Il nonno (Vittorio) racconta il nonno (Attilio)


Quest'anno mio papà ha compiuto 80 anni. L'estate tutti assieme a Germignaga è stata l'occasione per sistemare alcuni ricordi raccolti durante l'anno. Ciò che ne esce diventa in qualche modo anche un regalo ai nipotini. Magari ci saranno delle imprecisioni e degli errori. E sicuramente ci sono molte parti mancanti.  Ma c'è del bello in una storia che si tramanda... 

Storie di famiglia 

Storie di una zona di confine, che fu industriale
Storie di lavoro  


Attilio Villa: Stradella 1876 – Germignaga 1957 - tracce di storia 

Da Stradella a Luino 
Il nonno Attilio proviene da Stradella, nell’oltre Po, dove ha iniziato a lavorare come garzone in una bottega che cura la manutenzione di attrezzi domestici e di lavoro.  Tra le sue mansioni ha anche quella, la domenica mattina, di affittare un “velocipede” alle persone che desiderano sperimentare le sensazioni delle prime rudimentali biciclette. Quell’impegno viene retribuito con 20 centesimi alla settimana, ma gli consente di familiarizzare con il lavoro di meccanico e di imparare ad organizzarsi.

La ferrovia e l’industria 
Il suo trasferimento a Germignaga è avvenuto, assieme al resto della famiglia, a causa della costruzione della ferrovia che ha impegnato tanti lavoratori per lo scavo dei terreni sui quali posare i binari. E per il traforo delle gallerie per l’attraversamento delle colline. L’arrivo di tanti lavoratori ha favorito anche lo sviluppo delle prime industrie che, nella zona di Luino, sono setifici e cotonifici che utilizzano la forza motrice dei fiumi e delle rogge. 

La Ditta Battaglia 
A Luino sia lui che (successivamente) il figlio Giovanni lavorano alle officine Battaglia. Che costruiscono macchine tessili per la filatura e la torcitura. Considerate le capacità meccaniche e di organizzazione del lavoro, il nonno Attilio è addetto alla messa in opera delle macchine, spesso anche nelle valli del Veneto e della bergamasca. Nelle sue trasferte cerca di insegnare non solo come utilizzare le macchine, ma anche e come partecipare alle “leghe” che organizzano i lavoratori e le lavoratrici. Dal momento che le operaie tessili sono ragazze (e spesso molto giovani) per poterlo fare senza inimicarsi i padri, impara a fare il cantastorie fuori delle osterie dei paesi. 


I moti per il pane 
Fine 1800, in tutta Italia ci sono i moti di rivolta che arrivano anche a Luino. Nel secondo giorno di manifestazioni i rivoltanti si recano al carcere reclamando il rilascio di un operaio e ne nasce un eccidio con morti e feriti. La maggior parte dei coinvolti vengono messi sotto processo. Al nonno Attilio sono assegnati 8 anni di carcere, in contumacia. (La vicenda l’abbiamo ricostruita qui. ).

La fuga in Svizzera 
Il nonno Attilio non va a processo perché sa che, essendo conosciuto come socialista e come impegnato con il sindacato, sarebbe stato sicuramente condannato con una pena esemplare. Per questo, con i carabinieri cavallo che passeggiano davanti a casa, si rifugia dapprima sui tetti, con la nonna che gli fa passare del cibo di nascosto, poi sull’altra sponda del lago ed infine a Locarno (in Svizzera). 

L’impegno sociale e sindacale e l’attività creativa 
In Svizzera lavora 3 anni in una officina a Locarno, come tornitore. Dopo di che viene assunto nelle officine delle ferrovie svizzere a Bellinzona dove, nel giro di qualche anno, diventa capo reparto della sezione Orologi e Manometri. Questo fa sicuramente da base alla prosecuzione dell’impegno sindacale e sociale (nel sindacato socialista). Questo è probabilmente anche la base ideale per la realizzazione di un modellino di teleferica che brevetta a Berna. Il brevetto viene successivamente lasciato scadere per carenza di fondi. Non ci sono prove di collegamento diretto tra i due fatti, ma sicuramente in quegli anni in Svizzera si sviluppa il sistema di teleferiche e cabinovie. 

Il ritorno a Germignaga 
Nel giugno del 1899 l’indulto chiude la condanna pendente sul nonno. Lui è comunque ambientato in Svizzera e lì resta. Anche se riprende contatto con il paese, in cui sono rimasti moglie e figli. Una volta sistematosi, tutti lo raggiungono a Giubiasco dove il nonno Virginio e la zia Ersilia frequentano anche le scuole. Il ritorno definitivo del nonno è successivo, al momento della pensione. Il rientro dalla fuga in Svizzera gli fa anche verificare come alcuni vicini, anch’essi militanti socialisti, hanno approfittato dell’assenza per aprire irregolarmente finestre sul giardino di famiglia. Questo comporta il ricorso ad un tribunale amministrativo per difendere i diritti di proprietà, ma soprattutto la considerazione che il senso di “fratellanza” socialista è vissuto in maniera differente tra appartenenti allo stesso movimento. 

Il periodo fascista 
Dopo essere andato volontario, sul finire della prima guerra mondiale, a seguito dell’appello di Mussolini, lo zio Giovanni si è anche impegnato nelle iniziative fasciste. In questo stesso ambiente ha fatto l’amara esperienza di una relazione tra sua moglie e un capo fascista di Germignaga. Dopo la separazione, per organizzare una nuova casa con una giovane conosciuta a Pallanza (durante il periodo di lavoro di impianto delle macchine tessili della ditta Battaglia), si trova nella necessità di rinunciare anticipatamente alla sua parte di eredità per sostenere le spese. Questa vicenda (famigliare e politica) compromette le relazioni tra lo zio Giovanni ed il resto della famiglia, ma non impedisce al nonno Attilio di mantenere i rapporti e di affittare successivamente 3 locali nella stessa casa in cui abitava il Nonno Virginio.

Attilio e Vittorio - Tra nonno e nipote 
Attilio Villa, chi era? 
Il nonno Attilio non era uno storico, né un intellettuale. Era un appassionato protagonista delle lotte per l’emancipazione della classe lavoratrice. 

Tu e lui, che rapporto era? 
La frequentazione del nonno (e quindi anche i suoi racconti) sono iniziati negli anni in cui andavo all’asilo e in cui lui era appena andato in pensione. C’era modo di stare parecchio tempo assieme. Io stavo volentieri con lui, perché mi piaceva ascoltare i suoi racconti, seguirlo ed aiutarlo. Trovavo interessanti le sue esperienze e affascinante la cura con cui descriveva i contesti e gli stati d’animo con cui li aveva vissuti. 

Cosa facevate assieme? 
Lui curava con passione il giardino (che comprendeva anche l’area che poi abbiamo venduto al Coppelli) e che era un modo per fronteggiare le difficoltà di approvvigionamento di alimenti nei difficili anni della seconda guerra mondiale. A me piaceva aiutarlo a strappare l’erba, a togliere i sassi dalle aiole, a cementare i passaggi tra un’aiola e l’altra per evitare di bagnarsi i piedi. E mi piaceva seguirlo nelle camminate sulle strade secondarie. Mi piacevano le sue attenzioni a farmi sperimentare l’importanza e le potenzialità del lavoro come esperienza personale e il lavoro come chiave di lettura del contesto locale attraverso gli stati d’animo con cui ha vissuto gli anni dell’industrializzazione della zona del Luinese. 

Hai dei ricordi particolari? 
Ne ho una serie. Che mi sono restati impressi.

3 anni: Vai a chiamare il nonno, che è ora di cena! 
Quando ero un bambino era una incombenza normalissima. Il posto in cui dovevo raggiungere il nonno era l’osteria “Speranza”, davanti alla farmacia, dove andava a giocare a “Marianna” e, quando arrivavo, in attesa che finisse la partita, mi invitava ad assaggiare qualche sorso del suo bicchiere di vino. Considerando che dopo la morte della nonna Vittoria, nel 1942, il nonno Attilio non è più andato all’osteria, voleva dire che a quel tempo avevo 3 anni. Dopo il 1942 il nonno usciva solo per andare a Bellinzona, una volta al mese, a ritirare la pensione. E per accompagnare me, in camminate in collina. E la zia Ersilia, sua sorella, in passeggiate in paese. 


6 anni: Il castano 
Il primo giorno delle prime vacanze scolastiche il nonno mi ha portato nel nostro bosco. Ha tagliato un castano, me l’ha fatto ritagliare e portare a casa. E mi ha insegnato a farne una base di sostegno sulla quale appoggiare l’innaffiatoio mentre si pompava l’acqua per bagnare il giardino. Io gli ho chiesto: “Ma non era più comodo comprare il legno dalla falegnameria?” Lui ha risposto che mi voleva insegnare l’importanza di lavorare con quello che c’è. Con i materiali e gli strumenti disponibili. E’ stata una specificazione che mi è rimasta sempre in mente. E della quale ho cercato di far tesoro, anche nell’organizzazione dei miei impegni successivi nelle Acli. 

7 anni: Potevo farlo morire di fame, quello lì! 
Era una frase, riferita a Mussolini, che veniva spontanea al nonno Attilio, quando la sera si ascoltava il giornale radio che aggiornava sugli sviluppi della fase finale della guerra. Il suo 
riferimento era a Mussolini socialista. Dopo il licenziamento di Mussolini dall’Avanti, il nonno Attilio aveva organizzato collette tra i lavoratori ticinesi per aiutarlo a tirare avanti. Per lui, in quel momento, era un lavoratore con cui solidarizzare. Non immaginava certo gli sviluppi successivi, anzi, in qualche modo in quella frase, oltre alla presa di distanza dal fascismo, c’era anche una certa idea di Mussolini come compagno traditore di un comune ideale. 

10 anni: Il Corriere nella cassetta della posta 
La vedevo fare in poche altre case. E mi confermava le straordinarie motivazioni sociali del nonno. Mi dimostrava inoltre, anche la solidità del riformismo al quale faceva spesso riferimento. il giornale che leggeva era infatti era il “Corriere della Sera”. Anche se non sapevo ancora leggere, capivo che era un giornale che sosteneva posizioni moderate. Una conferma delle idee progressiste ma non comuniste del nonno l’ho avuta nel 1947. In quell’anno il nonno disse che aderiva al nuovo partito fondato da Saragat, rompendo con il PCI. Alle elezioni del 1948 il PSDI era di fatto alleato della DC, che era il partito cui aderiva mio papà, il nonno Virginio. E per cui io (che all’epoca avevo 10 anni) aiutavo a fare propaganda elettorale distribuendo volantini nelle case. 

14 anni: quanto costa canticchiare all’esame 
Quando lavoravo in Ditta Ratti, frequentavo la scuola serale per aggiustatori meccanici a Luino. La seguivo con poca voglia, visto che già lavoravo al tornio tutto il giorno. E una volta l’abitudine a canterellare mentre limavo mi è costata l’interruzione della prova di esame. La reazione del nonno, una volta saputo l’episodio, è stata di obbligarmi a fare un incastro a coda di rondine, sotto il suo controllo, per insegnarmi che il lavoro è una cosa seria. Anche questa è stata una presa di coscienza importante e che mi sono portato dietro nei successivi impegni. 


15 anni: il lavoro 
In generale ricordo che il nonno aveva un’attenzione specifica ad educarmi all’importanza del lavoro. Non solo raccontandomi la sue esperienza. Ma anche insegnandomi a collaborare ai lavori che c’erano da fare, mano a mano che ero in grado di farlo. Da bambino piccolo a strappare l’erba, togliere i sassi, “far l’erba” per i conigli. Da ragazzo a vangare, zappare, innaffiare, tagliare la legna, prendere la sabbia al lago, usare scure ed accetta per piccoli lavori. Indipendentemente dal tipo di lavoro, il lavoro era un valore in sé. 

Oltre al valore del lavoro, al riformismo, all’importanza di valorizzare l’esistente ci sono altri insegnamenti che ritieni di aver ricevuto specificamente dal nonno? 

Il rispetto delle idee politiche 
Era una caratteristica del nonno. La manifestava attraverso gli atteggiamenti con cui osservava, senza interferire, con le diverse scelte politiche e religiose delle persone che aveva attorno. Mantenendo con fermezza le proprie idee, ma anche lasciando saldo il rapporto personale con l’altro. 
-      Nei rapporti con lo zio Giovanni (suo fratello) quando pur risiedendo in Svizzera, aderì alle posizioni interventiste di Mussolini e si arruolò come volontario nella parte finale della prima guerra mondiale. E successivamente si impegnò nell’organizzazione delle iniziative fasciste in paese. 
-      Nei confronti di mio papà, che fu tra i fondatori del circolo Acli di Germignaga e come tutti gli aclisti dell’epoca era democristiano e cislino. 
-      Nei miei confronti, quando, una volta tornato dal collegio a 14 anni, oltre ad iniziare a lavorare in fabbrica, ho iniziato ad impegnarmi nelle attività di Oratorio e nei percorsi di formazione delle Acli. 

Il rispetto delle idee religiose 
Il nonno Attilio non è mai stato credente e praticante. Quando presenziava ai funerali delle persone che conosceva si fermava sulla porta della Chiesa. Ciò nonostante se sentiva qualcuno bestemmiare lo riprendeva. Nell’ultima fase della vita ha stretto un dialogo ed un rapporto con don Rino. Posso dire che il rapporto con don Rino e il vedere come io coniugavo l’intransigenza delle lotte sindacali con l’impegno in Oratorio l’avesse portato a volte a commentare quasi sorpreso: “Allora è possibile!”. La frequentazione di don Rino aiutò anche a superare l’empasse al momento del suo funerale. Don Piero infatti, viste le bandiere rosse vicino alla Chiesa, era intenzionato ad andarsene e a non presenziare. L’intervento di don Rino aiutò a motivare le bandiere rosse come segno di presenza del sindacato ferrovieri svizzero e non come simbolo di partito. 

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