Il calabrone può continuare a volare altri 70 anni... (Giovanni Bianchi)

Nota: sono appunti presi in diretta e non rivisti dall'autore. Ma era troppo interessante da non condividere....

Paolo Petracca: Max Weber dice che le organizzazioni non durano più di 50 anni. Le Acli ne hanno 70. Secondo te, cosa ha permesso alle Acli di essere ancora vive e vitali (anche se ne vediamo con preoccupazione gli aspetti di invecchiamento) dopo 70 anni? 

Giovanni Bianchi: non ci avevo mai pensato ma... è anche bello smentire Max Weber!   

10 anni fa’ alla commemoriazione romana di Pino Trotta, in via della Conciliazione, alle Paoline, organizzata da Pio Parisi, il teologo Biscontin disse che ormai le organizzazioni e gli ordini religiosi vanno incontro ad una grande usura e devono mettersi in testa che possono anche sparire. 

Le Acli hanno 70 anni e ci sono ancora. E’ bene. Ma è bene che le Acli non siano solo vive e vecchie. Ma che continuino a inquietare e a fare problema.

Parto dalla concezione delle Acli che mi sono fatto.

La metafora che Labor usava per le Acli è il calabrone. Uno guarda il calabrone e dice “questo non può volare”  e invece vola. Le Acli sono questo paradosso.

Disse Gigi Borroni in un intervento stupendo: Amici e compagni, dobbiamo renderci conto che ormai i sessi principali sono due. E pose un problema enorme. 

Le Acli sono anche questo. Sono una cosa complessa e piena di contraddizioni e paradossi. Nella quale sta dentro veramente tutto.

Per esempio, siamo un’associazione di lavoratori cristiani che nasce su suggerimento di Montini. Dopo l’unità sindacale, ci vuole qualcosa che garantisca la Chiesa nell'ambito del lavoro. E le Acli diventano movimento di formazione di lavoratori nel sindacalismo unitario.

E' centrale la figura di Achille Grandi. Achille grandi fin dall’inizio è un cattolico impegnato, poi è un padre della Patria, un costituente... ma, fin dall’inizio, è molto autonomo. E' rimasta famosa l'alzata di ingegno di Achille Grandi: C’era il non expedit. Ci fu il Patto Gentiloni in funzione anti socialista, i cattolici avrebbero votato i candidati liberali. Achille Grandi che allora lavorava alla Curia di Como, il giorno delle elezioni organizzò una gita al monte Bisbino. E nel collegio di Como passò il candidato socialista. (Lui poi fu licenziato...) Achille Gande è un padre della patria. Un costituente. Un firmatario del patto di roma. Dovremmo far pubblicare dalla Camera i discorsi di Achille Grandi, anche se non furono molti. 

Le Acli sono un’associazione complessa. Che per esempio  nasce con questa funzione (di essere una preesnza di formazione cristiana nel movimento sindacale) ma da subito ha migliaia di amministratori locali. E’ nel mondo del lavoro ma da subito è impegnata politicamente. E' unica da questo punto di vista. La politicizzazione delle Acli è naturale, dall’inizio. Io ho un'idea essenzialmente politica delle Acli.

Se vai all’estero non riesci a spiegare le Acli. Ogni volta devi dire una serie di cose e poi specificare… no, siamo un’altra cosa. In tutte le puntate fuori dai confini mi è sempre successo. Per gli altri era sempre difficile fare i conti  con questo oggetto misterioso.

Le Acli sono un'associazione con un forte radicamento ecclesiale. Non solo per la presenza degli assistenti. E anche in modo originale. Pensiamo a Livio Labor, alla sua storia… nasce a Leopoli, da padre socialista, filantropo, medico, ebreo, poi si converte al cristianesimo e alla morte della moglie diventa prete. Lo ordina sacerdote un vescovo anti fascista e lo fa anche capo del seminario. Abbiamo una serie di cose incredibili nella storia delle Acli.  Non basterebbe la fantasia di Joseph Roth per un romanzo.

Questo si accompagna al fatto che, ad ogni fase storica, le Acli hanno saputo adattarsi e adattare il proprio mestiere. La ragione sociale complessa consente agli aclisti di rispondere al momento storico in modo particolare.

Mi collego alla lectio. Per questo periodo per noi difficile in famiglia, dopo la morte di Sara, è proprio la visione di Ezechiele che andiamo a riprendere... le ossa che tornano vive... è un'immagine incredibile... è una cosa che ti accompagna e turba. Ma ce ne è bisogno.  Questo appartiene molto anche alla nostra vicenda di Acli.

Mi sono andato convincendo che c’è una specificità aclista,  nella complessità. Siamo l’unica organizzazione ecclesiale democratica dalle radici in su. Noi continuiamo a fare i congressi. Anche le forze politicche (forze forse oggi è meno appropriato...) i congressi non sanno più cosa sia. Fanno le convention... Noi i nostri congressi li facciamo. Anche con le bordellate. Che non sono una bella cosa, ma ci sono. La vita democratica da noi c’è, è rimasta ed è importante.

C'è un confine sul quale ho sempre cercato di muovermi…Io ho concezione della vita e delle Acli politica. Perché la politica dà ragione della complessità. La politica seria parte dal riconoscimento del suo limite: che non tutto è politica. E che c’è anche l’insufficienza della politica. La politica arriva ad un punto in cui i suoi mezzi sono scarsi. Martini lo dice in una relazione degli anni 80, in Cattolica, parlando ai giovani e pone la domanda che da aclista con Pio ed altri mi sono sempre posto: è possibile la santità politica? La risposta di Martini è netta: No! Ma quello che è impossibile all’uomo  è possibile a Dio. 

Giovanni Battista che manda a vedere "cosa fa quello lì" e quelli riportano 6 guarigioni impossibili... 
Il giovane ricco a cui viene chiesto di vendere tutto e darlo ai poveri... 

La Parola di Dio entra nelle situazioni impossibili. Io mi sono sempre sforzato di vedere le Acli su questo crinale e di pensare che il filo è nella nostra complessità che vive nelle diverse fasi storiche cambiando il mestiere. 

Il rischio in questa fase è che se non stiamo attenti ci trasformiamo nella associazione di gabellieri cristiani. Che non è il futuro che io vorrei vedere seriamente per le Acli... 

Cercare dentro la storia i semi del Regno e fare con la politica quel che puoi, sapendo che la politica non può tutto ma che c’è l'altra possibilità. Mi pare questo il confine su cui io interpreto si muovano le Acli. 

Mi sono confermato di questa visione all’inizio di quest’anno. C'era un dibattito a Desio. Una serata su Martini: Movi Ovadia, Franco Agnesi ed io. Parlando di Martini io ho fatto questo ragionamento. Moni Ovadia poi è intervenuto e ha detto “Martini era anche il mio cardinale. Sapete io non credo ma non sono ateo, sono agnostico. E io dico che Martini è anche il mio cardinale perché mi ritrovo perfettamente nella visione della storia di Martini”. 

Io credo sia questa la ragione per cui siamo continuati a resistere. Usando gli strumenti della complessità: servizi, movimento... C'è sempre stata diatriba tra servizi e movimento. Ma finchè c’è diatriba c’è movimento. Quando si chiude la diatriba si inizia a rischiare.

Il senso del limite. Continui a cercare. Ad impegnarti. Sapendo che il Signore agisce nella storia. Questo è stato il mio filo, il patto tra Pio Parisi, Pino Stancari e me. Loro mi accusavano di fare troppe mediazioni ma “Purchè la contraddizione resti aperta”. 

Pietro Praderi mi ha mandato uno scritto sulla deplorazione di Paolo VI. Non so se pubblicheranno. La mia tesi è questa: che Paolo VI aveva una visione dottrinale delle Acli. Voleva un bene viscerale alle Acli. Ci sono espressioni ai corsi di Monguzzo che erano espansive, di un affetto profondo…. Ma la sua visione delle Acli era dottrinale. E da lì nacque la deplorazione. Noi avevamo ragione.  Non perché la linea fosse giusta. Ma perché avevamo quasi il dovere di provare a dire. Le cose dette da noi le diranno 20 anni dopo quelli di Solidarnosh e il papa polacco li ha benedetti. Tanto è vero che anche noi torniamo dal Papa poi con il papa polacco. Ma il nodo da tagliare non c’era più. In quella occasione Livio Labor mi scrisse un biglietto "Non vengo alla festa del perdono". Ma sbagliò. Perché non era la festa del perdono. Perché dopo la deplorazione Paolo VI scrive la octogesima adveniens e quello supera…. 

Noi abbiamo avuto assieme il coraggio di essere dentro la realtà. Servizi, lavoratori... proporre unità sindacale… e nello tesso tempo però il mantenere la ricerca. Che non è essere nella dottrina. Il Vangelo non è riduzione a dottrinario etico. Il papa su questo ha spiazzato tutti. Ma, per rispondere a Paolo, cosa ci ha tenuto in vita... la ricerca dei semi del Regno....  

Poi la longevità delle Acli deriva dalla complessità materiale ed organizzativa. Ma con questa anima. Con un carisma. La complessità muta nel tempo. Ma è l'anima, è il carisma quello che fa volare il calabrone. Se gli tiri via questo il calabrone non vola più. 
Se togli l'anima e scomponi la complessità in semplici pezzi non vola più. 
Finisci per fare un servizio di serie B, un sindacato di serie B, un... 
A noi non ci definisce la dottrina ma la mistica. Si rischia. Non si capisce bene. Ma si prova. 

Io credo sia un po’ questa anche la formula che ha permesso di superare le forche caudine di Paolo VI.

E poi andare avanti ancora con la complessità. Con l’adattarsi alle situazioni. Ma adattarsi criticamente. Non (che è quello che io temo per la politica odierna) fare il surf sull’onda. Se non hai la critica non servi. Perché non risolvi i problemi. E non li risolvi perché non li capisci.

Anche la velocità mi fa paura. Perché è come la lettura veloce di Woody Allen: ho letto Guerra e pace. Parla della Russia. Il pensiero non può essere veloce. Il pensiero ha bisogno di tempo. Poi la decisione può essere veloce. Ma il pensiero no. E il pensiero ha bisogno di essere coltivato. La formazione, siamo una delle organizzazioni che fa più formazione....

... il calabrone può continuare a volare altri 70 anni….



Quali riforme per dare gambe alla mission


La COP è chiamata a superare lo scarto troppo stridente che oggi esiste tra l’arretratezza  del nostro modello organizzativo, i crescenti problemi di tenuta del sistema, gli scompesi dovuti ai processi di riconversione dei nostri servizi e il compito di Movimento di cittadini e Terzo Settore che ci siamo assunti di fronte alla società. Stiamo cercando di valutare i vincoli e cogliere le opportunità della nuova legislazione. Dentro questo grande cantiere è decisivo che la COP verifichi gli orientamenti e definisca le scelte che possono dare corpo, veloclità e coordinate precise al processo di innovazione che ha il compito di trasformare le differenziate presenze dei nostri servizi in un vero reticolo di imprese sociali.
I nodi da sciogliere sono:
relazioni confuse e spesso inefficaci tra associazione ed imprese
una eccessiva, anche se generosa, concentrazione di energie politiche sulla gestione delle imprese
forti spinte di crisi, causate da fattori esterni, che colpiscono imprese consolidate
nuove imprese che conoscono un rapido sviluppo che pone problemi di regolazione e governo 
una sostanziale mancanza di regole in grado di definire l’appartenenza alle Acli delle imprese e contemperare le loro logiche performative con con i caratteri relazionali e politici dell’associazione e della sua progettualità
la mancanza di un sostanziale governo di sistema in grado di presidiare la complessità delle Acli anche da un punto di vista strutturale.

Con pochissime eccezioni potrebbe essere l’analisi della situazione attuale. Invece è l’apertura del documento della COP del 1998. E se andiamo a vedere le uscite troviamo (che sorpresa): un codice etico, il ruolo del regionale, l’integrazione di sistema…

Per questo credo che su questo fronte: è tempo di molta potatura e qualche innesto

“La potatura consiste in una gamma di interventi atti a modificare il modo naturale di vegetare e di fruttificare di una pianta. Si tratta in prevalenza di interventi cesori e di modificazioni di posizione dei rami. La potatura è necessaria quando si nota nella pianta qualche problema o qualche ramificazione troppo estesa, che può ledere il benessere e la produttività (sia in termini di crescita generale sia in quanto a fiori e frutti)”. Ogni pianta ha bisogno di una potatura differente, ed è bene scegliere sia la tipologia sia il periodo migliore per effettuarla”.
“L’innesto consiste in una gamma di interventi funzionali a sostituire una coltura superata o introdurne una, vecchia o nuova, preferibile a quella presente. A  regolare lo sviluppo, la longevità, la precocità. Adattare una coltura a particolari condizioni climatiche e del terreno, aumentarne la resistenza a parassiti e malattie…”
Su questo versante vedo in particolare 3 ambiti su cui lavorare provando ad osare un po’ di forza e coraggio:


STRUTTURA ORGANIZZATIVA,  SVILUPPO ASSOCIATIVO,  SERVIZI
  • STRUTTURA ORGANIZZATIVA: la struttura organizzativa attuale non è più adeguata. Serve un ridisegno che lavori soprattutto ad alleggerire, semplificare, redistribuire. Credo il lavoro sia molto e contenga molti aspetti di cui, tra l’altro, dibattiamo da tempo. Oggi credo debba affrontarli a mio parere a partire dalla riduzione del numero dei componenti degli organi (in particolare  dimezzamento di Presidenza e Consiglio Nazionale), dall’incremento delle modalità di riunione e lavoro a distanza, dalla ridefinizione di ruoli, funzioni e responsabilità tra struttura di base, livello provinciale, regionale e nazionale con conseguente ridefinizione della distribuzione delle risorse. 
  • SERVIZI: Credo serva affinare l’analisi esterna (come sta cambiando e in che direzione va la società oggi, rispetto in particolare a LAVORO, DIRITTI e WELFARE), quali bisogni restano scoperti, quali emergeranno in futuro. E a partire da questo provare ad immaginare servizi e modelli innovativi. “per aspirare a trasformare la realtà (…) l’individuazione dei risultati desiderati deve essere effettuata prima di scegliere quali azioni finanziare e mettere in pratica” Si tratta di un requisito ovvio, eppure nella pratica comune quasi mai rispettato. E’ usuale, infatti, che vengano prima definite le azioni, in modo spesso generico, razionalizzandone semmai ex-post le finalità, con un conseguente sbilanciamento tra mezzi e fini. Non è dunque un caso che spesso alla spesa e alla realizzazione fisica, quando finalmente hanno luogo, non seguano benefici per i cittadini, il lavoro, le imprese.   (La progettualità sociale può creare lavoro?)

  • SVILUPPO ASSOCIATIVO e PROPOSTA ASSOCIATIVA: la proposta associativa va ripensata per essere più ricca ed interessante ma anche più prendibile e sostenibile. Non ci si associa (ormai da tanto tempo) per appartenenza ideologica ed identità ma è possibile dare un significato maggiore alla sola adesione per interesse contingente (sconto, benefit, servizi…).  In parte questo si riconnette alla mission associativa e alla nostra capacità di comunicarla. In gran parte questo si connette all’idea e alla pratica di struttura di base. Credo che oggi piste di intervento debbano passare da:

alleggerimento e sburocratizzazione della struttura di base. Sollevandola da responsabilità legate alla gestione dei servizi, del personale e ad altri vincoli di formalità. Perché possa tornare a concentrarsi sui suoi due aspetti essenziali: essere un gruppo di persone, svolgere un’attività nella comunità.  In questo modo anche la responsabilità di presidente si alleggerisce e può tornare ad essere esercitata da cittadini volontari con disponibilità di tempo limitato ed interesse specifico. La pista, ad esempio, potrebbe essere quella di creare come strutture di base semplici “gruppi” lasciando alla dimensione di “circolo” (formalmente costituito e con i vincoli anche legislativi dell’essere associazione) ad aggregazioni di carattere zonale.
messa a disposizione di spazi propri (o offerta di ruolo di mediazione e interlocuzione per locali di parrocchie) per altre associazioni e realtà attive sul territorio che ne avessero bisogno o interesse.  Significa rispondere a bisogni della comunità, mettere in pratica la propria utilità sociale e al tempo stesso creare occasioni di convivenza e contaminazione.

offerta di servizi vari ai bisogni di altre piccole associazioni (valutando la proposta di affiliazione o altre forme di rapporto che però non sia di carattere prevalentemente economico ma politico e associativo) per attività fiscale, di consulenza sulle normative, di gestione del personale, di supporto alla microprogettazione, di gestione comune di progetti di servizio civile o altro… Il bisogno di alleggerimento delle nostre strutture di base è condiviso da moltissime altre piccole associazioni e credo permanga anche a fronte del tentativo di snellimento della attuale proposta di legge. Anche in questo caso, rimettere in circolo per altri il valore e le potenzialità di una organizzazione di dimensione nazionale e radicamento locale, con un patrimonio di strutture e competenze ed un sistema di Servizi è anche un modo (pragmaticamente) di provare a contribuire dall’interno al ridisegno dell’associazionismo e del terzo settore.

Quale Mission per le Acli oggi (e domani)


Dal punto di vista della mission e dell’identità: è tempo di semina

C’è un tempo per ogni cosa. Oggi non è tempo di raccolta. Ma nemmeno di aratura e preparazione del  terreno. Seminare è scegliere che seme piantare (e che seme non piantare), investire risorse per acquistarlo o farselo passare, piantarlo e poi annaffiare e curare perché, se la natura vuole, un giorno altri potranno raccogliere.

Per l’identità generale rimando ai post precedenti. Qui aggiungo  3 semi che mi pare si potrebbe ri-piantare: POPOLO, POLITICA, PACE.

POPOLO: Popolo è soggetto collettivo. E’ più di un insieme di singoli. E’ un insieme di persone accomunate da qualcosa. Le piste che derivano da questa “parola” sono molte e sarebbe bello percorrerle.  
- per un’associazione coltivare l’idea di essere popolo significa riconoscere l’esistenza di parti ma cercare di costruire elementi identitari comuni;
- sentirsi parte di un popolo significa porsi all’interno della società e della storia, con altri, con curiosità e interesse, senza  timore;
- per un’associazione in un Paese in mutamento, con il venire meno dell’automatismo  Stato/Nazione/Popolo, con il crescere delle appartenenze di cittadinanza multipla… significa contribuire a scoprire  ciò che, in positivo, caratterizza oggi l’essere popolo  di un Paese. Su quale patto (oltre la tradizione) si fonda la convivenza comune.
- Per un’associazione di laici cristiani significa il “piacere spirituale di essere popolo” di cui parleremo anche stasera a Motta.

  • LA SCUOLA: Dalla scelta di POPOLO  a mio parere deriva per le Acli oggi la possibilità di scegliere la scuola come ambito di azione per l’azione associativa. Scuola perché luogo comune “di popolo”. Luogo diffuso, raggiungibile, ovunque, sul territorio. Luogo che rappresenta spesso oggi il primo incontro tra famiglie e società. In cui si incontrano (e scontrano) le diversità. In cui si incontrano (e scontrano) famiglie ed istituzioni. In cui si pagano le contraddizioni e le incoerenze. Luogo,  in fondo, periferico della nostra società (perché, apparentemente, è un costo e non produce). Luogo centrale di semina ed educazione al vero, al buono, al bello  (qui il testo Il Papa incontra il mondo della scuola) Gli interventi per i circoli e le realtà di base possono essere infiniti anche a seconda del territorio, delle sensibilità e delle tipologie di scuola. Dall’autorganizzazione di genitori ed insegnanti alla mediazione dei conflitti interculturali, dall’organizzazione di attività integrative al volontariato di “manutenzione”, dal supporto al ruolo educativo alla creazione di ponti con il mondo del lavoro, …. A molto altro.

POLITICA: le Acli non sarebbero le Acli se perdessero la passione politica. Che scivola ambiguamente tra passione per la politica come servizio e passione per la politica come potere. Ma l’ambivalenza è probabilmente ineliminabile. Torna in mente Martini “Ricercate il senso delle cose e degli avvenimenti, non accontentatevi di spiegazioni superficiali; cercate i valori veri e non il quieto vivere, il servizio della giustizia e non i privilegi. (…) Essere sentinelle invita allora, oltre che a segnalare, anche a rintracciare vie nuove nella scelta e nella ricerca del bene comune, sapendo che nel nostro mondo complesso e attraversato da esigenze molteplici e culture nuove, sono necessarie competenze profonde e formazione continua. Servono persone che reggano la fatica di pensare più in profondità, al di là dei luoghi comuni. Persone che siano disponibili a cogliere la realtà in movimento in tutta la sua complessità, che sappiano farsi carico di chi è più debole anche culturalmente e rischia di venire abbagliato da slogan e da mezze verità.” Perché “in gioco è il futuro della democrazia che si fonda sulla capacità dei cittadini di superare gli interessi privati e di convenire su un Patto sociale che assicuri a tutti libertà e giustizia” Ma, anche in politica, non basta dichiarare, serve essere credibili. Per Martini la credibilità delle Acli era data da “un’operatività diffusa, senza secondi fini, che genera fiducia” e dal fatto che “Per essere credibili bisognerà porsi non tanto al di sopra delle parti quanto al di sotto delle parti, ossia nella profondità della coscienza civile del Paese”. (qui l’ebook Martini e le Acli)

  • Credo che il campo principale in cui riprendere l’esercizio di passione politica sia il IL TERRITORIO LOCALE. Stare in rete con altri, coltivare le interlocuzioni con le istituzioni, vivere nella comunità territoriale. Ricostruire una familiarità e vicinanza politica a partire dal suo punto di maggiore intersezione tra politica e comunità. Non per rinunciare alla dimensione nazionale ma per arrivarci in modo differente. Credo che anche in questo le iniziative possano essere molte. Tra le altre la formazione di giovani amministratori locali che alcuni territori stanno già realizzando e che potrebbe essere messa in rete, approfondita e diffusa sul base nazionale. Magari aprendola anche a sperimentazioni che coinvolgano giovani immigrati e persone espressione di altre culture e religioni. Questo investimento formativo oltre ad essere un servizio alle comunità può diventare una rete di persone (anche trasversale agli attuali partiti) impegnate in politica con cui confrontarsi per approfondire i temi ed elaborare proposte.

PACE:  In un mondo attraversato da conflitti, con equilibri precari e in trasformazione, torna il bisogno del concetto di popolo per comprendere cosa oggi può permette una convivenza di popoli diversi e come è possibile dirimere i conflitti senza necessariamente ricorrere alle armi.  “Le scorciatoie sloganistiche aiutano a contarsi non a cambiare persone e circostanze.  I patti reciproci aiutano a fare i conti gli uni con le esigenze degli altri. Visto che alla fine nessun altruismo regge davvero alla prova del tempo e dell’usura” scriveva Alex Langer e poi contrapponeva un pacificismo concreto al pacifismo tifoso e a quello dogmatico. (Pacifismo concreto).

  • VOLONTARIATO, SOLIDARIETA’, NONVIOLENZA, DIALOGO INTERRELIGIOSO…. C’è una situazione internazionale che chiede una maggiore responsabilità. C’è una scelta “pacifista” che chiede di non essere solo declamata ma sostanziata. C’è un vuoto di mobilitazione, impegno, volontariato da cui nasca proposta politica (e viceversa). Questo interpella le Acli. Siamo abituati a considerare i temi della pace come marginali rispetto a quelli del lavoro e del welfare. Ma se guardiamo la storia aclista notiamo che la pace è invece stata un impegno costante in più decenni. E dagli anni 80 in poi è forse stato  più di altro il perno su cui si è poggiato il dialogo e l’interlocuzione con le altre associazioni e con le istituzioni.  Gli incontri tra cristiani ed ebrei di Ferrara, gli incontri tra cristiani e musulmani di Modena, le marce di interposizione nei Balcani e le esperienze di solidarietà del Sorriso per la Bosnia, le missioni in Iraq, i percorsi diffusi di formazione alla nonviolenza… sono tutte esperienze che non possono essere dimenticate. Raccogliere un’eredità significa anche questo. E poi oggi i conflitti per le risorse si nutrono ed appoggiano di appartenenze etniche e religiose. Noi, che da cattolici ai tempi dei Balcani siamo andati nei campi profughi di musulmani, oggi non possiamo stare a guardare. Possiamo mettere in camp proposte di volontariato, azioni di solidarietà, percorsi di formazione e conoscenza di pratiche di nonviolenza, spazi di approfondimento ed elaborazione sulla dimensione internazionale. C’è un insieme di azioni da mettere in campo, non da soli.



70 anni oggi. Buon compleanno Acli, forse....

Un compleanno è un momento di  festa e “tradizione” (traditio). Memoria e ringraziamento per ciò che è stato. Tradizione di “consegna” in vista di ciò che sarà. Conservare intatta una tradizione significa tradirla. Restare fedeli ad una tradizione significa tradurla nel presente, perché abbia futuro.  Se le Acli sono arrivate a 70 anni è perché qualcuno, prima di noi, non si è sottratto al mestiere di raccogliere e rideclinare l’identità …

  • Le Acli oggi sono un po’ come certi 70enni tristi. Hanno avuto una vita piena. Ma non sanno guardare avanti. Ricordano il passato, si lamentano del presente, sono incapaci di vedere il futuro e, in fondo, sembrano solo aspettare la fine.  Eppure, nonostante i limiti e gli acciacchi, avrebbero ancora molto da dire e da dare. Forse siamo ancora in tempo per invertire la rotta e provare a   dare alle Acli un destino diverso.


Nell’ottobre 2012, sollecitata dalla lettura di L’Assillo della fede mettevo in fila alcune questioni di metodo  (La Parola, I Maestri, I Compagni di strada, I Ruoli). qui il post: Attendendo l'Aurora

Nel marzo 2013, a 3 mesi dall’avvio, abbozzavo alcuni snodi di fondo (chi o cosa vogliamo rappresentare? movimento di cittadini, parte di quel popolo che è la Chiesa…), alcune attenzioni (essere attivatori di processi, aprirsi agli altri, riscoprire l’essere movimento e associazione, oltre i servizi) banali strumenti (spazi di pensiero con sollecitazioni esterne, momenti di spiritualità comune) e processi su cui lavorare (principio di cooperazione e non di competizione, spazi di gestione delle differenze e composizione della sintesi, comunicazione come costruzione e manutenzione della relazione, programma condiviso con priorità e azioni). qui il post L'aurora è arrivata?

Oggi, a circa 2 anni dalla fine del mandato provo a buttarne lì altre. Anche stavolta non sono né rivoluzionarie né risolutive. Le esplicito come regalo di compleanno alle Acli e perché credo che siamo ad uno snodo:
  • Il congresso è il momento del CHI. Ora siamo nel momento del COSA. Adesso e per 2 anni il CHI potrebbe e dovrebbe essere dato per definito.  Le Acli  non possono permettersi di impiegare i prossimi 2 anni tutti sul CHI. I prossimi 2 anni devono essere impiegati per lavorare su alcuni COSA per riconsegnare al congresso un’associazione più viva e vitale di oggi. Poi, in congresso, dinamiche democratiche definiranno se il CHI sarà prosecuzione o cambiamento di questo gruppo. Spero a partire dalla verifica di cosa è stato fatto e dalla scelta di in che direzione andare.
  • Abbiamo deliberato (nonostante l’abolizione formale nell’ultimo congresso) un momento simile alla Conferenza Organizzativa e Programmatica. Nella storia delle Acli tante COP con potere deliberativo hanno deciso molte cose senza successive ricadute reali. Ora (con una maggiore urgenza di cambiamenti reali) abbiamo un’assenza di potere deliberativo. Il rischio di inconcludenza è maggiore. Io credo il gruppo dirigente dovrebbe elaborare e presentare in CN di ottobre alcune linee di intervento (non solo un elenco dei temi), il percorso COP dovrebbe essere momento di confronto, il momento di chiusura con CN a marzo vede due possibilità. O viene convocato in modo da avere potere congressuale o alcune cose può deciderle nell’immediato, per molte altre che si basano su modifiche statutarie si dovrà aspettare il congresso.
  • Ci siamo impegnati a formulare entro il 30 ottobre 2014 un programma politico per il 2015. In modo che nei mesi seguenti si possa lavorare sulle dimensioni di attività e budget ad esso collegato e che da gennaio possa quindi essere effettivo.

Settant'anni insieme (Lorenzo Gaiani)

 



da www.aclimilano.com




Settant'anni insieme
In un giorno di fine agosto del 1944 nascono a Roma le Acli, l’Italia stava ancora combattendo per la sua liberazione da un regime oppressivo e avrebbe dovuto affrontare una gigantesca opera di ricostruzione insieme alla gestione di un percorso di nascita di una democrazia di massa
di Lorenzo Gaiani - 29/08/2014
FOTO - La foto della prima riunione del Consiglio nazionale presso la Curia generalizia dell’Ordine domenicano adiacente alla basilica di Santa Maria sopra Minerva.
In un giorno di fine agosto del 1944, convenzionalmente si ritiene il 28, un gruppo di dirigenti dell’associazionismo e del rinascente sindacalismo cattolico si ritrovò a Roma presso la Curia generalizia dell’Ordine domenicano adiacente alla basilica di Santa Maria sopra Minerva. A poche centinaia di metri da quel luogo sorgeva, e sorge tuttora, l’Albergo di Santa Chiara, in cui il 19 gennaio 1919 un altro gruppo di persone, guidato da don Luigi Sturzo, stese l’atto costitutivo del Partito Popolare Italiano.
Una sola persona era stata presente a tutte e due quelle riunioni, cioè Achille Grandi, il sindacalista comasco che nel 1919 era il Segretario generale della Confederazione italiana del lavoro (CIL), l’organizzazione sindacale “bianca” e che pochi mesi prima, quale rappresentante dei lavoratori cristiani, aveva stretto gli accordi per la nascita di un sindacalismo unitario con il comunista Giuseppe Di Vittorio ed il socialista Bruno Buozzi (che sarebbe stato assassinato dai nazisti alla vigilia della liberazione di Roma).
Proprio Grandi, facendo eco alle preoccupazioni della dirigenza della Democrazia Cristiana e della stessa Gerarchia ecclesiastica, aveva convocato quella riunione cui partecipavano esponenti sindacali e dirigenti dell’Azione cattolica, al fine di verificare in che modo i lavoratori cristiani potessero inserirsi nella CGIL, il sindacato nato dagli accordi siglati in Roma all’inizio di giugno, nella consapevolezza dell’inferiorità numerica e, soprattutto, dell’assenza di una vera e propria formazione politica e sindacale rispetto ai lavoratori di ispirazione marxista.
Si decise così che la Corrente sindacale cristiana (CSC) all’interno della CGIL sviluppasse una struttura associativa distinta dal partito politico e che insieme fosse un luogo di riferimento per le questioni di ordine politico, formativo ed assistenziale. Si decise che il nome di quell’ organismo fosse quello di Associazioni cristiane dei lavoratori italiani, e che Grandi ne avrebbe assunto la presidenza in via provvisoria mantenendo nel contempo l’incarico di Segretario generale della CGIL accanto a Di Vittorio e al socialista Oreste Lizzadri.Così origina la nostra storia, i nostri settant’anni insieme nella vita dell’Italia che stava ancora combattendo per la sua liberazione da un regime oppressivo, che poi avrebbe dovuto affrontare una gigantesca opera di ricostruzione insieme alla gestione di un percorso di nascita di una democrazia di massa in un Paese che non l’aveva mai conosciuta. Si attraversarono terreni inesplorati, una nuova dialettica di classe, un’impetuosa crescita del sistema produttivo, la rivoluzione dei consumi e dei costumi, gli anni del terrorismo e quelli della stagnazione.
Ma le ACLI sono e restano anche soggetto schiettamente ecclesiale, di laici inseriti vivacemente nell’esperienza concreta della Chiesa locale e di quella italiana ed universale, anticipando talvolta quello che sarebbe stato il rinnovamento conciliare, accompagnandolo con entusiasmo, vivendo e pagando sulla propria pelle le lacerazioni che ne vennero dopo, subendo con disagio una fase di restaurazione mediatica e dottrinaria e, oggi, vivendo con speranza una nuova, possibile primavera.
Quale futuro per questa storia? Credo che esso dipenda da come coloro che lo hanno vissuta cercheranno di attualizzarla nelle loro diverse responsabilità, siano esse più o meno interne al Movimento. Dalle ACLI, lo abbiamo sempre detto, sono venute in tempi diversi messi di amministratori locali, parlamentari, sindacalisti. Per alcuni di essi forse il Movimento è stato un passaggio, un momento della loro scalata al potere. Per altri, per la maggioranza, è stato invece il manifestare in altri campi quel radicamento valoriale che essi avevano appreso dalle ACLI, facendo di loro persone intese al benessere della loro comunità e agli interessi pubblici.
Le ACLI sono state in questi anni palestra di formazione, agenzia sociale, dispensa di servizi, soggetto promotore di cooperazione ed impresa sociale, soggetto ecclesiale, sociale e politico. Né carne né pesce diceva qualcuno, ma il nostro padre fondatore milanese Alessandro Butté ribatteva: siamo l’uovo, che è un alimento completo e talvolta contiene il pulcino.
Ecco, per il proseguimento di questi settant’anni credo che il nostro impegno maggiore sia quello di vivere la nostra storia nella prospettiva di quel pulcino che ancora deve nascere, e che nasce ogni giorno, cioè dei compiti futuri che le ACLI potranno avere e che sapranno esercitare se saranno sempre aperte al loro spirito originario, quello che ha permesso loro di realizzare ciò che hanno realizzato in settant’anni.
Ha detto recentemente Giovanni Bianchi: “La longevità delle Acli deriva dalla complessità materiale ed organizzativa. Ma con questa anima. Con un carisma. La complessità muta nel tempo. Ma è l'anima, è il carisma quello che fa volare il calabrone. Se gli tiri via questo il calabrone non vola più. Se togli l'anima e scomponi la complessità in semplici pezzi non vola più. Finisci per fare un servizio di serie B, un sindacato di serie B… A noi non ci definisce la dottrina ma la mistica. Si rischia. Non si capisce bene. Ma si prova”.
E in questo provare e riprovare è il senso d

L'indifferenza non è mai una virtù

Non sono esperta di politica internazionale. Sono una cittadina. Ed un essere umano. E credo questo basti per sentirsi interpellati.


Non invidio chi alla responsabilità di cittadino ed essere umano deve aggiungere responsabilità politiche. E prendere decisioni complesse e difficili assumendone il peso delle conseguenze.

Renzi in Iraq ha citato Srebrenica. E capisco perfettamente la citazione. Per tutti, ma sopratutto per una generazione (la nostra) e per qualcosa  che vuol essere più di un territorio (l'Europa) è il simbolo della colpa per indifferenza ed omissione.

"Poco" dopo Srebrenica ci fu il Kosovo. La tv faceva vedere colonne di donne, anziani, bambini in fuga... Noi portavamo ancora addosso il peso di quella indifferenza a quanto avveniva alle porte di casa. E persone in buona fede si divisero tra chi sosteneva la scelta del non intervento e chi riteneva che la cosa peggiore fosse comunque restare immobili. (Poi, si sa, c'erano i tattici, gli strumentali e quelli in mala fede, ma quella è un'altra storia..).


Secondo me, il tempo ha mostrato che intervenire in un conflitto bombardando una parte non rende interlocutori super partes credibili per le fasi successive dell'auspicato dialogo. E che chi oggi è aggressore domani è aggredito. E viceversa... Ma i Balcani erano i Balcani. Ed erano gli anni 90. Noi eravamo diversi. E il mondo era diverso (anche se... in quanto ad aggrediti che diventano aggressori, alleati che diventano nemici pure l'Iraq...).

L'Europa sui Balcani fallì qualsiasi posizione politica unitaria.  Ma l'ingresso in Europa per molto tempo continuò ad essere la molla e la "carota" per la pacificazione di quell'area. Ed è già qualcosa.
L'Onu è morta nei Balcani. Si disse. Ma questo anche perché fino ai Balcani nell'Onu ancora ci si credeva.  Ed era già qualcosa.
I Balcani vennero non troppo dopo la caduta del muro di Berlino. Ma in qualche modo sembrava "solo" la transizione da sistema a due blocchi a sistema con un unico punto di riferimento.

Oggi... ci manca tutto. 

Ci mancano luoghi e regole inter/sovra/nazionali. Tutti da costruire. 
Ci manca un'Europa. Tutta da costruire. 
Ci mancano chiavi di lettura ed ipotesi. Tutte da approfondire.

Oggi l'unica cosa che mi pare certa per tutti quelli in buona fede è il senso di smarrimento e di impotenza. 
La percezione della fine dell'Occidente per come lo conosciamo. 
La sensazione che tutti i problemi superino agilmente i confini degli stati nazionali mentre tutte le soluzioni siano ancora cercate prima delle frontiere.


È una terza guerra mondiale a pezzi. Ha detto il Papa. 
No, una guerra mondiale è uno scontro tra super potenze. Ha risposto Cacciari. 
Ma è questo il punto. È cambiato il mondo e con lui il vocabolario. E noi continuiamo a leggerlo con parole e pensieri vecchi.


Su cosa (non) si regge l'equilibrio internazionale oggi? Su cosa pensiamo si possa reggere domani?

Forse nel video c'erano un cittadino inglese ed uno americano. Dicono. Con il primo che ha tagliato la gola al secondo.
Chi è in guerra con chi? Chi è alleato di chi? 
Quali sono i confini della guerra?
Come si distinguono i "nemici" dagli "alleati"?

Come evitare che, in Europa o Usa, la lotta ai terroristi diventi una caccia all'immigrato, al musulmano...? (Il ministro Alfano l'altro giorno ha parlato di "problema islam"). 
Noi stiamo intervenendo come "terzi" per dare protezione alle vittime di un'aggressione? O siamo noi i (potenziali) aggrediti e armiamo altri perché combattano i nostri nemici difendendo noi? 
Quali criteri determinano oggi quali vittime è necessario proteggere, in quali contesti è necessario intervenire e quali no?


Io riesco a comprendere il bisogno di fare qualcosa che finisce per essere di fare "qualunque cosa" pur di non essere indifferente. Non riesco lo stesso a credere all'efficacia della  scelta di inviare armi in zona di guerra. 

Ma, alla fine, a me e a noi non sarà chiesto di rendere conto di quella scelta. Che nel bene o nel male peserà su altri.

A me sarà chiesto di render conto come persona, come cittadina. 
A noi sarà chiesto di render conto come parte del cosiddetto mondo del pacifismo e della società civile, di ciò che abbiamo o non abbiamo fatto.

E non sarà un comunicato stampa, un post sul blog o una Perugia Assisi a scrollarci di dosso la responsabilità dell'indifferenza e dell'omissione.

Per cui...
o ci facciamo interpellare e ci facciamo mettere in discussione, realmente, da quanto accade. 
O facciamo in modo che ciò che ci avviene attorno modifichi i nostri piani, progetti, priorità... 
O riusciamo ad uscire da noi stessi e smettere di guardarci l'ombelico...
O mettiamo in campo realmente, ora, qualcosa che non sarà risolutivo ma che sia significativo...

O questa responsabilità sarà una colpa. 
E non avremo nessuno su cui scaricarla.

Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un...