Da dove si inizia a tagliare...


In attesa di decisioni comuni della presidenza (alle quali ovviamente mi sono dichiarata pronta ad aderire...) ho comunicato alla Segreteria Generale e all'ufficio del personale la decisione di autoridurmi lo stipendio del 30 per cento a partire da ora fino a scadenza di contratto (fine giugno 2016).

Quanto prendo di stipendio l'ho già detto qui e qui rendendo pubblica (da ormai due anni) la mia dichiarazione dei redditi.  

E perché credo sia opportuno farlo l'ho detto qui. E vale, oggi più di allora, la motivazione.

Dopo di che, ha ragione chi dice che tagliare non basta. Serve costruire ed investire.
Ma siccome comunque dei tagli sono da fare, meglio iniziare da qui.

P.S: la Presidenza ha successivamente deciso di autoridursi il compenso del 20%. Io ho mantenuto quanto deciso.


Il libro dell'incontro


Il libro dell'incontro. Racconta di incontri di anni tra ex appartenenti alla lotta armata e parenti di vittime. 

Richiama esplicitamente il faro delle commissioni Sudafricane, ma cita anche Bruno Segre (amico di Neve Shalom Wahat Al Salam)e l'esperienza di Parent Circle. Ed in me, è chiaro, questo riporta immediatamente alla ricchezza degli incontri tra albanesi, serbi, turchi, rom, ashkalja in Kosovo. Tra l'altro restituendo per la prima volta una sorta di senso (oltre a quello intimo e personale di privilegiati che assistono a qualcosa di prezioso) al nostro ruolo li, non testimoni, non mediatori: terzi. Rappresentanti della società civile, degli altri (nel caso del terrorismo), del resto del mondo (nel caso del caso kosovaro). 

Eppure la connessione principale che mi è venuta oggi non è con i Balcani. Ma con il bisogno storico, politico e culturale di "ricomporre" l'identità degli italiani che siamo. Perché un popolo è tale se condivide un territorio, una storia, una cultura, un progetto. Ma difficile condividere un progetto senza ricomporre storia e cultura. Ricomporre è la parola usata, non riconciliare. 
La nascita della Seconda Repubblica, la dissoluzione dei partiti, e delle ideologie. In fondo fissiamo lì l'origine di ciò che siamo oggi. Del nostro disorientamento. Dell'assenza di "collante". Ma forse abbiamo bisogno di ripartire da un passo più indietro.
La scrittura della Costituzione, dopo la guerra, è stato lo spazio di condivisione che ha provato a fare un percorso che tenesse assieme il plurale identitario e culturale del Paese. E ne traesse qualcosa di unico. Conoscibile da tutti. Ma anche in cui tutti potessero riconoscersi. E a far da collante, l'antifascismo ed il mito e valore dei partigiani. 

Poi però ci sono stati gli anni di piombo. Il terrorismo e la lotta armata. C'è stato il tempo della violenza (dello stato e dei terroristi), il tempo dei tribunali e delle condanne (e dei misteri che restano tali). Non c'è stato, non ancora, il tempo vero della lettura politica. Pubblica e ricompositiva. Una lettura che non si accontenti di aver vinto. Che non fugga da ciò che è scomodo. 

Come la connessione politica, culturale e persino in parte militare tra resistenza, antifascismo e terrorismo. Come l'assenza vera e condivisa del rifiuto culturale della violenza. La storia che viene insegnata a scuola e tramandata, ancora oggi, vede le guerre e le rivoluzioni armate come unico motore di cambiamento.  Come l'esperienza, comune a tutti, dell'idea che lo Stato, le Istituzioni (Italia ma anche Europa) possano essere distanti, violente od inefficaci. E che questo non sia poi così tanto un problema. 

Rileggere politicamente quegli anni credo ci serva per oggi. Per costruire un'identità di popolo che cerchi alternative al restare ingabbiati nel ruolo, eterno e passivo, di vittime. 

Perché un paese abitato solo da singoli individui, che si barcamenano tra l'essere egoisti, furbetti, delinquenti o vittime non potrà mai essere accogliente. Né riuscirà a darsi un sogno comune. E senza sogno non ci sarà nemmeno vero sviluppo o uscita reale dalla crisi. 

E poi credo possa esserci utile per non arrivare troppo disattrezzati al confronto con il terrorismo dell'oggi. Ed infine, pure se la parola non compare mai, mi pare un tema adatto all'anno Santo della misericordia. Insomma. Credo sia un libro da leggere. E una esperienza da approfondire.

(pubblicato anche su vinonuovo.it e benecomune.net)

Filo da tessere


Riprendiamo il filo un mese dopo il Consiglio Nazionale.
E  come #piugiusto ripartiamo da:
– una interlocuzione con quanto emerso finora
– il blog come archivio aperto dei congressi territoriali #nientepaura2016
– il blog come spazio di dibattito sul mondo #piùgiusto
– il blog come prosecuzione di ciò che è stato finora #cheAcliservono
Sulla prima (come sollecitato anche da alcuni) scriveremo qualcosa noi, nei prossimi giorni.
Sulla seconda crediamo che le tesi e gli orientamenti congressuali territoriali possano essere interessanti da leggere e commentare. Rilanceremo ciò che troveremo già pubblicato e ciò che i territori riterranno di inviarci.
Sulla terza l’idea è uno spazio libero comune a tutti quelli che lo desiderano. Diciamo come se….
Come se fossimo soci di una stessa associazione. Che si occupa di azione e promozione sociale. E servizi. E politica…  
Come se avessimo voglia di incontrarci “al circolo”. E chiacchierare e discutere (anche appassionatamente) del mondo e di noi, bevendo un caffè o una birra o un bicchiere di vino. Dopo aver letto il giornale, di carta o online che sia. 
Noi partiamo a breve. E vale interloquire e commentare (su blog o sui social). E vale proporre post propri.
Non articoli approfonditamente studiati. Spunti di riflessione. Dialoghi. Rilanci di cose lette che possono essere interessanti. Sul mondo, e non non solo su di noi.
Sulla quarta prosegue come è stato. Con l’invito (vista la fase congressuale più calda) a distinguere ciò che ha senso sia oggetto di dibattito pubblico da ciò che non ne ha. E a cercare i modi per coniugare la libertà di espressione e partecipazione con il rispetto e lo spirito costruttivo.
Da un punto di vista pratico non ci saranno sezioni divise. Resta un blog unico. Ma i post saranno attribuiti alle diverse sezioni attraverso tag. E chiunque voglia scrivere basta che mandi una mail a piugiustoacli@gmail.com.
Ci diamo un tempo per sperimentare. Da qui a fine gennaio, per un mesetto. E vediamo come va. Sapendo che ci sono di mezzo le vacanze, l’avvio dei congressi territoriali ed una crisi da affrontare.
Noi pensiamo che dalla crisi si possa uscire solo affrontandola con decisione nell’immediato, ma anche costruendo tutti assieme un sogno più grande e più alto. Un sogno che diventi il nostro “grande compito”.
Stefano, Santino, Paola, Andrea, Roberto, Matteo.


Messa di Natale


Messa di Natale (versione bambini)
Celebrante: ora si sente una grande gioia!
Giovanni: io sento solo una grande noia! 
Mamma: guarda li, vedi Gesù Bambino?
Pietro: quel Gesù Bambino è fintissimo. E pure questo festeggiamento è fintissimo. 
‪#‎openfamiglia‬ di bambini.
Che ti obbligano ogni volta a scavare più a fondo. Per cercare il senso vero, oltre l'abitudine o la retorica.

Buon Natale. A tutti
.

Conclusioni affrettate (openfamiglia)




Giovanni: è strano, Giulio l'altro giorno giocava con le costruzioni, si è arrabbiato con me perché voleva lo stesso pezzo che volevo io, allora si è messo a piangere e gli è venuto che doveva vomitare...
Mamma: pensi che c'è un collegamento tra il fatto che avete litigato e il fatto che ha vomitato? Magari la prossima volta puoi non farlo arrabbiare così tanto...
Giovanni: non ho detto così. Ho detto che è strano. Ci sto ancora riflettendo. Quindi per adesso ci posso litigare ancora. E poi, se lascio il pezzo a lui mi arrabbio io e mi viene da vomitare a me. E io odio vomitare. 

L'ambulanza


Giovanni: perché passa l'ambulanza?
Mamma: perché si vede che c'è qualcuno che sta male.
Giovanni: però se passavano i pompieri era peggio, vero?
Mamma: mah, non lo so, dipende, certe volte passano assieme. Uno spegne il fuoco, l'altro cura chi si è bruciato.
Giovanni: però se c'era un gattino impaurito sul tetto è più grave, vero? 

Intenti all'inevitabile


Molti pensano che noi ci diamo da fare
nelle faccende più peregrine,
ci affatichiamo in strane imprese
per saggiare le nostre forze o per darne la prova.
Ma in realtà è più nel vero chi ci pensa
intenti semplicemente all’inevitabile:
scegliere la strada più dritta possibile, vincere
gli ostacoli del giorno, evitare i pensieri
che hanno avuto esiti cattivi, e scoprire
quelli propizi, in breve:
aprire la strada alla goccia nel fiume che si apre
la strada in mezzo alla pietraia.
Bertolt Brecht - Molti pensano 

Disertiamo! (di nuovo)



Disertiamo dall’aggressività
Disertiamo dall’appiccio dei mortai
Disertiamo dalle liti 
Smettiamo tutto
Tutti
Contemporaneamente
Di qua
E di là
E vediamo se quel qualcuno,
che di certo non si perde in questioni tattiche,
ma ha una sua strategia,
s’inventa chessò
di vendere qualcos’altro invece delle armi
o di portare la guerra su marte.
Perché è chiaro che,
vincano gli uni o gli altri,
i mercanti di proiettili imperano in ogni caso.
Disertiamo le liti
Disertiamo le parolacce
Disertiamo i video le foto gli articoli
Perché ognuno vuol sostenere qualcosa una bandiera chissà che interesse
E intanto siamo divisi e imperati,
Disertiamo le ragioni e i torti
Perché i morti sono morti
Un poeta ha detto: la verità è sempre in esilio
Ed è dolorosamente più vero
Quando le guerre sono sante
Scioperiamo la violenza
Combattiamo il combattere accecati
Dismettiamo le certezze
Rallentiamo il bannarci l’un l’altro
Che equivale a sparare,
togliere all’altro la possibilità di parlare.
Disertiamo quest’odio non nostro
Che è l’arma di qualcuno
Quel qualcuno che ci guadagna
Ci guadagna banchetta e magna. 


di Anna Segre 
(con il dubbio che forse la misericordia è un passo in più, è il disarmo dall'odio pure nei confronti dei qualcuno. Ma non è obiettivo facile, la misericordia).

Recita di Natale alla materna...



Eh, ma i genitori alle recite con i cellulari...
Già, ma tipo oggi, alzare il cellulare tendendo del tutto le braccia, riprendendo a caso e poi abbassando e guardando in differita era l'unico modo per vedere qualcosa. 
E poi capita che nel frastuono di una palestra con cento persone, senza un microfono e con un cd non amplificato di Last Christmass, la ripresa differita ti mostri facce di bambini spersi, in silenzio o urlanti a caso, che cercano invano un volto conosciuto nel caos. 
Poi la maestra "fate un applauso, non sono bellissimi? E pensat
e che non abbiamo mai fatto le prove!". 
Se infine realizzi che ben più di metà delle persone in quella palestra sono cinesi, moldave, rumene, filippine, indiane...l'idea più forte non è chiedere che loro si integrino nel nostro "ordine", ma sperare che facciano una pacifica ma netta rivoluzione al posto nostro...
Per dire.

Di banche e dintorni...


Se un nostro specifico è una formazione che permetta consapevolezza, partecipazione e cittadinanza. 

Se oggi la conoscenza non è data dall'accesso alle informazioni ma dalla capacità di selezionarle, connetterle, comprenderle.
Se il mutamento del sistema del lavoro e delle pensioni e dei risparmi e dei consumi è tale per cui ciò che passa per tradizione familiare non è più sufficiente. 
Se ciò che è andato in fumo in questa vicenda non sono solo i risparmi ma anche la capacità di fidarsi della banca sotto casa, del cassiere che conosci da una vita...
Credo dovremmo interrogarci sul potenziale di fiducia che ancora abbiamo e di come preservarlo.
E dovremmo investirlo in una grande campagna di educazione finanziaria popolare alle famiglie, con le parrocchie, nei paesini...

Alcune esperienze già ci sono. Potremmo partire da lì.

In piazza a Montecitorio...

In piazza Montecitorio. Mentre si manifesta si pensa. La chiave di volta non può essere la resistenza o la difesa dell'esistente. Deve essere l'idea di una impresa sociale nuova che valorizzi partecipazione, cittadinanza, competenze, credibilità, spirito imprenditoriale e logica territoriale.
Ma tagli fatti così non promuovono cambiamento. Tagliano servizi ai cittadini e stop.

Egemonia culturale

Non basta attribuire tutto al terrorismo.
Non basta liquidare tutto con estremismo o populismo. Non funziona più affidarsi al fatto nella testa delle persone esistano veti che impediscono di votare a priori qualcosa (che sia destra, sinistra, lega, movimento 5stelle o altro...).

La chiave non è più il partito. Sono le idee (intese come idee di fondo, non come piccole trovate specifiche).
Ed è una strategia.
E sono le persone.

Si potrebbe iniziare a smettere di bollare chi vince come qualcuno capace solo di "correre dietro" alla cultura esistente. E riconoscere che forse ha vinto perché (prima) è riuscito a "contaminare" e modificare la cultura popolare con le proprie idee. E provare a ripartire da lì.

Ma per farlo serve: avere delle idee, avere interesse a parlare con l'altro fuori da sé, riuscire ad essere interessanti per altri e (prima ancora) essere almeno comprensibili.


Niente paura!


Il Consiglio nazionale delle Acli del 27 e 28 novembre a Roma ha convocato il 25′ congresso dell’associazione.
Un percorso intitolato Niente Paura, coinvolgerà tutte le realtà territoriali e si concluderà a Roma il 6-7-8 maggio 2016.
Gli orientamenti congressuali sono stati approvati dall’unanimità dei presenti (1 astenuto) e con mandato alla Presidenza Nazionale di aggiustamenti sul testo e sul sottotitolo per tenere conto di quanto emerso dal dibattito. 
Visto il contesto di crisi e la volontà condivisa di impegnarsi per una maggiore sostenibilità economico finanziaria di sistema è stato anche dato mandato alla Presidenza di tenere aperto ancora per un breve periodo la ricerca di soluzioni organizzative per il congresso che permettano un ulteriore risparmio dei costi. Compresa l’ipotesi di una località differente da Roma.
Stante le successive versioni finali e le elaborazioni grafiche, ci sembra utile condividere, in ottica di trasparenza e chiamata a partecipazione di tutti al dibattito:
A tutti e tutte, buon congresso!

Guarda che cielo che hai, e guarda dove vai!



Se non ti piaci, vedrai, non cambierai mai. Guarda che cielo che hai. Guardati e guarda cos’hai. Guarda dove vai! 
Vasco
Un mese fa ci siamo chiesti:
Un Paese libero, creativo, partecipato, solidale: più giusto!
Che sfide sociali raccogliere per costruirlo…
Che Acli servono per affrontarle…
Oggi consegniamo simbolicamente al dibattito congressuale www.piugiusto.org con il contenuto dei 48 posti arrivati. Che contengono immagini, storie, riflessioni, spunti ed esperienze diverse. Punti di vista in cui riconosciamo anche convergenze ma che non vogliamo accomunare o forzare in una linea comune. E che non sono riassumibili. E non sono di nostra proprietà. Sono un patrimonio a disposizione di tutta l’associazione. Sono di dirigenti e di soci, di lavoratori e altri interessati. Per questo ci piace entrino, anche formalmente, in un Consiglio Nazionale.
E poi aggiungiamo alcuni nostri spunti. Non un documento. Un contributo aperto su alcuni temi e interrogativi che ci paiono emergere e che possono aiutare a portare altre riflessioni al dibattito comune.
  1. Ragionamenti di fine mandato
Tre anni fa si sono scontrate due coalizioni. Quella che ha vinto aveva al centro della propria proposta:
  • emergenza associativa
  • risanamento economico
  • autonomia politica
Su tutto ciò occorre fare una verifica ed essere verificati, sapendo che, nonostante le cose buone fatte, oggi non ci si può dire soddisfatti. E ci si deve assumere collegialmente la responsabilita’ di un insieme di persone e di punti di vista, locali e nazionali, che non sono riusciti a diventare gruppo come avrebbero dovuto.
Inoltre ci troviamo oggi a fare i conti con una crisi che e’ diventata di sistema e che richiede di essere affrontata senza sconti, promuovendo non una piccola azione di riforma ma un profondo ridisegno complessivo. La cui efficacia e’ legata alla presa in carico complessiva di tutta l’organizzazione nel suo insieme e ad una gestione dei tempi oggi per le Acli inedita.
2Spunti per allargare il dibattito stringendolo alla ricerca dell’essenziale dell’essere e fare le Acli.
Le cose di cui non possiamo fare a meno entro maggio sono molte. Ne sottolineiamo, per ora, tre che ci paiono emergere e che ci piacerebbe entrassero in confronto con i materiali del congresso: gli Orientamenti, il documento Le Acli in trasformazione, le proposte dell’Assemblea strordinaria.
CHI VOGLIAMO ESSERE
Una risposta che ridisegni l’essenzialità delle ACLI oggi. L’abc del nostro essere, la traccia di una identità e mission complessiva per tutta l’organizzazione. Non per chiudere definitivamente l’argomento ma per farne l’ossatura di un processo di co-costruzione dinamica e di dialogo continuo. 
COSA VOGLIAMO FARE
Una risposta che recuperi i presupposti culturali e giuridici di nascita del nostro agire promuovendo servizi di organizzazione di diritti e tutele. Che riscopra il servizio come componente indispensabile del fare associazione e movimento. Movimento delle persone che incontriamo, partendo dai più deboli e dalla comunità che viviamo.
Una risposta che ci faccia smettere di essere un condominio di tante imprese e associazioni e torni ad essere dialogo, azione e cammino comune di differenti esperienze, anche rimettendo insieme parti, tessere e imprese. Sfidando le istituzioni al cambiamento e non irrigidendo noi stessi in maglie giuridiche strette.
COME VOGLIAMO ESSERE
Una risposta che ridisegni stile e sostenibilità dell’organizzazione. Con proposte concrete in merito a redistribuzione di fondi, presenza territoriale, sistema di autonomie ed identificazione di attività e fondi di finanziamento anche nuovi.
Una risposta che delinei la possibilità di presenza di base sul territorio, il nostro associarsi non come sola tessera, ma come condividere una responsabilità, e un cammino di gruppo, alleggerendo il carico di struttura e formalità.
  1. Proposte di metodo
Il congresso non è un evento. E’ un processo. Ed e’ il momento in cui ci mettiamo a pensare insieme le Acli nel loro essere un progetto che va oltre se stesse e guarda al suo senso sociale, spirituale e democratico. La materia del congresso e’ la democrazia e sono le scelte. La sostanza della democrazia e’ la partecipazione e non è compiuta senza un reale dibattito pubblico.
Per questo nei prossimi mesi vogliamo:
proseguire l’esperienza del blog come luogo di raccolta di contributi e materiale di questo lavoro congressuale e come spazio di confronto e dibattito.
rintracciare nei contributi raccolti e dal dibattito congressuale temi che diventino incontri e dialogo nel territorio e tra territori.
Identifichiamo qui alcune proposte che ci sembrano caratteristiche per tema e metodo e che rilanciamo a chi e’ interessato:
  • un momento di 70esimo non dedicato alla celebrazione o ai festeggiamenti ma che provi a ricostruire parallelamente il periodo dal 1990 ad oggi del Paese e delle Acli. E lo faccia diventare seria analisi capace di orientare, senza errori grossolani, le strategie.
  • Alcuni momenti in territori che lo desiderano, nei percorsi congressuali, per focalizzare dimensioni essenziali della proposta. In occasioni aperte a tutti e offrendo all’associazione intera l’esito della riflessione.
  • Alcuni momenti non strutturati, aperti all’iniziativa di singoli aclisti, lavoratori o interessati, di confronto online anche con il contributo di esterni. 
Ed infine la proposta di raccogliere l’invito del convegno ecclesiale di leggere assieme l’Evangelii Gaudium.
Passa per il buio, passa per l’amore, passa per la morte, vai per la tua strada, senza paura. E’ una canzone brasiliana di Vinicius de Morae e Toquinho e Sergio Bardotti.
La paura c’è. Ci attraversa. E’ un tratto distintivo del nostro tempo. L’unico modo per non esserne sopraffatti è farci i conti ed affrontarla. E sortirne assieme.
Stefano Tassinari, Santino Scirè, Paola Villa, Andrea Luzi, Roberto Rossini, Matteo Bracciali. 

Grazie. E avanti




#piugiusto esiste dal 17 ottobre.


In un mese (circa) abbiamo pubblicato 48 post e 13 commenti. In cui possiamo rintracciare veramente un universo di “autori vari”.
Uomini e donne, giovani ed anziani, dirigenti e soci e lavoratori. Gente “di palazzo” e “di periferia”. Di associazione madre, associazioni specifiche ed imprese. Nord, centro, sud. E pure chi, da fuori, ha voglia di collaborare. Segno del patrimonio di cui le Acli dispongono. E che bisogna trovare i modi di valorizzare. 
In un mese ci sono state 8841 visite.
E 3231 visitatori.
E a voler fare al volo una prima analisi delle parole esce così:
Noi, a caldo, siamo  contenti di aver avviato questo processo e di come fino ad ora si è sviluppato.
E ringraziamo tutti coloro che in varia forma online ed offline hanno partecipato e seguito.
Il nostro obiettivo ora è comporre un contributo che rispetti e valorizzi i punti di vista diversi e continui ad arricchire il dibattito.
Ci prendiamo un tempo minimo per lavorarci perché, appunto, il futuro ancora non esiste. Va creato.
Ma una cosa è certa. Non finisce qui.
Grazie. E avanti.
Stefano, Santino, Paola, Andrea, Roberto, Matteo.

Il futuro non esiste, va creato



di Matteo Bracciali – Coordinatore Nazionale Giovani delle ACLI
Quale futuro vogliamo per il nostro Paese?
Se non rispondiamo a questa domanda, tutto quello che abbiamo pensato sul futuro della nostra associazione e’assolutamente inutile, autoreferenziale, passatista. Ma non perche’ ci sia qualcosa di male in quello che siamo stati, anzi. Ma perche’ non piu’ riproducibile.
L’esempio piu’ calzante e’ proprio la nostra unita’ di base, il circolo. 50 anni fa, era la risposta a due domande: aggregazione, in un tempo in cui era l’unico luogo di incontro della comunita’, e tutela, quando la chiave valoriale che rappresentiamo era sufficiente per generare appartenenza.
Penso che ancora oggi quel modello tradizionale sia strategico, ma il presente lo ha superato; su come sia cambiata l’aggregazione non mi dilungo, ma e’ evidente che non siano piu’ solo i luoghi fisici quelli da presidiare in modo capillare. Sulla tutela e sull’appartenenza mi fermo un attimo: la tutela diventa soluzione del bisogno materiale di una persona (purtroppo sempre piu’ spesso solo questo) e la nostra base valoriale diventa fondamento per la scelta del bisogno e della soluzione. Su questo abbiamo una grande opportunita’ per ricostruire appartenenza.
Siamo riconosciuti dalle nostre comunita’ nella misura in cui riusciamo ad incidere nella quotidianita’ della vita delle persone. E diventiamo riferimento politico non per la C o per la L del nostro acronimo, ma per la capacita’ di incarnare i nostri carismi in risposte concrete, misurabili e a tempo alle necessita’ del nostro tempo.
Il futuro sara’ sempre piu’ dematerializzazione dei rapporti e il nostro carisma sui servizi di comunita’ e di sostegno potrebbe avere una chiave di sviluppo molto interessante: riuscire a tenere insieme la modalita’ online per la costruzione di reti di relazione e quella offline per l’offerta di servizi che saranno sempre piu’ ad alto impatto sociale, come la cura di chi rimane solo, il sostegno alle dinamiche familiari sempre piu’ flessibili (o precarie, per verita’) e l’orientamento alle opportunita’.
Questo non significa perdere politicita’, tutt’altro. Ma non possiamo pensare di esprimerla solo dentro agli organi dell’associazione. I partiti, proprio per l’incapacita’ di tenere insieme idea/azione non esisteranno piu’ tra qualche tempo, per essere sostituiti da contenitori di individui anzi, di individualita’. Il nostro ruolo sara’ determinante nella promozione di una societa’ solidale, giusta ed accogliente se saremo capaci a rendere coerente sempre di piu’ la nostra azione sociale e la nostra capacita’ di elaborazione politica. Mi soffermo un attimo su questo punto.
Siamo dotati di una rete territoriale formidabile fatta di persone che non solo vivono l’associazione, ma sono opinion leader locali che possono costruire, per un pezzetto, reti e visibilita’. Abbiamo competenze e strumenti per essere protagonisti del mainstream di questo Paese, ma siamo troppo tradizionali nella costruzione delle campagne di opinione che promuoviamo. Ed il rischio e’ molto alto: quello di non essere piu’ un movimento popolare, ma identificato come una elite culturale, aggrappata al proprio passato, lontana dal dibattito pubblico.
Piu’ orizzontali, piu’ semplici, piu’ ACLI. A queste sfide si risponde con una rivoluzione organizzativa. Abbiamo bisogno di un soggetto economico e politico territoriale di riferimento che abbia capacita’ di lettura del contesto, elaborazione di soluzioni, gestione dei servizi erogati. Autonomo, ma accompagnato dal livello nazionale per evitare derive che la nostra associazione purtroppo ha gia’ vissuto. Abbiamo bisogno un organo di governance nazionale formato e snello in grado di dare indirizzi nei tempi di vita delle persone e non piu’ nei tempi delle ACLI. Abbiamo bisogno di persone che si appassionino alle nostre scelte, che sottoscrivano i nostri appelli, che partecipino alle nostre campagne d’opinione. C’e’ bisogno di piu’ societa’ e noi siamo la risposta. Perche’ il futuro non esiste, va creato.

Il gioco collettivo riesce a far emergere i pregi di ognuno

Chiedo scusa dal principio, perché più che un discorso sensato, il mio sembrerà un flusso di coscienza, che viene dalla pancia…la pancia di una persona che vive le acli da dipendente e non da aclista.
Da ex-giocatrice di pallavolo incallita, credo che la metafora degli sport di squadra possa offrire degli spunti (sicuramente banali, ma probabilmente che proprio per questo a volte restano solo sottointesi) di riflessione sulla metodologia del cambiamento a cui le ACLI aspirano.
Julio Velasco, ben lungi da ragionamenti moralistici, dalla sua posizione di dirigente di una squadra di calcio, sosteneva che il “gioco di squadra” diventa fondamentale in una società cosi competitiva, globalizzata e individualista; ma sottolineava anche che il mero “tutti per la causa” non è sufficiente. Tattica, condivisione degli obiettivi e dei risultati attesi, rispetto, fermezza e consapevolezza dei limiti e dei pregi, sono gli elementi fondamentali per un gioco di squadra vincente.
E’ chiaro che in questo momento storico di mutazioni sociali e di evoluzione delle priorità collettive ed individuali, le ACLI hanno bisogno di ritrovare la propria dimensione nella e per la collettività.
Ma quali sono le sue tattiche, i suoi obiettivi? I pregi, i difetti? Si riesce a mettere insieme i pezzi e definire una strategia condivisa, anzi, condivisibile?
Prendendo spunto dal lessico della progettazione, quali sono i suo obiettivi specifici, i risultati attesi e gli indicatori oggettivamente verificabili e misurabili, la sua strategia? Perché forse di un progetto si tratta e come tale ha bisogno anche di partner per la realizzazione, sia interni che di altri “portatori di interesse” che non necessariamente gravitano nell’universo ACLI.
Ma a parte tutto, senza una guida chiara ed un gioco ben delineato, conosciuto e condiviso da tutti, e non solo dall’allenatore, non si va lontani. Il gioco di squadra non è “il capo pensa e i giocatori eseguono”; un buon allenatore “costruisce un gioco in collaborazione con i giocatori”, fino a quando i giocatori arrivano al punto di sapersi muovere per conto loro perché conoscono la tattica.
In diversi post si è fatto richiamo alla pluralità delle ACLI che spesso si fa fatica a “governare”, o meglio, sulla quale a volte non si riesce a far sintesi, o che comunque apre la strada a doppioni, scarsa efficacia degli interventi, autoreferenzialità, ecc., ecc. Di nuovo: quale sarà la tattica dell’”allenatore” delle ACLI? I “giocatori”, i pezzi delle ACLI fino a che punto sentono di poter o voler collaborare alla costruzione della tattica?
Certo, il lavoro di costruzione e condivisione è difficilissimo, soprattutto nell’universo mondo delle ACLI, ma sempre prendendo in prestito le parole di Velasco, “le difficoltà non devono essere viste non come un qualcosa che ti impedisce di fare, ma come la possibilità di allenarsi a superarle”. Il tutto spinti da valide motivazioni, che definirei in primis basilari, cioè i valori delle ACLI, poi economiche (non nascondiamocelo) ed infine “la sfida”.
E’ indubbio che chi fa le ACLI è mosso da una condivisione dei valori e della mission, e che ci siano persone a cui piace fare quello che fanno. Ma siamo sicuri che questo basti?
Ad esempio, il “lavoro” immagino sia (fino a prova contraria), ancora uno dei punti fermi dell’Associazione, ma siamo sicuri che sia ancora profondamente rispettato? Siamo sicuri che tra le priorità dell’allenatore ci sia ancora il miglioramento delle condizioni lavorative e dell’ambiente di lavoro? Che il lavoratore non sia una mera risorsa che ha un costo o che il lavoratore consideri il proprio posto di lavoro solo come una fonte di reddito? Dove sta qui il valore aggiunto di quello che si fa rispetto ad una semplice azienda?
Non demonizzo assolutamente la strada aziendalista che l’Associazione può voler intraprendere, anzi, che a tratti ha già intrapreso; mi interrogo solo sul contesto valoriale in cui ci si vuole muovere.
Ultima tra le motivazioni c’è “la sfida”, motivazione che personalmente sento molto: credo che per “rinascere” ci sia un gran bisogno di sentirsi parte di qualcosa che vada al di là della routine, di competere per una impresa straordinaria”.
Quale sarà l’impresa straordinaria delle ACLI?

A quattro mani


Di Mauro Platè e Cristiana Paladini 
Un post a quattro mani, qualche spunto di riflessione condivisa sull’associazione, perché le Acli ci hanno accompagnati in questi anni di esperienza associativa, di crescita professionale (in modo diverso per ognuno), ma anche di vita familiare, facendoci maturare l’idea di un’associazione in cui sia possibile, e proficuo anche, desiderandolo, impegnarsi come soci e lavoratori e trarre da ciò un arricchimento. 
Anche se le peculiarità della nostra esperienza non sono generalizzabili, siamo convinti che un tipo di coinvolgimento che tessa insieme dimensione relazionale, territorio e professionalità, rappresenti per l’associazione un punto di forza da valorizzare, non solo per le potenzialità (unite, inevitabilmente, ad alcuni limiti) che tale integrazione contiene, ma soprattutto in virtù delle possibilità di conoscenza e radicamento nelle comunità che questa modalità porta con sé e le conseguenti ricadute sul lavoro e soprattutto sulla progettazione.
In contesti dinamici in rapita evoluzione, che da un lato pongono vincoli stringenti sulle risorse e dall’alto sono caratterizzati da una domanda sociale crescente, le comunità meglio attrezzate sembrano essere proprio quelle in grado di interpretare la programmazione non strettamente come gestione di un budget predefinito ma come capacità di offrire strumenti per la connessione ed integrazione di reti e risorse, di conoscenze e bisogni inespressi. 
Se le Acli hanno l’ambizione di porsi come attori coprotagonisti della promozione sociale sul territorio, in contesti complessi in cambiamento, questa apertura ad una programmazione partecipata e integrata nei luoghi, attraverso anche le persone e le loro relazioni, non può essere considerata secondaria.
Abbiamo visto aclisti “vecchi” e nuovi, in Italia e all’Estero, per il Servizio Civile, come collaboratori, come personale espatriato, per esperienze di volontariato, giovani (ci sono ancora i giovani intorno alle Acli), e non solo. Ma cosa succede dopo? Quando termina il rapporto lavorativo, o l’esperienza di volontariato, quando per motivi diversi le strade si dividono, in modo consensuale o meno, cosa rimane? Molti si sono allontanati perché hanno preso strade diverse, perché il legame associativo oggi, lo sappiamo, si fa più fluido e momentaneo, a spot, ad evento.
Alcuni sarebbero rimasti, alcuni avevano energie, competenze, esperienza per accompagnare il cambiamento di cui si parla. Abbiamo visto anche meno giovani, che in Acli hanno passato più di mezza vita, che hanno costruito relazioni, ponti, progetti, investito energie e tanto tempo. Li abbiamo visti andare via, perché in un momento di crisi associativa erano difficili da ricollocare.
Conosciamo cosa significa lavoro in tempi di crisi ed incertezza, siamo la generazione nata negli anni di piombo, quella dei giovani universitari del duemila, della speranza implosa dei movimenti e del ritorno alla partecipazione, la prima generazione di giovani adulti che ha conosciuto il precariato come forma di lavoro permanente. Eppure ci siamo convinti che un’associazione “cristiana di lavoratori” possa essere più di un luogo a cui dedicare qualche ora di lavoro e questa convinzione è nata proprio dalle persone e dai soci lavoratori che abbiamo incontrato. 
In tal senso forse è necessario ragionare non solo su chi resta, ma su chi si allontana, sull’uscita di quanti hanno vissuto le Acli ed hanno contribuito in maniera differente a traghettarle nel presente. Se, come ci ripetiamo da anni, gli individui non sono numeri, è necessario riflettere sulle vie possibili di mantenimento dei legami. Per non perdere risorse, per non sprecare innovazione e competenze acquisite ma soprattutto, perché sono quelle persone, le loro esperienze, le reti che attivano ed hanno attivato a dare radicamento al progettare e corpo al rinnovamento.

Contro il realismo, la rivoluzione



di Enrico Fiori – Vicepresidente ACLI Toscana
Lo scorso 10 Novembre è deceduto all’età di 96 anni Helmut Schimtd, Cancelliere della Germania Ovest dal 1974 al 1982.Con lui scompare uno dei massimi esponenti della socialdemocrazia tedesca ed europea, un movimento politico-culturale che ha cercato di conciliare l’accettazione della democrazia parlamentare e del modello economico basato sulla proprietà privata e sul libero mercato, con la costruzione di uno stato sociale avanzato.
Schimtd fu uno dei protagonisti del Congresso di Bad Godesborg del 1959 in cui la SPD tedesca eliminò ogni riferimento al marxismo per adottare un programma di governo incentrato sul varo di una serie di riforme tese a rafforzare il mercato libero, la concorrenza effettiva, la libertà nelle sue varie forme. La socialdemocrazia tedesca ed europea ha dunque da tempo abbandonato le suggestioni rivoluzionarie per cercare di correggere le storture più evidenti del sistema capitalistico, senza attaccarne i fondamenti.
Capovolgendo uno slogan del ’68, il motto sembra essere “Siate realisti, chiedete il possibile “. Oggi il Papa chiamato “dalla fine del mondo” con parole e gesti significativi sembra mettere in discussione questo schema, in base al quale il capitalismo è una realtà comunemente e positivamente accettata. Questa traccia di riflessione proposta da Giovanni Bianchi durante l’ultimo Incontro di Spiritualità di Camaldoli, merita di essere approfondita.
Innanzitutto non dobbiamo dimenticare che Bergoglio è cresciuto nel cammino pastorale e teologico della Chiesa latino-americana che già a Medellin nel 1968, a Puebla nel 1979 e a Aparecida nel 2007 ha affermato l’opzione per i poveri e la necessità della loro integrale liberazione. E oggi che è Vescovo di Roma insiste su questo punto,affermando “che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri” (EG48). Ma l’approccio di Papa Francesco non è soltanto caritatevole, bensì mira ad affrontare le cause strutturali della povertà: “Così come il comandamento” non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. “ Questa economia uccide” (EG48). E’ innegabile che si tratta di un pensiero critico che non punta ad ottenere dei semplici aggiustamenti, ma è diretto prefigurare un nuovo sistema economico.
Mentre politici ed economisti parlano di PIL e si interrogano su come rimettere in moto la macchina dei consumi, Bergoglio si batte contro una società che “riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo” (EG55), pressanti gli inviti a vincere la  “globalizzazione dell’indifferenza” e la “cultura dello scarto”.
Ma anche quando parla di altre tematiche, come ad esempio quella del lavoro, il Papa torna sempre al nodo di un’economia ingiusta e distorta. Parlando agli operai di Terni a proposito della disoccupazione, ha scandito: “ E’ la conseguenza di un sistema economico che non è più capace di creare lavoro, perché ha messo al centro un idolo, che si chiama denaro! “ E’ la spinta a questo poderoso cambiamento di pensiero e di strutture viene dalla fede, una fede che non è fatta di comode sicurezze, ma è rivoluzionaria come ha detto a Firenze e a Cuba.
Per inciso, nell’isola caraibica ha dichiarato: “ La nostra fede passa attraverso la tenerezza!” dimostrando di non temere che le sue parole venissero accostate a quelle di Che Guevara, il quale esortava a essere “ rivoluzionari senza perdere la tenerezza !”. Con l’enciclica “Laudato sì” Papa Francesco fa un ulteriore passa in avanti, unendo il “grido della terra”.
Si stabilisce così una sintonia fra l’oppressione dei poveri e lo sfruttamento selvaggio del pianeta, un tema ricorrente nelle ultime riflessioni della Teologia della Liberazione: “ I gemiti di sorella terra…. si uniscono  ai gemiti degli abbandonati del mondo”. In definitiva Bergoglio sembra non considerare il capitalismo come prospettiva ineluttabile per l’umanità e forse nemmeno auspicabile. Il  compimento del destino umano non risiede in un sistema capitalistico che schiaccia le persone e devasta la Terra. La situazione attuale non è una tragedia annunciata, ma una sfida perché sappiamo prenderci cura della casa comune e del bene comune.

Non voglio fare il dirigente!


un aclista
Ho letto il post dal circolo, mi ci sono molto riconosciuto ma, non essendo più così nuovo, mi è venuta voglia di aggiungere un passaggio alla riflessione.
Sono abbastanza giovane (almeno per gli standard delle Acli, il che vuol dire che ho superato i 35 ma sono sotto i 50). Cerco di darmi da fare in molte cose nel circolo. Non sono troppo litigioso. Ed ho partecipato con piacere a qualche iniziativa formativa provinciale.

Credo sia per questi miei aspetti che negli anni ogni tanto mi è capitato che mi fosse proposto di ricoprire qualche carica all’interno delle Acli. Ma, almeno finora, ho sempre declinato l’invito procurando negli altri qualche stupore e un po’ di disapprovazione (come se il mio essere disponibile “per la causa” non fosse “completo”).

Perchè ho declinato?
1. Non ho tempo e il poco tempo che ho vorrei dedicarlo a cose che mi interessano.
2. Non ho particolari competenze di amministrazione e invece dando disponibilità da dirigente mi troverei addosso l’essere datore di lavoro di altre persone e responsabilità economiche e legali gravose.
3. Non mi pare che i dirigenti Acli che conosco siano persone particolarmente serene e felici e (siccome molti di loro sono persone oneste e piene di buona volontà) ho il timore che potrei anche io “ridurmi così”.

Ma, soprattutto, ogni volta che mi è arrivato l’invito ho avuto l’impressione che fosse una specie di “siccome non c’è nessun altro, se puoi fare tu”. Non ho mai avuto l’impressione che ci fosse un reale interesse per me, le mie idee o quello che io potrei portare. Non ho mai avuto l’impressione che si pensasse che io ero la persona adatta. La persona adatta era chiaramente altro ma, siccome non c’era di meglio… potevo andare bene anche io…

E non era un invito a condividere un grande sogno o un grande ideale. 
Era l’invito a farsi carico del peso della gestione di una struttura pesante. 
Forse le Acli dovrebbero riflettere anche su come fanno quella che chiamano “proposta associativa” e su come avvengono i percorsi e le proposte per diventare dirigenti.

L'idea di popolo nelle origini delle Acli


un aclista
Il Papa ha ricevuto nella sala Clementina i partecipanti alla conferenza promossa dalla Fondazione Romano Guardini nel 130° anniversario della nascita dell’illustre uomo di pensiero.
Non so quanti lo sanno ma la notizia ha un rilievo per le Acli.
Romano Guardini, negli anni ’40 del secolo scorso, è stato uno dei principali interlocutori dell’allora Mons. Montini nei contatti che hanno portato alla nascita delle Acli  e alla coraggiosa iniziativa della loro partecipazione alla CGIL unitaria. Solo gli apporti di uomini con grandi capacità di pensiero potevano rendere possibile una scelta così ardimentosa.
Papa Francesco nell’udienza ha affermato che “Romano Guardini, è un pensatore che ha molto da dire agl uomini del nostro tempo, e non solo ai cristiani”. 
Ed anche che  “Per Guardini, l’unità vivente con Dio consiste nella relazione concreta delle persone con il mondo e con gli altri intorno a se. Il singolo si sente intessuto in un popolo, cioè in una unione originaria degli uomini che, per specie, paese ed evoluzione storica nella vita e nei destini sono un tutto unico (da il senso della Chiesa, Morcelliana, Brescia, 2007, pag 21-22). La sua concezione di popolo si distingue nettamente da un razionalismo illuministico che considera reale soltanto ciò che può essere colto dalla ragione e che tende a isolare l’uomo strappandolo dalle relazioni vitali naturali. Il popolo , invece, significa il compendio di ciò che nell’uomo è genuino, profondo, sostanziale. Possiamo riconoscere nel popolo, come in uno specchio, il campo di forze dell’azione divina (da il mondo religioso in Dostoevschij pag 321)”.
Mi sembrava interessante da segnalare a segno che l’intreccio tra Acli e idea di Popolo affonda già dalle radici delle Acli.                                                                                                                                

Troppe Acli


di Maurizio Pierdomenico
Parlare di troppe Acli mi sono accorto, può generare perplessità. Chiariamoci.
Non intendo troppa presenza delle Acli, anzi, ma troppe articolazioni del sistema che rischiano, se già non lo fanno, di generare duplicati sia di attività/servizi sia di ruoli che di impegni che di soldi.
Alcuni esempi concreti: Acli donne e Acli giovani, perché? Perché le donne ed i giovani devono avere una ulteriore struttura con organi associativi e, (ricordo) presidenze, consigli, riunioni…?
Non possono semplicemente portare la loro voce nelle Acli ? Oppure abbiamo così paura o così poca voglia di ascoltarli che facciamo in modo che stiano in un spazio isolato? E’ chiaro che è una provocazione. Ma non solo.
Altro esempio, anche se non è direttamente Acli  ma si muove al nostro interno, la Lega Consumatori. Sono cittadini che arrivano, magari passando attraverso il Patronato o il CAF,  poi da lì vengono indirizzati alla Lega. Dove viene proposta una nuova tessera, incontrano nuovi operatori… E poi la Lega deve organizzare i propri organi direttivi e così via. Non basterebbe, ad esempio, uno sportello consumatori legato al Patronato?
Uno dei principali problemi dell’associazione è la presenza di troppi organi associativi. Nel mio specifico mi trovo a dover occupare cariche che poi non riesco a seguire come vorrei, solo perchè non si trovano persone che lo facciano. E solo perchè se non si tiene in piedi un organo direttivo poi si scompare…
E poi ognuno deve avere il proprio conto corrente bancario. E mi trovo costretto a tenere aperti più conti per movimenti che magari non superano i 150 euro l’anno, spendendo solo per tenuta del conto 130 Euro. E quindi poi così si va anche in rosso…
Mi chiedo da tempo. A che serve tutto ciò?
Troppi impegni, troppi incarichi formali, alla fine distolgono le energie dall’essere e fare le Acli. Ovvero dal tessere rapporti sociali e di sostegno a chi ha bisogno. Comporta il distacco dal famoso e fin troppo spesso citato “territorio”.
Azzardo, ma… è un po’ come la Chiesa che se si fa prendere da troppi orpelli perde di vista i deboli e quelli che le stanno attorno.
E poi, chiedo scusa se sono lungo, da tempo avverto anche un crescere di atteggiamenti autoreferenziali, di piccolo potere, cose che nulla hanno a che vedere con la missione delle Acli e con il messaggio cristiano in esso contenuto.
Infine, ci vogliamo fare una domanda? Come si sostengono le Acli? Solo con le tessere non si va lontano. Ma allora, realmente, quale è la proposta? 
Nei fatti oggi i servizi sono la risposta al bisogno economico delle Acli. Ma poi a volte vivono un distacco e una contrapposizione forte rispetto all’aspetto associativo. Sono in un mondo tutto loro e vivono l’associazione (e il relativo sostegno economico) solo come un obbligo e non come una partecipazione. E in tempo di crisi non sarà meglio.

Mi chiedo, le Acli si ricordano di noi?


una socia Acli 
Seguo spesso i post di #piugiusto cercando di apprendere sempre più del mondo Acli, per me ancora da scoprire.
La struttura di base di cui faccio parte è recente e abbiamo fortemente voluto dare una connotazione aperta al sociale. L’anno scorso abbiamo avviato una serie di progetti nelle scuole, in parte sovvenzionati dai genitori e in parte dal Comune. Il primo anno è stato certamente di rodaggio ma anche di gratificazioni….
Le Acli che vorrei… Ci abbiamo pensato spesso. Ne abbiamo parlato tanto. Abbiamo tutti insieme, noi del circolo, studiato tanto il sistema Acli. Abbiamo analizzato il territorio, ci siamo confrontati con le altre associazioni, giornate a discutere tra noi e a discutere con le dirigenti scolastiche, con altri… E poi ci siamo buttati, con tutto il cuore, in una serie di progetti… E siamo stati anche bravi. Alcune opportunità si sono aperte. Alcune attività saranno finanziate…
Le Acli che vorrei…mi sarebbe piaciuto condividere progetti, fatica e risultati con altri circoli, con il provinciale, con altri pezzi di Acli. Per confrontarci, per permettere a tutti noi (strutture di base) di avere opportunità per crescere.
In realtà non abbiamo trovato grandi forme di collaborazione. Le relazioni sembrano tutte ingarbugliate in equilibrismi politici che a noi, braccia operative, non interessano. Vorremmo non esserne sfiorati per poterci dedicare ad altro, invece ci soffocano.
Andiamo avanti lo stesso. E nell’ottica di ampliare sempre più la nostra rete di relazioni abbiamo pensato al tesseramento come un primo passo per coinvolgere, per aprirci agli altri, per diventare punto di riferimento sul territorio.
E abbiamo accolto con un boato di gioia l’opportunità di “Mettiamo in circolo lo sport”. Per la possibilità dei fondi ma anche per la possibilità di fondere l’identità APS e quella EPS semplificando e riducendo i costi rispetto al passato.
Ma poi ci interroghiamo sulla composizione del costo della tessera e sulla distribuzione dei fondi che dalla tessera arrivano. Con che criterio si fanno le scelte? Non è una questione solo economica. E’ il sintomo di una realtà che non vuole crescere e cambiare.
Io non sono arrivata alle Acli per fare le Acli. Ho trovato le Acli perchè mi sembrava un’opportunità per fare attività sociale. Ma quando propongo un progetto nuovo mi chiedo sempre se è in linea con le finalità delle Acli. Quando mi rapporto con le altre associazioni e istituzioni prima di presentarmi io presento sempre le Acli. Con i soci che si impegnano ricordo sempre che loro rappresentano anche le Acli.
Ma poi mi chiedo se le Acli si ricordano di noi. Noi soci (volontari attivi o meno). Non siamo solo un numero, ma persone. E se la vera ricchezza delle associazioni è la partecipazione serve ricordarsi anche di noi.
Che si parli di problemi, energie, progetti, idee, fondi… Le Acli per ripartire devono mettere al centro una parolina: CONDIVISIONE.

Non fare qualcosa al suo posto


di Simona Brambilla 
A proposito della relazione tra operatore ed utente dei servizi. Stamattina un signore di 78 anni semianalfabeta si è presentato allo sportello per chiedere la cittadinanza italiana (sì, 78 anni, e non è l’unico).
Ha passato la mattina ad andare e venire: ha recuperato un documento necessario in comune, è tornato da noi a vedere se andava bene, è uscito di nuovo per andare in posta, poi è tornato da noi a fare il punto di cosa mancava, prima di uscire di nuovo verso l’inps.
Ogni volta che tornava, mi trovava immersa in compilazioni di moduli, scansioni e registrazioni per la sua pratica.
Mi ha sorriso e mi ha detto: “Lei lavora ed io lavoro”.
Mi è sembrato molto bello, sentivo che il mio lavoro di operatrice non era solo di fare qualcosa al posto suo, ma di aiutarlo ad attivare le sue risorse.
Una relazione attiva tra operatore e utente, non passiva; costruttiva per entrambi; complementare.
Spesso non è così (anche nel rapporto operatore/utente di conflitto ce n’è, eccome… e spesso è difficile da gestire!) ma quello di oggi è stato un bel momento, uno scorcio dell’obiettivo verso cui tendere.

Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un...