Cambiamo tutto (o almeno qualcosa)


Ok, il titolo del libro è un po' enfatico e anche il tono generale rischia (ai non avvezzi al genere) di apparire un po' forzato.  Però io in Cambiamo tutto di Riccardo Luna ci ho ri-trovato riflessioni interessanti e (cosa più importante) una serie di esperienze che mettevano in pratica le riflessioni.

Il concetto base del libro, forse, ruota attorno al concetto di opportunità. Nulla è dato. Nulla è solo da attendere. Le opportunità capitano ma bisogna riconoscerle e coglierle. Un po' il contrario dell'immagine del murales qui a fianco, insomma. Per avere cambiamento non si può sedersi e chiederlo all'angolo della strada. Serve mettersi in moto.

Perché se vuoi imparare una cosa il modo migliore è iniziare a farla. 

Ma cos'è l'innovazione? L'innovazione è quella cosa che accade quando le idee si accoppiano (when  ideas have sex). Beh... intrigante, no?

E chi sono gli innovatori sociali? Sono i famosi giocatori a somma diversa da zero: il loro successo non dipende dal fallimento degli altri, ma semmai il contrario. Sono idealisti ma anche concreti. Non sono mai soli, perché fanno rete come pochi altri. Sono pazzi? Forse si, ma sanno benissimo che mai come oggi le soluzioni dipendono sopratutto da noi, dai nostri comportamenti collettivi.

Molto del mondo classico del no profit e del terzo settore sottoscriverebbe queste definizioni. Eppure non si può sovrapporre il no profit con gli innovatori sociali. Perché? Cosa distingue i due mondi?

Gli abitanti del no profit e delle grandi organizzazioni tradizionali sono militanti, attivisti (aderenti ad un movimento, partito o sindacato impegnati in opera di propaganda). Magari la definizione  non è perfetta, ma l'impostazione con cui funzionano partiti, sindacati o associazioni e movimenti classici è abbastanza questo: ti chiedo di aderire e quindi (eventualmente) di mobilitarti in base alle idee che il partito, il sindacato, l'associazione sceglie di sostenere. Nulla di male. Anzi, si potrebbe dire che la parte debole oggi sia proprio la richiesta di mobilitazione.

E  chi sono invece gli  innovatori sociali secondo Riccardo Luna? Sono i fattivisti (i makers). Persone convinte che da un complesso di tecnologie sempre meno costose e sempre più facili da usare, alla portata di chiunque si possa trarne un vantaggio per tutti. Persone che vogliono partire da da dati di fatto, dai numeri di un problema, per creare nuovi fatti e non delle parole. Persone che hanno idee e provano a metterle in pratica. Perché chi vuol cambiare può cambiare. E quindi cominciano andando a vedere l'effetto che fa provare a cambiare le cose, piccole cose concrete, senza prima chiedere il permesso.  Senza aspettare che lo Stato risolva tutti i problemi. Senza aspettare che il mercato trovi miracolosamente un equilibrio vrtuoso perché abbiamo visto che non c'è nessun equilibrio se i ricchi diventano sempre più ricchi. Senza aspettare niente e nessuno.

Già, ma si potrà dire, questo porta all'individualismo e al pragmatismo senza visione. Ognuno la sua idea e tutto solo centrato sul fare. I militanti lotta(va)no per un'ideale. Per qualcosa di più grande, per le generazioni future. I fattivisti cercano tutto e subito. E ognun per sé.

Può essere. E in parte lo è. Ma a guardarla senza pregiudizi la cultura digitale (che è il quadro ideologico di riferimento degli innovatori) è fatta di valori in cui anche molti attivisti e militanti potrebbero ritrovarsi senza troppe difficoltà, anzi...

- Che la collaborazione con gli altri è il presupposto per fare presto e bene.
- Che la condivisione non è solo un metodo di lavoro ma anche un obiettivo: creare opportunità strumenti e spazi per un'economia di condivisione.
- Che attraverso il fare concreto si possa cambiare il modo di fare politica, ovvero di essere cittadini facendo rete e avendo come obiettivo il bene comune. 

Mettersi insieme non è solo giusto, è utile. Fare per cambiare l'economia, per cambiare la politica. Non è poi così pragmatico e senza visione. No?

Il punto forse è che nel quadro ideologico della cultura digitale, appunto, valgono i dati, i fatti, non le dichiarazioni. La trasparenza è un valore come strumento che permette di controllare di persona. Non c'è più bisogno di delegare qualcuno e poi fidarsi. Si accede ai dati, li si filtra, si mettono in fila per vedere se è vero e si condividono con gli altri le conclusioni. E si è convinti che sia anche in questo modo che crescono le democrazie.

E vale la partecipazione. Libertà è partecipazione lo cantava già Gaber nel 1972. La partecipazione è indispensabile per la democrazia. Nessuno può pensare davvero ad un paese governato senza partecipazione. Neppure ad un paese governato via web dove vige "la dittatura degli attivi". Non sarà il popolo del web a governarci semplicemente perché il popolo del web non esiste, è una semplificazione giornalistica lontana dalla realtà. Sarà piuttosto il popolo, anche attraverso il web, ad aiutare chi ci governa a farlo meglio.

Ma la partecipazione non è solo ciò che passa attraverso il web. La partecipazione è fatta di due dimensioni: essere parte e prendere parte. Nelle organizzazioni tradizionali è stato enfatizzato il primo aspetto (le tessere, le regole...) nelle nuove organizzazioni si enfatizza il secondo aspetto (cosa porto di mio, quanto conta ed è richiesto e serve ed ha effetti sulle decisioni il mio contributo).

Perché il motto di alcune grande imprese è No matter who you are, most of the smartest people work for someone else che porta a non accontentarsi di quel che si ha e ha cercare di identificare e reclutare le persone migliori ovunque esse siano. E si può declinare anche all'interno dell'organizzazione stessa come Non importa chi sei tu, le persone migliori sono sempre altre (e tu hai bisogno di loro). 

E se partecipare in politica è un prender parte che è davvero mio, in prima persona, liberamente deciso e perseguito (Sartori) e non conta come partecipazione politica quella di professione, quella di colui che vive di e per la politica (Weber) forse il nodo di crisi per le organizzazioni tradizionali risiede qui. Nell'incrocio tra trasparenza (cioè la possibilità di mostrare concretamente la coerenza tra parole e fatti, tra dichiarazioni e comportamenti) e partecipazione (cioè l'organizzazione di un sistema che valorizzi e stimoli la reale e concreta partecipazione di ciascuno).

Ma (Riccado Luna questo non lo dice espressamente eppure a me pare la logica conseguenza) per fare questo serve investire sulla diversità e serve talento e pratica nella gestione costruttiva dei conflitti sani. I conflitti sulle idee. Serve la convinzione che esprimere pareri discordanti e discutere e mettere in dubbio un'idea non sia un tradimento, ma la forma più alta di collaborazione.

Vale all'interno delle organizzazioni. Potrebbe valere per far incontrare (con beneficio di entrambe le parti, secondo me) il mondo del no profit tradizionale con il mondo dell'innovazione sociale. 

Lo dice in un modo fantastico Margaret Hefferman in questa conferenza (in inglese con sottotitoli in italiano in particolare dal minuto 4.55 al minuto 10.42). Chi può lo ascolti, che fa tutto un altro effetto. Io ne riporto qui solo qualche stralcio tradotto:


5:21
Qui il link per chi non visualizza il plug in
Cosa richiede quel tipo di conflitto costruttivo? Prima di tutto è necessario trovare persone che sono molto diverse da noi. Significa che dobbiamo resistere alla forza neurobiologica, che significa che preferiamo di gran lunga le persone come noi, e significa che dobbiamo andare alla ricerca di persone con una formazione diversa, di discipline diverse, con modi di pensare diversi ed esperienze diverse, e trovare il modo di entrare in contatto con loro. Richiede molta pazienza e molta energia. E più ci penso, più credo che sia veramente una forma di amore. Perché non si investe tutta quell'energia e quel tempo se non per qualcosa cui si tiene davvero. Significa anche che dobbiamo essere preparati a cambiare idea. 

5:57Come pensano le organizzazioni? Per lo più non lo fanno. E non perché non vogliano, proprio perché non possono.E non possono perché le persone all'interno hanno troppa paura dei conflitti. Significa che le organizzazioni per lo più non riescono a pensare insieme. E significa che la gente come noi, che gestisce organizzazioni fallisce nel tirarne fuori il meglio. 
7:Come sviluppiamo le capacità di cui abbiamo bisogno? Perché ci vuole talento e anche pratica.Se non vogliamo avere paura del conflitto, dobbiamo vederlo come un modo di pensare. e dobbiamo diventare bravi a gestirlo. 
Di recente, ho lavorato con un dirigente di un'azienda di apparecchiature mediche molto preoccupato dell'apparecchio su cui stava lavorando. Pensava che fosse troppo complicato e aveva paura di danneggiare i pazienti che cercava di aiutare. Ma quando si è guardato intorno nella sua organizzazione, nessuno sembrava preoccuparsene.  Dopotutto, forse sapevano qualcosa che lui non sapeva. Forse sarebbe sembrato stupido. Ma ha continuato a preoccuparsi, e si preoccupava così tanto che è arrivato al punto di pensare che l'unica cosa che poteva fare era lasciare il lavoro che amava.
9:21Alla fine Joe ha trovato un modo di esprimere le sue preoccupazioni e quello che è successo dopo è quello che capita quasi sempre in questa situazione. Si è scoperto che tutti avevano le stesse domande e gli stessi dubbi. Certo, ci sono stati molti conflitti e molti dibattiti e discussioni, ma ciò ha permesso a tutti intorno al tavolo di essere creativi, di risolvere il problema e cambiare l'apparecchio.
9:56Joe era la persona che di solito viene vista come uno spione, eccetto che era assolutamente fedele all'organizzazione e alle nobili intenzioni che quell'organizzazione seguiva. Ma aveva talmente paura dei conflitti, finché finalmente ha avuto più paura del silenzio. E quando ha osato parlare, ha scoperto molto di più dentro di sé e molto di più nel sistema di quanto potesse immaginare.  













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