Stanco? Si!


- Stanco? Si!
- Freddo? Si! E pure fame, tanta!
- Com'è andata con il fuoco? Male, l'abbiamo acceso per ultimi, mezz'ora dopo gli altri. E non cuoceva niente.
- Allora era meglio il branco? No! Allora abbiamo scelto le specialità da prendere. 
Sintesi della prima uscita di reparto.
(E forse è una modalità che non serve solo a loro, in questo periodo)

Noi dunque si fa così...


Noi dunque si fa così: Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene un’idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto separato e scritto da una parte sola. Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in grandi monti e son capitoli. Ogni capitolo si divide in monticini e son paragrafi. Ora si prova a dare un nome a ogni paragrafo. Se non si riesce vuol dire che non contiene nulla o che contiene troppe cose. Qualche paragrafo sparisce. Qualcuno diventa due. Coi nomi dei paragrafi si discute l’ordine logico finché nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i monticini. Si prende il primo monticino, si stendono sul tavolo i suoi foglietti e se ne trova l’ordine. Ora si butta giù il testo come viene viene. Si ciclostila per averlo davanti tutti eguale. Poi forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto all’aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un’altra volta. Comincia la gara a chi scopre parole da levare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una frase sola. Si chiama un estraneo dopo l’altro. Si bada che non siano stati troppo a scuola. Gli si fa leggere a alta voce. Si guarda se hanno inteso quello che volevamo dire. Si accettano i loro consigli purché siano per la chiarezza. Si rifiutano i consigli di prudenza. Dopo che s’è fatta tutta questa fatica, seguendo regole che valgono per tutti, si trova sempre l’intellettuale cretino che sentenzia: “Questa lettera ha uno stile personalissimo”.
La scrittura collettiva a Barbiana.
(La fatica di confrontarsi con i modelli)

Crisi e ruolo delle città


La crisi del nostro tempo - che è una crisi di sproporzione e di dismisura rispetto a ciò che è veramente umano - ci fornisce la prova del valore, diciamo così, terapeutico e risolutivo che in ordine ad essa la città possiede. 
La crisi del tempo nostro può essere definita come sradicamento della persona dal contesto organico della città. 
Ebbene: questa crisi non potrà essere risolta che mediante un radicamento nuovo, più profondo, più organico, della persona nella città (...).
Perché la persona umana è in qualche modo definita dalla città in cui si radica: come la pianta dal suo campo. 
Amate questa città come parte integrante, per così dire, della vostra personalità. 
La città è una casa comune in cui tutti gli elementi che la compongono sono organicamente collegati; come l'officina è un elemento organico della città , così lo è la Cattedrale, la scuola, l'ospedale. 
Vi è dunque una pasta unica, un lievito unico, una responsabilità unica che è collegata ai comuni doveri.
Il nostro compito di guide delle città è pensare,
è essenzialmente quello di meditare:
se non meditiamo siamo soltanto dei direttori generali. 
La Pira - anni 50. 
(Crisi e ruolo delle città. Di chi guida le città. Delle reti tra città).

Di una città...


Di una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. (I. Calvino). 

Immaginare città. Costruire ponti. Mettere in gioco l'identità e le proprie immagini mentali di ciò che città è e non è. E dei rapporti tra città e paese. 

E poi provare a collaborare e finire a negoziare. Fare i conti con la fatica delle dinamiche di rappresentanza. Cercare i punti di equilibrio tra competenza e partecipazione. C'è un motivo alla stanchezza. 

#animazionedicomunitá

La vita...


La vita è ciò che ti accade dentro mentre ti guardi attorno.
La vita è ciò che ti accade attorno mentre ti guardi dentro.
Aprire varchi di consapevolezza tra dentro e fuori.
Io e l'organizzazione. Io nell'organizzazione.
Metacompetenza: autoriflessivitá. 

Leggere le organizzazioni


Leggere le organizzazioni.
Le dimensioni essenziali.
Il terzo settore come infrastruttura della società civile in Italia. 
Le sue tendenze. La composizione ed il posizionamento.
E poi...il "Walle" della riforma.
Con Andrea Bassi

Come rappresentare l'organizzazione

 




Come rappresentare un'organizzazione.
La forma del nostro fare assieme. 
Come rendere visibile (comunicabile, comprensibile, afferrabile, abitabile, funzionale...) per noi e per gli altri la nostra organizzazione.
Fare emergere le immagini che portiamo dentro (e che maneggiamo come fossero assoluti, dandole per scontate). 
Mettere in dialogo le immagini degli uni e degli altri per costruire il punto in comune e per cambiare l'esistente. 

No! Non è bello svegliarsi così!


Un altro locale in fiamme, stanotte: Barak bistrot.

Baraka bistrot
Pecora elettrica
Pinseria Romana

Tutto nel giro di 700 metri
Tutto attorno ad uno stesso grosso spazio.
In cui c'è il Forte e anche il borgo don Bosco.

(Magari, speriamo, l'incendio è di altra natura. 

Magari, speriamo, i fatti non sono collegati. 
Ma la testa unisce i puntini e li disegna sulle mappe. 
Ed i pensieri che nascono sono dei peggiori. 
No. Non è bello svegliarsi così)

Dove bruca la pecora

La Pecora è la pecora. "Il solo fatto che ci sia un posto così, dice che questa non è (più) periferia". Ha detto un giorno un esploratore di passaggio. Questo giustifica tutta la mobilitazione che c'è stata e l'ondata, anche emotiva, che da qui si è propagata. 
Ma... "È assurdo: i parchi, che sarebbero stati pensati come risorsa, oggi qui sono un problema" ha detto una volta un insegnante della scuola non distante. E l'entrata della scuola verso il parco, pulita coi ragazzi meno di un mese fa, è (naturalmente) di nuovo piena di fazzoletti e preservativi. Perché siamo ad un passo dalla Togliatti e di notte lì, c'è attività, si sa. 
Qui invece sono due gli esercizi commerciali aperti la sera che affacciano sul parco di via delle palme. Anzi, erano due. Una è la pecora, bruciata due volte, una è la pinseria, bruciata una volta e non ancora riaperta. 
Il parco ha i giochi nuovi, installati da poco grazie ad un progetto. E pure un nuovo canestro nel campetto da basket, regalato da Decathlon. E c'è un comitato che si mobilita per pulire, dibattere, fare... Però, i lampioni nel parco sono rotti, sulla via (come ovunque) vicino ai cassonetti trovi di tutto. E nelle chat di quartiere fioccano le segnalazioni di danni alle auto parcheggiate e si dibatte sulle interpretazioni del perché intere vie si trovino al buio per settimane. Da anni. C'è persino chi parla di risparmio energetico e turnazione. 
Poi ci sono tutti i posti nuovi per mangiare e bere trandy, che aprono di continuo. E per cui vengono qui anche da altrove. Persino dall'estero. La Pignetizzazione di Centocelle. Diceva qualcuno. Ma sappiamo già lì com'è andata. Poi ci sono i negozietti che aprono e chiudono in un batter di ciglia. E le case in vendita che non si vendono. E le campane colorate, in mezzo ai secchioni (che siccome sono sempre pieni, al posto di svuotarli aumentano di numero, diventando filari...).
"È il problema. Non. La normalità". Cosa è problema e cosa è normale? La fatica da fare è quella di non abituarsi. E di capire come ricomporre il puzzle della frase. Leggere ciò che accade, non guardando il semplice fatto, ma all'interno di dinamiche dell'intero quartiere, nel quadro dell'intera città. È complesso, si, ma è l'unico modo. Intanto, nell'ospedale di riferimento di zona, settimana scorsa erano 4 i neonati in crisi di astinenza.




E intanto piove...


Ci sono giorni in cui ciò che c'è dentro e ciò che c'è fuori si saldano. E senti il bisogno di tornare #apiedi
Il giorno dopo del giorno dopo #lapecoraelettrica ha una macchina della polizia parcheggiata davanti. Gente sparsa e diversa che passa, legge, fotografa. E intanto piove.


La passione delle mille pazienze




Vi propongo qualcosa a partire dal Vangelo, mi è stato detto che siete essenzialmente responsabili organizzativi, gente impegnata nel fare, nell’organizzazione, come supplemento a quello che già ciascuno ha da fare in famiglia, in casa, magari ad attività lavorative di vario genere. Quindi siete persone impegnate in ambiti che delle volte possono sembrare anche un po’ aridi, un po’ tecnici, solo organizzativi. Però dentro ciò che fate c’è qualcosa di importante da fare e da vivere. 

Vi propongo, come prima cosa, questi testi: “La passione delle pazienze” di Madelein Delbrel e le pazienze di Marta. Detto in altri termini, la passione, la nostra passione. E le pazienze, le vostre pazienze. 

La passione, la nostra passione. Noi sappiamo che deve venire e intendiamo viverla con una certa grandezza. Il sacrificio di noi stessi, noi aspettiamo che ne scocchi l’ora, sappiamo di dover essere consumati o consumate, come un filo di lana tagliato dalle forbici, così dobbiamo essere separati, come un giovane animale che deve essere sgozzato.    

La passione, noi l’attendiamo... ed essa non viene. Vengono invece le pazienze. Queste briciole di passione che hanno lo scopo di ucciderci lentamente per la tua gloria. Di ucciderci senza la nostra gloria. Fin dal mattino vengono dannati a noi, sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti, l'autobus che passa affollato, il treno che si blocca a Firenze, i bambini che imbrogliano tutto... sono gli invitati che nostro marito porta a casa e quell’amico che, proprio lui, non viene, il telefono che si scatena.  

Sono quelli che noi amiamo che non ci amano più. La voglia di tacere e il dovere di parlare, il dovere di tacere e la voglia di parlare. Il voler uscire quando si è chiusi e il rimanere quando bisogna uscire. E' il marito, al quale vorremmo appoggiarci che diventa il più fragile dei bambini.  E' il disgusto della nostra parte quotidiana. E il desiderio febbrile di quanto non ci appartiene.  


Così vengono le nostre pazienze. In ranghi serrati e in fila indiana e dimenticano di dirci che sono il martirio preparato per noi. Noi le lasciamo passare con disprezzo. Aspettando, per dare la nostra vita, una occasione che valga veramente la pena. Perchè abbiamo dimenticato che come ci sono rami che si distruggono con il fuoco, così ci sono tavole che i passi lentamente logorano e cadono infine segatura. Che se ci sono fili di lana tagliati netti dalle forbici, così ci sono i fili di maglia che giorno per giorno si consumano sul dorso di chi li indossa. Ogni riscatto è martirio. Ma non ogni martirio è sanguinoso. E' la passione delle pazienze. 

Mentre erano in cammino entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai mille servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Ma Gesù le rispose: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore. Che non le sarà tolta". 

A che serve un Congresso?




Un congresso, in Acli, assolve a 4 funzioni: 
  • condividere e ri-condividere vision e mission rinnovate ed offrirle all’esterno. Diciamo cosa sono le Acli e cosa pensano. Lo diciamo a noi stessi e poi lo diciamo all’esterno. 
  • un buon congresso individua le priorità per i prossimi anni. E le condivide in un percorso. Quindi è il gruppo dirigente uscente che individua queste priorità e ne discute con la propria base associativa. Poi, nel momento della celebrazione del congresso, dice a chi viene da fuori: “Guardate che noi, nei prossimi anni, vogliamo fare queste cose”. E se ci riesce poi magari dice anche: queste cose noi le vorremo fare assieme a voi. Se davanti ha possibili partner e pezzi di società civile. E dice anche: sappiate che noi ci stiamo muovendo in questo quadro, se ha davanti qualche autorità, civile o ecclesiale che sia. 
  • un congresso serve a condividere e rivedere le regole dell’organizzazione. Sia dal punto di vista giuridico che funzionale. Ci si dà una organizzazione quando si sa chi si è e cosa si vuol fare. Se individuo tra le priorità, l’accrescere i volontari, dovrò anche immaginare misure organizzative per riuscire a realizzare questa priorità. I congressi da noi servono anche a rivedere lo statuto. E non solo nella parte ordinaria, come abbiamo fatto in questi mesi per adeguamenti formali alla legislazione, ma nella parte straordinaria. E questo vale per lo statuto nazionale, ma anche per quelli locali. Che i congressi abbiano una attenzione forte al piano organizzativo per le Acli è un po’ una novità. Nella nostra tradizione esisteva un momento specifico, che si chiamava Assemblea organizzativa e programmatica, che si occupava di questo. Ed i congressi quindi potevano non occuparsene. Noi qualche anno fa abbiamo abolito questo momento, rendendolo opzionale, quindi tutto confluisce nel congresso.  
  • Il congresso, infine, serve a selezionare la classe dirigente, ad ogni livello. Dai circoli alla presidenza nazionale. Questo è forse l’aspetto che, a livello nazionale, attira più attenzione, ma è anche uno degli elementi su cui, a livello di base, avere maggiore cura. 
Gli strumenti di un congresso sono vari, abbiamo provato a suddividerli in questo modo: 

  • gli orientamenti e le mozioni 
  • lo statuto e i regolamenti
  • le elezioni 
  • le assemblee
  • le commissioni 
  • il dibattito 
  • la comunicazione interna
  • la comunicazione esterna
Appunti presi in diretta e non rivisti dall'autore dall'intervento di Paolo Petracca nel corso di formazione per responsabili funzione sviluppo associativo in preparazione al Congresso (RFSA). 

Perchè è importante fare un congresso, oggi?




I miei sono gli spunti di riflessione di un ricercatore.

Crisi della democrazia

Comincio con il crollo del muro di Berlino, quel clima che c’era in quel periodo, la convinzione (come qualcuno scrisse) che era finita la storia. Il disfacimento dei regimi del socialismo reale e la democrazia liberale che poteva espandersi senza limite su tutto il pianeta. Avevo 20 anni all’epoca. Oggi, a 30 anni di distanza, vediamo una situazione che è diversa da quella che ci sembrava allora. E vediamo che molti di quegli assunti vanno rimessi in discussione. 

Quali sono i sintomi del malessere democratico? La crisi ha lasciato i segni. Rabbia e rancore sembrano moneta corrente, specie tra i ceti meno abbienti. Abbiamo visto l’ascesa di forze politiche che vengono definite neo-populiste e sovraniste. Abbiamo sentito il vento, un po’ sinistro, di un nuovo nazionalismo. Assistiamo all’indebolimento di tutti gli strumenti che il mondo si era dato per gestire un mondo multipolare. Tornano le guerre commerciali e torna il multilateralismo. Viviamo nell’epoca dei social. Paura e rabbia sono alimentate in un clima da panico morale. Migranti, banche, tecnocrazia diventano i nemici da cui difendersi. I social hanno aspetti positivi, ma pongono in posizione critica gli assetti che la democrazia si era data dal dopoguerra in poi. Vengono messe in discussione le statistiche, che una volta erano la scienza dello Stato. Oggi tutto può essere sottoposto a dibattito. E tutto è percepito come un’opinione. 

Se andiamo in libreria oggi ci sono scaffali pieni di libri che parlano della crisi di democrazia. Ci sono volumi che escono a iosa su questo tema. Alcuni parlano di cambio di paradigma geopolitico. Il ciclo del neoliberismo sta venendo meno. L’ordine neo-liberale si sta sgretolando e non vediamo all’orizzonte un nuovo paradigma. 

C’è chi riflette sulle fratture. Sulla frattura sociale e su quella generazionale. Nelle nuove generazioni l’adesione alla democrazia non è più garantita. Inglehart è un autore che ha il dato il via ad una indagine planetaria sui valori. Oggi esce con un volume che si chiama: Evoluzione culturale e la cui tesi principale, guardando all’insieme di tutti i paesi, è il riflesso autoritario. Dai valori post-materialistici si è arrivati alla tendenza alla chiusura, per effetto di una insicurezza dilagante. 

Altri autori parlano di ribellione contro la tecnocrazia. 



Ho pensato di portarvi anche l’immagine dell’elefante della globalizzazione. Perchè dobbiamo sempre relativizzare il nostro sguardo. E’ vero che all’Incontro Nazionale di Studi (INS) abbiamo parlato di mobilità bloccata e di crescenti disuguaglianze, ma non dobbiamo dimenticare il dorso dell’elefante. C’è una parte della curva che dice che negli ultimi 20 anni nei paesi emergenti abbiamo avuto l’emersione del ceto medio. Mentre un’altra parte (la coda) dice che abbiamo chi è tagliato fuori dallo sviluppo.  Infine (la cima) c’è il ceto medio dei paesi sviluppati che hanno patito la crisi. E poi coloro che stavano già bene ed hanno continuato a crescere. 

Se guardiamo all’Europa (io sono classe 68, sono europeista convinto) troviamo altre fratture:
  • la frattura tra protezione sociale da estendere e austerity e fiscal compact
  • la frattura tra paesi creditori del nord e paesi debitori del sud
  • la frattura tra vecchia Europa (quella dei fondatori) e nuova Europa (quella dell’allargamento). E sullo sfondo resta la frattura tra integrazione e sovranità. 
Le ultime elezioni hanno mitigato l’impatto di alcune forze verso la sovranità, ma i conflitti restano. 
E resta anche ai massimi storici la sfiducia e lo scetticismo dei cittadini verso l’Europa. Negli anni 90 il livello di fiducia nei confronti della UE aveva un livello elevato, oggi è molto basso. 

Questa è la cornice del ragionamento. Adesso mi avvicino al tema della cura della democrazia associativa. 

Disintermediazione

Ne parlo dal punto di vista dell’avvento delle nuove tecnologie. Ci sono aspetti positivi, ma anche negativi. Cosa è la disintermediazione? E’ la sostituzione degli intermediari in una filiera di rapporti economici, sociali, politici. E’ un fenomeno che è avvenuto negli ultimi 30 anni, ma che adesso è arrivato a maturazione. All’inizio il fenomeno era limitato al settore finanziario. La disintermediazione è iniziata lì. Poi, tra gli anni 90 ed il 2010, c’è stata l’espansione a tutta l’economia, al turismo, ai beni e ai servizi. Nel secondo decennio del 2000 questa dinamica si è allargata anche alla politica. E’ un fenomeno ambivalente. Con ricadute di vario segno. 

Vediamo le ricadute sulla società: in cima alla piramide abbiamo la dinamica di centralizzazione del potere. Il leaderismo. L’idea che possa esserci l’uomo solo al comando a risolvere tutto. E’ il centro delle retoriche neo-populiste. Io, leader, comando ed ho sintonia diretta con il popolo. Non mi servono intermediari. 

Nel mezzo della piramide vediamo l’indebolimento dei corpi intermedi (partiti, sindacati, associazione di categoria…). Io faccio una generalizzazione, poi si potrebbe vedere il dettaglio. Ma parlo di una dinamica che è anche europea, non solo italiana. Il fenomeno è ambivalente perchè nella società c’è una apertura democratica. C’è una maggiore autonomia ed iniziativa dei cittadini, anche grazie alle potenzialità della rete e dei social. Abbiamo i prosumers (cittadini che grazie a commercio elettronico personalizzano il proprio consumo). Abbiamo molte iniziative. 

In generale si passa alla personalizzazione e si lascia la serialità  e l’omologazione  del passato.  Abbiamo l’ascesa di cittadini che si informano, vanno sui social, dicono la loro. Ma è un fenomeno ambivalente perchè è emerso che nel corso delle presidenziali americane il 60% dei cittadini ha formato la propria opinione attraverso facebook. E abbiamo scoperto che è possibile comprare pacchetti di contatti social di elettori. Ed con un marketing virale personalizzato, investendo dei soldi, è possibile parlare a questi elettori e influenzare la dinamica e spostare l’esito del voto. Questo è un fenomeno che prima non c’era. E dobbiamo tenerlo presente se parliamo di crisi della democrazia oggi. 

Terzo Settore

In questo quadro, cosa è avvenuto al Terzo Settore?  Se guardiamo ai dati dobbiamo prendere quelli dal 2001 al 2011, con aggiornamento al 2016. L’Istat ancora chiama il Terzo Settore “istituzioni non profit”. Il numero di “Istituzioni non profit” in questo periodo è cresciuto. Con una crescita annuale del 2,8 % che è un dato significativo. Ed è cresciuto il numero dei lavoratori dipendenti impegnati in questo settore, con una crescita del 4,1% annuale. Questo vuol dire che, guardando questi dati, il Terzo Settore oggi conta quasi il 7% del totale. Vuol dire che ha aumentato la sua dimensione. Ma questo non vuol dire che anche il Terzo Settore non sia esposto ai problemi della disintermediazione. 

Vengo quindi alla Riforma del Terzo Settore. Qui ho applicato la analisi SWAT. Di fronte a questo scenario di crescita complessiva, la Riforma ci dà occasione per riguardare al Terzo Settore e capire cosa sta accadendo. L’obbligo di rendicontazione sociale darà modo di pensare strategicamente, di essere più riflessivi e quindi di migliorare gli interventi a livello locale. A livello di opportunità ci sono maggiori strumenti di raccolta fondi e comunicazione sociale. Altro aspetto fondamentale (che salta all’occhio a chi si era occupato della Legge 328 a suo tempo) l’invito a formare reti di secondo livello che dovrebbe permettere di allargare le alleanze, superare le frammentazioni ed andare più compatti.  

D’altro canto, in un processo di accreditamento i soggetti più informali potrebbero rischiare di essere tagliati fuori. E una forte enfasi sull’impatto, rischia di incentivare l’istituzionalizzazione e l’aspetto procedurale a discapito della processualità. Questo può trasformare i soggetti, spostando l’attenzione alla capacità di superare il processo di verifica più che all’azione reale sul territorio. E’ una dinamica che si vede maggiormente sviluppata se  si guarda all’America, dove il processo è più avanti. 

Oggi qui parliamo di cura della democrazia associativa e dei congressi. 

Le Acli hanno una tradizione di democrazia associativa. Toqueville diceva che le associazioni sono palestre di democrazia. Nel 2001 le Acli hanno invitato una persona, che è un teorico di democrazia associativa. In quel contesto fece un pezzo che si ritrova ancora negli Atti. E propose  un modello di democrazia associativa che è una sorta di terza via, ma in modo diverso. La terza via era l’idea che l’individuo potesse integrarsi nella società con modalità che oggi vediamo in affanno. La democrazia associativa tende invece a rafforzare i corpi intermedi, tutti i corpi intermedi, non solo il Terzo Settore. Rafforzare i corpi intermedi per risolvere due problemi: la crisi di governabilità del pubblico, il big business (una società sperequata in cui le disuguaglianze aumentano). 

L’assioma per cui se si alza la marea tutte le barche salgono non è vero. La democrazia propone un maggiore coinvolgimento dei cittadini nelle questioni di interesse generale. Le associazioni ed i corpi intermedi conoscono in modo più dettagliato le dinamiche del territorio. In virtù del radicamento. Questo richiede però, e qui vengo al congresso, di curare molto la democrazia interna, per non farla somigliare alle chermess dei partiti politici. Richiede che ci sia una reale capacità di scambio e di argomentazione. Richiede reali momenti di dibattito su problemi di interesse collettivo. Problemi che possono essere risolti solo con la cooperazione e la condivisione tra persone. Persone che si associano, si mettono assieme, proprio per provare ad avere maggiore forza nel risolvere i problemi. Da questo punto di vista i congressi con base associativa non dovrebbero avere al centro la visibilità regalata ai leader che vengono in visita. Ma dovrebbero essere reali spazi di confronto. Ormai sono 20anni che frequento le Acli, mi è capitato di girare abbastanza. Questa spinta argomentativi io nelle Acli l’ho vista, più volte. E non raramente. 

Qui condivido uno schema elaborato con Paola e Simona. Uno schema che è nato all’interno della scuola per animatori e che prova a presentare il lavoro circolare che dovrebbe esserci nelle comunità per alimentare una politica associativa virtuosa.  Partiamo dall’esplorazione e cerchiamo di leggere il territorio con capacità di profondità etnografica. Qui è importante saper cogliere tutto, anche le risorse. Saper sempre pensare che ci sono potenzialità. Nell’era dei big data abbiamo sciami di dati, ma non abbiamo la capacità di riconnetterli e di dare chiavi di lettura. C’è bisognosi recuperare la storia dei luoghi, cogliere i nessi e offrire stimoli per prefigurare possibili futuri. Il mestiere delle Acli in questo senso non è fare ricerca in senso tecnico. Ma è coinvolgere altri e costruire reti e parternariati con soggetti, scuole, parti sociali… nella promozione comune di esplorazioni. Nella lettura comune di ciò che emerge dalle esplorazioni. Nella partecipazione alla negoziazione politica, senza tirarsi indietro.

Un ultimo aspetto è la capacità di agency, di agentività. Se volete usate generatività, ma si tratta della capacità di innescare cambiamenti anche in presenza di vincoli strutturali. I vincoli esistono, non li possiamo negare, così come esistono le precarietà e le incertezze. Ma anche in quadro precario e pieno di vincoli, non possiamo abdicare alla voglia di innescare processi comunitari.

La capacità di continuare a sperimentare e a dare senso alla democrazia associativa e la capacità di animare la comunità sono punti di forza delle ACLI, anche in un periodo in cui c’è la crisi e la disintermediazione. 

In un articolo, qualche tempo fa, Prodi diceva che la crisi dei corpi intermedi non è solo frutto della disintermediazione. In realtà i corpi intermedi sono andati in crisi quando sono diventati autoreferenziali. Quando hanno perso la capacità di rappresentare interessi e bisogni. E' per questo che le persone faticano a vederne l'utilità. Quando i corpi intermedi diventano autoreferenziali e, nella crisi, guardano a sé e a chi ci lavora, diventano essi stessi causa della crisi. 

Dopo di che ci sarebbe da fare una distinzione tra partiti, sindacati, associazioni... Perchè ad incidere maggiormente, ad esempio per i sindacati, c'è anche il cambio del mercato del lavoro. C'è una indagine Iref, condotta da Gianfranco Zucca, che misura la distanza tra millennials e sindacati. Rispetto al Terzo Settore la questione è più articolata. Ci possono essere associazioni grandi che si sono strutturate e professionalizzate ma che così facendo hanno perso un po' di carica di innovatività, di capacità di anticipare i bisogni, di essere vicini ai mondi vitali. Alcune grosse associazioni si sono aziendalizzate. 

Però nel Terzo Settore l'innovazione sociale sembra continuare a crescere, costantemente. Strutturarsi è stata anche una necessità, per il Terzo Settore, per giocare su più tavoli. Da quando il pubblico ha smesso di essere l'interlocutore, il Terzo Settore ha finito per schiacciarsi un po' sul mercato.  In Italia manca una forte cultura della programmazione sociale e questo ha depotenziato i soggetti nei tavoli di concertazione. Forse con una maggiore programmazione sociale molti problemi di rabbia si sarebbero attuati. Il rischio è l'isomorfismo strutturale: la tendenza dell'attore pubblico a creare enti a propria immagine e somiglianza, strutturando troppo e non lasciando spazi di libertà. Il Terzo Settore si sta barcamenando, non senza difficoltà, tra questo è il mercato d'assalto. Riaprire spazi di dibattito e curare la democrazia associativa serve anche a questo, a marcare, in positivo, una differenza, senza farsi schiacciare nell'angolo dagli interlocutori.

Appunti dall'intervento di Cristiano Caltabiano alla formazione per Responsabili Sviluppo Associativo Acli. Appunti presi in diretta e non rivisti dall'autore. 

Prof! Prof! Una siringa! La droga!



- Prof! Prof! Una siringa! La droga!
In prima media sono grandi, ma al tempo stesso piccoli. E l'annuncio (ripetuto in due casi) si è poi rilevato un pistone di automobile una volta ed un distributore di silicone un'altra.
Di siringhe vere non se ne sono viste. E questa è quasi una sorpresa, di quelle positive. 
Sono invece stati reali i ritrovamenti di: 
- una lavatrice
- un piccone
- l'imbottitura intera del sedile di un'auto
- una borsetta da donna (comprensiva di portafoglio e mezza bottiglia d'acqua e mezzo sacchetto di patatine) sbruciacchiate
- lucertole tagliate a pezzi, imbevute nel gasolio
- vestiti da donna
- lo scheletro di un ombrello da uomo (arrugginito e bruciato)
- un pannolino da bambino (usato)
- parecchie bottiglie di vetro (in prevalenza birra e vino, ma anche qualche vodka)
- qualche cartone (ancora mezzo pieno) di Tavernello
- tanichette (vuote) di plastica
- un' insegna stradale in marmo (in pezzi)...
Poi ovviamente cartacce, pezzi di plastica di tutti i tipi, tappi, cicche di sigarette... e grossi rami (e persino qualche tronco). Ma tutti (tra genitori, ragazzi, insegnanti e volontari) potranno confermare che la cosa assolutamente più numerosa (e più schifosa) ritrovata e raccolta nella via attorno alla scuola, adiacente ai cancelli, è: buste di preservativi, preservativi usati, fazzoletti di carta usati. 
La mattinata ha avuto senso, in tutti i sensi.
Certo, che questo sia lo scenario abituale delle scuole, ne ha molto meno. 

Le periferie in ottica animativa (video)




Intervento all'Incontro Nazionale di Studi Acli 2019 "In continuo movimento"  a Bologna

Le periferie in ottica animativa



Proverò a dare una cornice a ciò che ha detto Danilo. 
Contestualizzandolo nel percorso che stiamo facendo con gli animatori di comunità.
Non siamo ancora in grado di fare una riflessione conclusiva. Per questo stiamo pensando ad un seminario da fare tra qualche mese.

Oggi provo ad identificare, con delle pennellate, alcuni degli snodi che ci sembra di aver trovato.
Per offrirli, assieme a quanto emerso dalla ricerca di cui ha già detto Danilo:
  • come contributo alla riflessione (e confutazione) delle Acli tutte,
  • come elementi da validare (o invalidare) da parte del prof. Remotti e di chi su questi temi ha approfondito dal punto di vista scientifico
  • come questioni e attenzioni da tenere presenti nel confronto con la politica, che avverrà più tardi nel pomeriggio. 
Ne ho selezionate 10. E per questioni di tempo mi limito ad accennarle.

Ci sono molti modi di intendere l'animazione di comunità. E non sempre un modo esclude un altro. Ma per noi, l'idea di animazione di comunità che ci ha condotto all'esplorazione delle periferia alcuni punti fermi: 
    1. IL PROCESSO ARTISTICO DELLO SCULTORE
    Il modo che noi abbiamo trovato ha molto più a che fare con il processo che con il prodotto. E ha a che fare più con un lavoro da scultori che da progettisti. Più da artigiani che da impresa di carattere industriale. Non c'è niente di male nell'essere progettisti. Non c'è nulla di male nel processo industriale. Ma l'approccio animato è altro. Si tratta di intuire. Intravedere. E togliere tutto il superfluo affinchè l'essenziale possa emergere anche ai nostri stessi occhi. Ci vuole pazienza, tempo e un misto di arte e mestiere. Non è progettare e poi fare tutto ciò che serve per arrivare all'obiettivo dato. E' avviare un processo e avere fede nel processo e nel suo sviluppo.
    E' una inversione di prospettiva rispetto alla modalità con cui spesso siamo abituati a muoverci.
    Ed è anche una esperienza di decentramento. Non siamo noi il centro, nemmeno del nostro percorso. Il centro è la realtà

Ma lo mandi da solo?


- ma lo mandi da solo? Io avrei paura...
- io ho paura, infatti. Indubbiamente. Ma lui mi pare ragionevole, la strada la sa, il tragitto non è troppo, spesso sono in due... Quindi... ho l'impressione che sia la città a mettere paura. E che la paura ce l'avrò anche tra un mese o un anno, per cui...o decido che lo accompagno a vita o incrocio le dita, butto uno sguardo in alto e mi abituo a convivere con questa sensazione...  

In continuo movimento


C'è un noi fatto di tante persone diverse.
C'è la storia, in quelle 52 volte, che un po' ci pesa addosso, un po' ci spinge avanti.
C'è la fatica, ad inizio anno, di trovare il tempo di fermarsi e concentrarsi e studiare un po'.
C'è la sfida di farlo assieme. Mettendo in comune le nostre intuizioni. Chiamando qualcuno che ci aiuti a pensare, confrontandoci con altri e interloquendo con la politica di oggi. 

C'era un'idea di fondo, quest'anno: che povertà e diseguaglianze siano insostenibili. Soprattutto se si sommano ad una carenza di mobilità sociale ascendente (alla possibilità di uscire da quella povertà) e alla crescita di mobilità discendente (timore di diventare sempre più poveri).
C'è il riconoscere che nel nostro Paese ci sono luoghi in cui tutto questo è più concentrato ed evidente. Ed è ciò che chiamiamo periferia (indipendentemente da che si trovi in città o in provincia).
Cercare di comprendere le cause e gli effetti di questo e provare a costruire le molteplici modalità per invertire il processo è stato il lavoro di questi giorni. 

Abbiamo moltissimi limiti. E anche questa stessa esperienza è molto perfettibile. Ma dobbiamo dirci che il ritrovarsi a studiare assieme oggi non è scontato e non è poco importante. 
È un pezzo (solo un pezzo, certo!) di quella assunzione di responsabilità sociale e politica che ci spetta. Per fare il mondo un po' migliore. 

La casa è un servizio sociale al quale ha diritto ogni uomo, ogni cittadino, ogni famiglia.

A nome delle Acli ringrazio di questo incontro tutti i presenti, perché siamo lieti di poter esprimere il nostro parere anche in questa sede su un problema di vitale importanza per tutti i cittadini e in particolare per i lavoratori che subiscono maggiormente le conseguenze di una situazione così delicata e difficile nel settore delle locazioni.  
Penso che già conosciate le Acli: sono un movimento sociale di lavoratori cristiani che persegue la promozione dei lavoratori  in seno alla società collocandosi in uno spazio di problemi sociali. Il nostro punto di vista si inquadra quindi all'interno della società civile ed il discorso sulla casa è uno degli argomenti che abbiamo dibattuto di recente (...). 
Per noi il bene "casa" è un bene essenziale di natura preminente, un servizio sociale al quale ha diritto ogni uomo, ogni cittadino, ogni famiglia, ed in questa visione tutto il lavoro è diretto ad assicurare il servizio "casa" e a rimuovere tutti i possibili ostacoli che si frappongono.
(questo è l'inizio dell'intervento che Maria Fortunato, vice presidente nazionale, assieme a Fausto Tortora, capo ufficio studi, fece in una audizione in Parlamento in Commissione Speciale Immobili Urbani il 21 ottobre 1969 ). 
Nè questo è un fatto isolato, in molte province le Acli hanno svolto una intensa attività di studio, di dibattito, di proposta, suscitando ed orientando a fianco delle centrali sindacali l'iniziativa dei lavoratori. (...) A Torino, Arezzo, Milano, Napoli, Trieste, Firenze, Venezia, Palermo, Roma, Bergamo (...). 

Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un...