità… sono cose che ci interpellano molto. 

 

Questo è un tema che penso possa interessarvi, come operatori sociali, per il lavoro che state facendo. Come una domanda di aiuto, che viene intercettata da una persona o da una famiglia, può essere percepita, vissuta, gestita. Come può essere vissuta come famigliare e allargarsi alle persone che con te condividono una esperienza. E’ qualcosa per noi di molto forte. Ma può riguardare tutti. Un circolo Acli, una classe, una parrocchia... Chiunque viva una prossimità  è interpellato da situazioni che sostanzialmente chiedono: Tu, puoi farti vicino a me? Tu, cosa puoi fare per me?

 

Marta: 43 anni, al momento insegnante, sposata con Enrico, 15 anni, 3 figli di 14, 12, e 3 anni e mezzo. In realtà io non ho idea di chi voi siate, ma mi venivano in mente 3 cose. Roma è una città di circa 3 milione di abitanti e ha una frammentazione per cui vivere nel 3° municipio è come vivere nel Comune di Macerata, è una realtà parecchio complessa. Noi veniamo tutti da un’altra parte. Le nostre radici e le nostre reti giovanili le abbiamo tranciate, di fatto, attraversando la città. Venivamo da un’altra zona, da Roma ovest. Questo per dire che noi siamo dei recenti abitanti di questo luogo. E lo posso dire che il primo anno qui ero completamente disorientata, completamente straniera. Mi sentivo dire… quella è una parrocchia, poi ci vuole fantasia per riconoscere come parrocchia quella cosa fatta per il Giubileo. Ti perdi, all’inizio… dove è la parrocchia? Dov’è una tintoria? Dove passa la vita del quartiere?  Sono quartieri storici, non c’è piazza… in più, noi siamo in collina.  La collina è un posto che se non lo conosci non lo trovi. Il 208 se passi veloce sulla strada, non lo vedi e tiri dritto. Siamo in un posto per cui devi fare una strada sterrata per arrivare. Quando vengono da noi, c’è chi lascia la strada in fondo, per non rovinarla salendo. Ma anche la strada lì in fondo, non ha vetrine su strada. Le persone di qui non passano. Prima c’erano le suore… 

 

Qui, adesso, abbiamo assunto un briciolo di visibilità, ma c’è voluto tempo. E abbiamo assunto visibilità non perché lo ricercassimo. Una comunità di famiglie non ha un mandato di visibilità. Tutte le esperienze che la comunità vive sono il frutto generativo di uno stile di vivere insieme. Non è che veniamo qui perché vogliamo fare accoglienza o per vivere nel verde o per risparmiare energie. La rete ha ormai una 40ina d’anni, tu vieni qui perché l’hai ascoltato dagli altri, hai sentito che se vivi in questo modo generi aperura, condivisione… sai che potrebbe profeticamente accadere. Ma non è che sei qui e metti il cartello “Siamo qui, venite”. All’inizio c’è stato un inizio di biologico, dopo un paio d’anni non c’è più. Tutte le forme generative non sono progettate, sono conseguenze naturali di uno stile di vita. Sono anche più complesse da gestire. Come decidiamo di farle assieme? Ad un certo punto è arrivato il cane.  Ma non ne avevamo parlato, è arrivato, poi passano 3 anni e non riesci a pensare a questo posto senza di lui. Le dinamiche con cui le cose accadono, sono dinamiche appartenenti alla categoria della vita. E dipendono dalle persone che abitano un posto. Magari io ci tengo tanto ad una cosa. E se a questo ci tengo, vi tengo svegli fino a quando non decideremo.

 

Come tutte le famiglie, la prima relazione sono i figli. Attraverso i bambini che abbiamo mandato a scuola abbiamo incontrato il mondo che passa per le scuole.  Avevamo idee diverse sulle scuole.  Chi Montessori, chi Steiner, chi pubblica, con 10 figli copriamo 5-6 scuole. E’ significato tanto. Inizi con: la festa di fine anno la facciamo qui… il regalo per le maestre lo facciamo insieme… viene naturale, hai spazio, proponi, la gente inizia a venire… E qui inizia a passarci di tutto, dall’ iraniana sposata con il siculo, a gente che fa il politico in municipio. Passano di qui per qualche motivo. Questo è un canale fondante delle relazioni sociali. I ragazzini e ciò che scambiano a partire dalla scuola. 

 

Poi ci sono le conoscenze personali e i ganci che ognuno di noi ha lanciato in vari ambiti. Sicuramente quelle parrocchiali. Ci sono almeno un paio di parrocchie, più la parrocchia dove fanno scout. Abbiamo deciso di mandarli tutti in uno stesso gruppo scout. Perché gli accompagni siano più facili. Alla fine ci sono gli incontri personali o di famiglia. Non necessariamente legati al territorio. 

 

C’è una famiglia rom con 10 figli. Oggi devo passare da loro perché oggi i servizi sociali vanno a fare una visita e hanno paura…La rete Caritas dà il pacco viveri, i soldi per la benzina a volte, non ce la fa a fare molto di più. I servizi li abbiamo attivati noi, magari, dopo tutto l’iter, arrivano a prendere 100 euro. Noi cosa facciamo, esattamente? Niente di specifico. Un po’ quel che possiamo e quel che c’è bisogno. Una differenza che c’è con le comunità di famiglie al nord è che loro sono sollecitati dai servizi. E non accolgono mai se non c’è dietro un progetto gestito dai servizi sociali. Qui i servizi sociali sono muti. Qui i servizi non arrivano a chiederci aiuto. Siamo noi a sollecitare i servizi a entrare in gioco e fare la loro parte. Qui il massimo che riescono a fare i servizi è intercettare i disagi stratosferici, le situazioni che esplodono. Noi ci siamo già affacciati due volte e il massimo che è stato fatto è stato mappare i servizi privati per capire come appoggiarsi a chi fa. 

 

Giuseppe Dardes: Quando Marta dice noi, non intende un noi corale di comunità. Noi ci sentiamo dentro, in qualche modo, ma è lei che questo pomeriggio alle 5 va da questa signora. E’ mia moglie che passa a prendere i figli di Ana quando serve e li porta in collina. Gli amici di Dario e Paola avevano un compagno del figlio in una scuola che ha avuto uno sfratto esecutivo gestito in modo brutale. Con 3 minori. Il risultato è stato una coppia vicini che hanno detto: ci date una mano per il trasloco, perché hanno bisogno di un posto provvisorio, poi dovrebbero andare da un’amica? Sono stati qui 8 mesi. Un po’ qui, un po’ dalle suore, un po’ i referenti… Le figlie hanno la stessa età di due figli qui, è venuto naturale.  Ma poi ogni famiglia è una famiglia. E ognuno dentro la sua famiglia deve fare i conti con le proprie dinamiche di accoglienza. C’era anche il figlio 16enne che diceva: col cavolo che tieni in casa figli di altri!  

 

Marta: Non c’è la comunità come soggetto unitario. C’è la singola persona, poi c’è la famiglia. Quello che ciascuno, come persona o come famiglia, intercetta, poi di fatto può diventare in parte condiviso, in quelle che sono le nostre riunioni di condominio.  Per me sono momenti piacevolissimi, non formali, innaffiate da limoncello e mirto. Con il gusto di stare assieme. In questi momenti c’è reciproco riconoscimento e ci possono essere tentativi di trovare soluzioni. Che sono aiuti a fare ma anche a prendere distanza. Quando uno si ficca dentro in una relazione di aiuto, magari porta un carico affettivo eccessivo, che non ti fa guardare nella direzione corretta. Rischi di scivolarci dentro in certe situazioni complicate. Gli altri ti fanno da ancoraggio, su un dato di realtà, ti aiutano ad aggiustare la mira. L’impegno con quella famiglia me lo sono preso io. Ed è mio. Ma non fosse altro, c’è il fatto che io posso andare là, perché qualcun altro sta con mia figlia mentre io sono là. 

 

Noi non abbiamo una capacità professionale. Si prova a stare accanto con il buon senso ed eventualmente con la ricerca di persone che invece possano dare un aiuto professionale. Più attento. Ci siamo passati dentro, nelle storie, ne siamo usciti, anche con le ferite. Abbiamo intercettato gente diversa… 

 

Se tieni la porta aperta, entra un sacco di mondo. Ma gente davvero bizzarra. Non so che percezione avete voi di voi stessi. Ognuno rischia di essere monotematico nella propria esistenza. Ti accompagni con gente simile, per interessi, per ceto, per cultura. Intercettare chi porta una diversità totalmente altra è un regalo della vita, ma non sempre se lo si riesce a concedere. Soprattutto se uno vive in una famiglia mononucleare, dove hai l’obiettivo di tenere in piedi la tua famiglia. Pagare le spese del tuo sistema abitativo, pagare le spese correnti. La percezione che avevamo  Enrico ed io era che dovevamo tirare su 1.500 Euro per affitto, più utenze, più macchina, più resto.  Vai al lavoro, trovi la baby sitter, cerchi di stare dietro alle cose… dove è lo spazio per incontrare il resto del mondo? Forse il fine settimana. Forse.  La mia esperienza è che l’impatto dell’esterno su una famiglia mononucleare è molto forte. Qui c’è un assorbimento più diluito. 

 

E poi ci sono le condizioni logistiche che abbiamo trovato. Intanto, nessuno di noi ha una stanza in più, in casa. Quindi se riusciamo ad accogliere, è fuori dalle 4 mura dell’appartamento in senso stretto. E in più hai gli occhi e l’affetto degli altri, che se proprio viene qui uno che è tossico e che ha un impatto sui figli che potrebbe essere negativo, te lo  dice prima, che forse stai esagerando. Oppure trovi qualcuno che dice: di questo te ne occupi te, perché ti stai sedendo…  Di solito le persone si sentono interpellate. Le relazioni si aprono.

 

La prima persona accolta era un uomo che aveva avuto una crisi con la moglie e aveva bisogno di uscire di casa. Era una fase acuta, abbiamo detto:  vieni a vedere, ma devi essere molto adattabile, la porta è ancora chiusa con il laccetto, gli infissi non sono chiusi. Era maggio. Il sabato ha visto, il lunedi è arrivato con le sue cose. Era arrivato al limite, aveva bisogno di un’alternativa. Era primavera 2011, eravamo qui da un anno. Ci siamo resi conto che la sua presenza, arrivata per caso, ci ha dato il la per spostare lo sguardo dall’ombelico famigliare e comunitario. Il primo anno stai molto attento alle relazioni tra noi. Il suo arrivo ci ha fatto un gran bene. Ha innescato un processo di riattivazione di noi stessi verso l’esterno. L’equilibrio è sempre molto dinamico. Come per una persona. Cosa ti tiene in piedi? Quanto sei diretto verso l’esterno e quanto prendi tempo per la cura di te e per mettere a posto la tua centratura. Nel giusto strabismo di guardare dentro e fuori c’è l’equilibrio. 

 

Bruno Volpi, che ha iniziato la prima esperienza di comunità, racconta: Ci siamo salvati perché il cancello era rotto e quindi la gente entrava. Mi sembra una buona metafora del fatto che c’è bisogno di stare sulla soglia. Walter Tocci parla di soglie come luogo del passaggio, come luogo necessario per stabilire relazioni, anche per attivare un pensiero urbanistico. C’è anche una poesia di Rilke, c’è Carlo Cellamare che dice che oggi quello che c’è di vivo a Roma è lontano dal centro e fuori dalle istituzioni. 

buon ramadan


Buon inizio di Ramadan a tutti coloro che vivranno questo periodo con intensità.

Buona pazienza e buona fantasia a coloro che lo faranno in Italia e che mille volte si troveranno a dover inventare i modi per restare se stessi e restare con gli altri. 

Buona pazienza e buona fantasia anche a coloro che, senza aver scelto, si troveranno a riformulare piccole e grandi cose, per accogliere le scelte altrui. 
In fondo è ciò che capita su tutto.
In fondo è di quel tipo di pazienza e fantasia che abbiamo tutti bisogno! 

Sfrattati


Un modo di fare giornalismo che è anche un modo di fare ricerca. E anche di fare politica ed attivismo. Il tema della casa, come snodo cruciale per comprendere una società o una comunità e le sue dinamiche. La casa come luogo fisico e di identità. La casa come parte di un quartiere. La casa come elemento cruciale della declinazione di povertà. Effetto ma anche causa. 

Matthew Desmond ha passato 1 anno nei quartieri difficili di Milwaukee. Tra il 2008 e il 2009. 
E poi ha studiato, approfondito, rielaborato e scritto. Pubblicando nel 2016. 
Nel 2017 per questo lavoro ha ricevuto un Pulitzer. 

Tra le righe, oltre ai componenti di 8 famiglie, anche i diversi ruoli che si interfacciano con questi luoghi. Gli assistenti sociali, la polizia. Ma anche il padrone di casa, l'affittuario, il vicino, l'insegnante, il prete e... il "gestore di proprietà in affitto. 

Abitare lo spazio periferico è una sfida appassionante per la società civile


Abitare lo spazio periferico è una sfida appassionante per la società civile. Faccio una breve premessa e poi articolo in 3 punti. Ringrazio Danilo Catania che ha preparato i materiali che hanno istruito ciò su cui io reagisco e a cui cerco di aggiungere qualcosa. 

Innanzitutto specifico da che punto di vista parlo. Dove mi colloco per ragionare. Di mestiere io insegno alla gente a trovare competenze per governare le grandi aree metropolitane. Sono pagato per insegnare le tecniche e i processi di governo. Oggi non parlo di questo, non mi colloco da questo punto di vista. Non parleremo di governo dei territori.

Un altro pezzo del mio mestiere è cercare di capire meglio cosa non va e come si potrebbe fare andare meglio le politiche di sviluppo economico produttivo delle aree metropolitane. Oggi non parlerò di questo. Non tratteremo di politiche e di forme e tecniche di governo.

Cercherò di parlare di ciò che attiene alla attualità delle Acli. Il mio mandato è capire se, negli scenari delle periferie delle città piccole e medie e grandi, le Acli hanno una loro attualità. Io parlo oggi facendo ciò che non bisognerebbe fare. Non dirò cose concrete. Non userò la forma narrativa. Farò una lista di cose che mi sembrano importanti.

Fatta questa premessa, vengo ai 3 punti: L’inquadramento di contesto. La definizione di periferie. Gli elementi di metodo per fare inchiesta sociale nelle periferie.

1. Inquadramento di contesto
C’è una questione di contesto che non è urbana. Non è nemmeno tanto italiana. Si declina in modo diverso nei territori. Se guardiamo a cosa la società civile fa nei territori, specie in quelli in difficoltà, vediamo che ci sono 3 cose importanti: solidarietà, politica, innovazione. Si possono chiamare in molti modi: protezione, mutualismo, dare una mano... rappresentare, governare, cercare soluzioni… fare le cose in modo diverso, tenere conto di come cambia la società... Comunque sono tre cose che si triangolano quando si fanno iniziative nel territorio. Il contesto in cui viviamo è un contesto in cui queste 3 cose fanno molta fatica a triangolarsi. Abbiamo realtà che fanno bene, che cercano di rappresentare, ma sono tradizionali. Abbiamo realtà che sono molto solidali e cercano di usare le nuove tecnologie, di innovare ma non salgono di scala, non fanno rappresentanza. Abbiamo realtà che fanno bene innovazione, riescono a fare lobby, ma se ne fregano della solidarietà. Magari c’è qualcuno che riesce a triangolare tutte e tre le dimensioni, a volte. Ma la grandissima parte delle organizzazioni ha il problema di non riuscire a triangolare questi 3 temi. Se tiene su una dimensione, si perde sull’altra. Se enfatizza l'innovazione, diventa egoista e finisce per proteggere poteri forti. E viceversa…In questo contesto, il terzo settore non è mai stato così tanto lontano e così in difficoltà con la politica, come ora. La difficoltà è iniziata a destra e poi si è espansa a tutti. Dappertutto in Europa. In questo quadro, progressivamente, il terzo settore, nelle sue espressioni un po’ bigotte, ha avuto per primo difficoltà con la politica più di destra, poi anche quello attento ha avuto progressivamente difficoltà ad avvicinarsi a partiti politici di sinistra… 

Prima comunione




Mi ci vuole più tempo per sedimentare e scrivere. E di foto buone praticamente non ce ne sono ancora. Tranne quella di ieri sera, tutte le famiglie, dopo le pulizie. Ma non so se tutti gradiscono pubblicare foto dei figli. 

Per ora dico solo: 
La fede (la ricerca della fede)... non è un  fatto individuale.
Ed educare non è un'impresa individuale. 
(Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio, diceva qualcuno, altrove da qui).

In questa Prima Comunione di Pietro e forse in generale in quest'anno è è di questo che abbiamo fatto un po' esperienza.

Ora siamo stanchi, della stanchezza buona che viene dalla sensazione di aver fatto qualcosa di sensato. E siamo grati. A tutto e tutti. Tutti quelli con cui abbiamo, in modo diverso, avuto modo di condividere questo cammino, questi figli, questo momento. 

Gli eventi sono momenti e sono segni. E i segni sono belli e contano e riempiono.
Ma ciò che conta di più è la quotidianità, la semplicità, la normalità e i rapporti che si tessono, nel tempo. Sono quelli gli elementi  in cui ci troviamo più a nostro agio. 

Da qui, quindi, con calma, di nuovo, e ancora: 
"La strada si apre. Passo dopo passo. Ora, su questa strada, noi. 
E si spalanca un cielo, un mondo che rinasce, si può vivere... per l'unità".
Unità. Che non è mai la sfera, ma il poliedro. 

E intanto: 
"Canta come cantano i viandanti. Non solo per riempire il tempo. 
Ma per sostenere lo sforzo. Canta e cammina. Canta e cammina.
La fatica aiuta a crescere, nella condivisione". 

Con l'augurio a Pietro, Matteo, Tiziano, Samuele, Guglielmo, Anna Laura, Alessandra, Zeyna, Nicole e Elena Sofia (e a tutti gli altri venuti prima e che verranno dopo) di assaporare fino in fondo il calore e la prorompente bellezza di quelle mani posate sulle spalle ad indicare la via. 

E a noi genitori, di fronte al loro meraviglioso (ma a volte un po' spaventoso) diventar grandi, l'augurio di saper trovare i modi opportuni per esserci. Ma anche l'augurio di saper riconoscere ed accettare tutte buone alleanze educative, e saper fare i passi indietro necessari per lasciarli camminare e andare per le loro strade... 

(E poi tra meno di 20 giorni si sale a nord che c'è Marta ed è condivisione con un altro pezzo di mondo...)

Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un...