18. Prendere sul serio l'aria del luogo - Borsari




Borsari - Festival della Filosofia 

Le nostre azioni collettive sono azioni sociali che hanno valore culturale.
Cosa vuol dire organizzare processi collettivi con valenza culturale.
Cosa vuol dire mobilitare in processi collettivi di pensiero. 

Ho passato gli ultimi 20 anni a dare pensiero, corpo, azione a questo festival.
Nel 2001 la formula non esisteva. 
Oggi circa 2.200.000 presenze in 16 edizioni.
Ogni anno circa 220.000 persone in 3 giorni.
Costa circa 800.000 Euro. 
Ne porta, solo di impatto, non di indotto, 3.500.000.

Sono gesti sociali. 
E’ l’idea di mettere le mani nel mezzo. 
Abbiamo prima pensato, poi effettivamente realizzato qualcosa. 
Non ho una scienza da condividere ma ho un’esperienza. 
Se si vogliono fare gesti collettivi, con le persone, non ci sono metodi precisi, non ci sono ricette. 

Ci sono apprendimenti che posso trarre dalla mia esperienza:

Lo sguardo strabico. 
Guardare più cose, assieme, contemporaneamente. 

La distanza giusta. 
Tenersi lontana. Il giusto, per non farsi travolgere. 
Ma per farsi coinvolgere. 

Il pensiero
Devi leggere tanto. Devi sapere. 
Senza conoscenze non si fanno questi gesti.
Ma devi anche cogliere, nelle panoramiche sul mondo, quelle qualità che emergono e che ai libri non sono ancora arrivate. E che forse è compito tuo farle arrivare ai libri. 
Ma leggere tanto. Pensare. Conoscere. 

I mezzi e i fini
Bisogna essere sempre capaci di scegliere i mezzi. 
Sempre (ma sempre, per piacere, sempre!) coerenti con i fini!
Non esiste l’organizzazione da una parte e quello cui voglio arrivare dall’altra. 
Non esiste nemmeno il prima e il dopo in modo fisso.
Cosa viene prima e cosa viene dopo? 
Analiticamente possiamo distinguerli ma nell’agire è una circolarità che fa ripensare ogni volta a tutto, ricorsivamente. 

Inattuale.
Percorrere l’attuale. Ma essere anche profondamente inattuale. 
Dobbiamo cominciare sempre un pochino arretrati dalla pura attualità.
E’ difficile astrarre dall’attualità cosa dotate di senso.
L’attualità sembra avere una profonda autorità ma è sempre un’autorità illusoria.
Non dobbiamo farci illudere dalle prime pagine di giornali.
Dobbiamo scegliere cose con una consistenza diversa. 

La globalizzazione. 
La globalizzazione è una piattaforma che ha messo in moto delle faglie, che ha reso più evidenti dei processi che prima erano in sfondo e oggi sono per tutti in primo piano. L'Occidente improvvisamente è comparso come una periferia. Noi non siamo più l’uno. Siamo uno dei tanti. Dietro l’occidente c’erano i grandi ideali universalistici. "Non sono universalistici. Sono tuoi. Solo che li hai resi ideologia". Ci dice la Cina. E noi non abbiamo trovato obiezioni. 

Le nazioni sono container etnici che hanno prodotto illusioni ottiche. Illusione che il tuo io sia dipendente in modo determinante dai confini e dalle caratteristiche di questa nazione. Non hanno perduto di presa, ma sappiamo già che siamo di fronte ad una grande illusione teatrale. E' una tradizione. Le tradizioni sono costrutti artificiali. Sono state tutte costruite. Non c’è nulla di naturale. Il mondo sta diventando sempre più culturale. Cioè non naturale. In virtù dei pensieri e dei gesti che assume. Non ci sono necessità naturali. Il mondo delle culture è artificiale. Culture che vivono di più o di meno. A volte vivono così a lungo da pensare che siano naturali. Ma non lo sono. Siamo in un mondo intrinsecamente molteplice e plurale. Non abbiamo più l’unicità. Persino l’universo, uni-verso, non si chiama più così. Si chiama multi-verso. A tutti i livelli dobbiamo assumere questa ottica multi-focale. E fatichiamo ancora ad assumere questo punto di partenza plurale. Mentre prima il mondo era retto dalla meccanica. C’era un centro e una periferia. C’erano delle cinghie di trasmissione. C’era chi sapeva e travasava a chi non sapeva. C’era l’enciclopedia, come somma di tutti i saperi, organizzati secondo gerarchie. E' saltato tutto. Non sono saltati i saperi. Ma non circolano più in quel modo seguendo quell'ordine organizzato in gerarchie. 

Il mondo sono ecosistemi. 
Gli ecosistemi funzionano che non c’è una proporzione tra l’energia che immetti e ciò che si provoca. Ne puoi immettere poca e produrre tantissima. E viceversa. Devi provare ad avere catene il più possibile lunghe. Ma non si legge più con la catena causa-effetto della meccanica. Quando diciamo ecosistema mi viene da prendere la grande metafora del clima. Non possiamo sapere tutto. Abbiamo delle previsioni. Ma ci vogliono tanti calcoli e tanti studi per vedere effetti che poi sono sempre  comunque difficili da maneggiare. 

Disordine dei confini. 
E' iniziato alla fine degli anni 800 con la caduta dei primi muri reali. Ma non hanno ancora smesso di cadere muri culturali. Dai crolli si  generano degli slarghi. Gli slarghi vengono comunque occupati da qualcosa. E' bene identificarli perchè potremmo usarli. Dobbiamo sentire che c’è un muro che è un po’ frantumato. La forza dell’epoca è quella che butta giù muri. Altri muri vengono costruiti. Sono quelli della conoscenza e dell’economia. Se vogliamo fare un gesto per educare forse oggi non dobbiamo farlo in un’aula universitaria, perchè lì accedono sempre pochi e sempre meno, rispetto a quelli che ci sono in giro. 

Gli individui tendono da diventare palombari.
Ci si protegge in modo fortissimo. Si respira male, chiusi dentro, in modo artificiale. Si fatica ad avere relazione con l’altro, chiuso in scafandro individuale. Ma si sente il bisogno di proteggersi. Lo spazio pubblico arretra. 
Gli scarti
Però il presente ci ha messo in mano una quantità di materiali mai vista prima. Abbiamo resti di tutte le civiltà. Abbiamo materiali di costruzione culturale potenti, enormi. In attesa che qualcuno li metta in forma e dia nuova vita. Oggi è l’epoca di chi sa rimettere in forma i pezzi abbandonati per strada, considerati senza valore. Anche culturalmente. 

Probabilmente ci vogliono generazioni prima che vediamo una società nuova, in forma stabile. Io ho avvertito il mio festival come una forma costruita e artificiale di anticipazione del futuro. Forse ci vorranno alcune scosse, un po’ meno dolci di festival culturali, ma servono anche queste installazioni. 

Prendere sul serio l’aria del luogo.
Il conteiner etnico è stato eroso, ma ci restituisce i luoghi come un insieme di relazioni. I luoghi non sono fatti di terra. Una città non è fatta di muri, ma delle relazioni con cui i suoi abitanti circolano. Altrimenti basta la città costruita. Invece è importante, per la città,  l’esperienza vissuta. Le relazioni hanno un carattere gassoso, non fisico. non sono solide come la terra. E' inutile provare a fare comunità con solo terra e radici. Quelle sono le comunità degli alberi. Che hanno solo un'anima vegetativa. Noi viviamo di relazioni che si collocano ad una certa distanza tra terra e cielo. Ogni luogo ha una sua aria, un suo clima. E’ fatto di fattori ereditati. Ma soprattutto questa aria è davanti a noi, non dietro. La ereditiamo come un compito, non come un dato. Dobbiamo individuare come costruirle le relazioni. I luoghi. Come si fa? Ci si vive. Si partecipa. Si vede dove c’è interruzione. Dove c'è uno spazio. 
Modena, ad esempio, che era la città di Lambrusco e Pavarotti. Oggi ha riformulato ed è la città della filosofia e di Vasco Rossi. C'è stata una battaglia con Mirandola. Voleva entrare anche lei nel festival, perchè loro avevano Pico. E allora? Fai il festival dell’astrologia! E’ una battuta, ma per capire…

Dopo l’aria c’è l’etere. 
Prendiamolo sul serio. Perche ci passano i media. I "mass" sono spariti ovunque, anche qui. Restano i media. Attenti, l’umano era anche lo schiavo. Nella tecnica c’è sempre la possibilità della schiavitù. Attenti ad usarli bene. Se siamo ancora in sistema ecologico, ogni cosa che immettiamo ha effetti da qualche parte... Le reti, i festival, non possiamo chiamare a raccolta per persone con le poste italiane. Non conosciamo i clienti, non sappiamo l’indirizzo, dobbiamo chiamarli in altro modo. Ma dobbiamo farlo parlando bene. Non essendo piazzisti. Tutto si può usare. I social si possono usare. Ma vanno date informazioni dense. Pochi aggettivi. La lingua è la regola della comunicazione. Questo dipende da noi, non da altri. Molto di ciò che vediamo e’ colpa della nostra stessa sottovalutazione. I mezzi sono coerenti ai fini. Non vendere fumo. Applicare il rasoio di Occam, vecchio rasoio che taglia ancora bene. Non moltiplicare gli enti senza necessità. 

Assumere, del clima, il carattere cioè l’incertezza.
La vecchia meccanica era fantastica, comodissima, certa. Qui c’è incertezza. ma è ambivalente. Contiene anche il senso della possibilità. Dobbiamo stare in questa situazione come si sta su una piattaforma inclinata, dipende dai nostri muscoli il tenerlo pari. Ci si allena, Si può fare. E’ più fragile. Ma si può fare. 
Assumere l'incertezza vuol dire videostreaming. Perchè un relatore potrebbe non arrivare. Come faccio, se non arriva? Se non arriva trasferisco una conferenza in piazza in una conferenza in diretta da un'altra città. 
Vuol dire testi tradotti prima, tutti. Fai solo il dibattito tradotto in diretta.
Immaginare prima tutto. Soprattutto le catastrofi. Se no si rimane in quella bellissima e pacifica situazione della meccanica. "Io gliel’ho detto di portare la traduzione, non l’ha portata". E’ colpa sua. Ma a me interessa che funzioni, non interessa avere a chi dare la colpa. Se tu hai previsto tutto, come diceva Macchiavelli, hai messo gli argini, anche le piene a quel punto non ti fanno paura. 
C’è una organizzazione perfetta? No, c’è una organizzazione coerente e pensata. 
Quando poi succede qualcosa, bisogna avere fiducia nel clima locale. L’abitante di Modena sa che è casa sua. In caso di necessità il modenese si attiva. 

Installazioni culturali 
Se vogliamo fare installazione culturale si entra per immersione. Chi arriva, arriva tutto intero. Anima, corpo, capelli e suole delle scarpe. Mi devo occupare di tutto loro. Non è solo cognitivo. Non posso chiamarli solo per via cognitiva. Le persone sono dotate di molto di più. Devo offrire loro non delle merci ma delle esperienze. Perchè chiamo delle persone. Qualche merce gliela offro, ma non troppo. Offro trofei di viaggio. Le magliette. Non per fare soldi. Perchè entreranno nelle narrazioni. Faranno da supporto al racconto che verrà dopo.
Offro esperienze sensoriali. la cucina filosofica. Volete dire che ci sia? Certo che c’è! C’è l’idea che la cucina è un fatto culturale. E non può essere lasciato alla pizza e ai gamberoni. C’è anche la creatività degli chef e molto altro. Quando abbiamo iniziato il festival il carrello dei bolliti non c’era da nessuna parte, c’erano solo  i gamberoni. Ma adesso c’è. E' difficile, ma è sempre questione di mezzi e fini.

Integrazioni climatiche.
Interconnessioni di pratiche disciplinari. La filosofia da sola ce la può fare? No, difficile. Sulla letteratura ci arriviamo tutti. Un libro di filosofia, anche se è molto buono, quanto vende? Ha bisogno di alleati. Noi abbiamo scelto le arti. Forse abbiamo fatto qualcosa di buono per le arti. Possibile che le arti non abbiano mai un significato? Che non possano più imitare nulla? Possibile che abbiano solo l’aura che costa e non più la bellezza? Sono domande pane per i filosofi ma anche pane per l’artista. 

Integrazione vuol dire avere idee. Non vuol dire organizzare. 
Ci sono 150 iniziative fatte da agenzie della città. Si fa con quel che c’è. Cosa c’entra l’ufficio postale? Fatti venire un’idea. C’è una associazione. Ci sono i 30 anni della Basaglia. Hanno rifatto il cavallo. Poi naturalmente durante il festival li hanno colorati tutti e alla fin hanno circolato nella città. E sono riuscita a far arrivare il cavallo vero. Sono impazziti. C’erano tutti. Non ce ne siamo più liberati di quella associazione. Noi funzioniamo come tutore. Educhiamo all’uso. Fare attività culturale è difficile. Non accettiamo mai una associazione che dice: metto il gazebo  e vengo a dire quali sono i miei fini. No! Tu devi essere in grado di produrre qualcosa. Tu devi metterti nel confronto del pubblico in un atteggiamento più rispettoso. Venire a mettere il banchetto con i tuoi fini non è rispettoso. Le associazioni non guadagnano pubblico con i loro fin,i ma con le loro opere. 

Ci sono tutti. Tutti gli attori che si trovano in un territorio
E c’è, in più, quello che normalmente non si vede. Ci sono tantissime cose. Ci sono i vigili. Noi non li vogliamo. Ma dobbiamo sapere che ci sono. E se non fai nulla vengono a dirti di mettere le transenne. Noi non le abbiamo mai messe. Perchè vogliamo un luogo integrativo. Non ci sono nemmeno le transenne che dividono le generazioni. Come i bambini che possono andare in pizzeria e non al ristorante. Ci siamo rifiutati di fare lezione nelle scuole. Perchè? Non possono venire in piazza? Non abbiamo i deportati. La deportazione fa comunque male, non attiva risorse. non è mescalinica. Hanno iniziato a venire da soli. Gli faccio il programma perchè vengano. Li tengo presente, ma li chiamo con il programma, non con il servizio d’ordine della scuola. 

Non diamo mai istruzioni per l’uso. 
50 lezioni? tutte di 45 minuti e con 30 dibattiti con pubblico. Ci sono domande buone, domani cattive. Le cattive, viste da dietro, sono quelle più saputelle. Quelle buone sono le domande vere. La domanda difficile per un filosofo è “Perchè mi piace la musica ma mi piace di più se ci sono le parole?”: Le domande vere sono quelle in cui non basta aver studiato. Bisogna aver capito. Fare connessioni. 

Imparare dai tifoni. 
Dal vento. Che fanno sommovimenti. Ribaltano le case. Noi abbiamo ribaltato una cosa cruciale. In piazza andiamo solo in piazza storiche. Le piazze sono le nostre quinte di uno spettacolo contemporaneo. Il duomo di Modena è la nostra quinta teatrale. Per piacere, nessun museo che ficchi all’indietro le realtà. Se a Bergamo volete valorizzare le mura, non potete metterci un museo del passato, dovete usare le mura, dovete usarle in modo contemporaneo. Se no sono visite per curiosità antiquaria, non uscirà mai dalla nicchia. Nemmeno il Louvre ce la fa senza eventi. L’evento è quella cosa che viene fuori, si fa vedere. crea uno strato attraverso cui ti fai veder da chi non ti vede. Pur se ti passa davanti tutti i giorni. Anche il patrimonio storico ha bisogno di eventi. Non esiste più senza evento. Gli eventi sono la moneta contemporanea. Sono l'orologio del tempo. Mentre nella meccanica c’era l’orologio, con un flusso regolare, oggi abbiamo un orologio diverso. che va per fiammate. 
In piazza le persone si parlano, annusano l’aria. Esci da una conferenza, vai a vedere una mostra, se il legame l’hai costruito lo capiscono. Le persone vogliono esperire, ma non hanno più (o non hanno ancora) la dura fatica del concetto. I festival sono feste. Feste della conoscenza, si possono fare. 

Quanto influisce l’assetto istituzionale?
Tantissimo. Queste esperienze non possono avvenire ovunqe. Ci vuole l'idea di collaborazione con istituzioni. L'istituzione deve avere pratica e storia. Ci vogliono attori del territorio. Molto deve essere già fatto. Questi sono eventi di secondo livello. Ci vogliono territori che abbiano il primo livello. Territori con un assessorato alla cultura. Con le biblioteche. L’assessore deve dire alla direttrice del museo che si accordi con il direttore del festival per fare la mostra. Questi accordi sono accordi politici. Devi fare in modo che le istituzioni si parlino e collaborino. Ci vogliono gli sponsor. Piano piano ci siamo istituzionalizzati. All’inizio era un patto tra gentiluomini. Bastava la parola. Quando i bilanci diventano importanti devi avere chi fa amministrazione, serve trasparenza, ci sono cose che devi istituzionalizzare. Nel tempo sono cambiate anche le proporzioni. Ora il contributo pubblico è al 15%. Il resto è tutto privato. Nel tempo siamo riusciti a scaricare dal pubblico il peso che oggi è tutto su fondazioni bancarie, sponsor privati e donatori. Con una regola. A parte i due assi fondamentali (le fondazioni) il resto sono tutte piccole quote. Così se qualcuno se ne va, nessuno se ne accorge. Nessuno ha un peso tale che sia in grado di mettere il festival a repentaglio. Se non le fondazioni. Se ne è andata la camera di commercio, ad esempio. Per noi era importante. Ma hanno subito l’operazione delle provincie, Lo stesso con Confindustria. Subiamo perdite, ma dobbiamo praticare le variazioni che ci sono in un contesto. 

La continuità. In mezzo agli apici, cosa c’è?
Noi non facciamo musei e biblioteche. Ma musei e biblioteche hanno acquisito il metodo di lavoro. Anche le associazioni riescono a fare cose diverse. Abbiamo portato fuori i carcerati, a fare piece teatrali attraverso le ASL. Qualcosa già c’è sul territorio. Che va avanti tutti i giorni. La valutazione di impatto del festival la calcoli sui 3 giorni. Il resto è valutazione di indotto. Non è meccanica, è sistemica. Quindi è più complesso valutare. Oggi non c’è nessuno che fa un’iniziativa a Modena senza attaccare la cucina. Il fare è più plurale, più integrativo. Si moltiplicano le notti bianche. Non è meccanica. E’ clima. Non sai esattamente da dove arriva l’effetto, di cosa è effetto. E’ certo che la questione della durata è fondamentale. Bisogna che qualcosa ci sia, perchè si dia possibilità di operare diversa e permanente. Ma gli eventi sono eventi. Non puoi chiedere all'evento di durare. Anche le mostre, cosa sono? Anche le mostre sono eventi. Ma nessuno ha mai chiesto alla mostra di durare per sempre. Però oggi non c’è mostra senza laboratorio per bambini. Non ce la puoi far da solo. Ma se sai ben lavorare i tuoi giochi saranno attaccati al resto che il territorio fa. E' operare di generosità. Devi seminare, seminare, seminare. Chi raccoglie non è chi ha seminato. Fai la cucina filosofica, chi raccoglie? I ristoranti. Le tracce sono l’abitudine ad uscire di casa. Ad accorgersi della qualità. Questa è l’educazione. Far accorgere gli amministratori di come è diverso lavorare in un modo o in un altro. 

Tradizione/innovazione
Nell’innovazione noi ci stiamo dentro. Per cumulare tradizione, in cui il figlio fa ciò che fa il padre, sono messe all’opera forze gigantesche, freni clamorosi. Noi i freni li stiamo progressivamente togliendo. Il nodo non è innovare. Il nodo è cosa imitiamo. Il lambrusco in lattina? La tradizione è quella che scegli di nuovo. Il lambrusco si è costruito come vino negli ultimi 20 anni. In romagna il lambrusco lo si considerava una bibita. Si diceva che aveva 1 grado più dell’acqua. Oggi è una scelta. Ma non scegli mai le tradizioni lasciandole così come erano. Le devi modificare per portarle con te. Non porti con te la fotografia di come eravamo. Abbiamo reinventato i bicchieri del lambrusco. Quando arriveremo che la Ferrari quando vince stappa il lambrusco, bollicine rosse, allora potremo dire che il salto culturale è stato fatto. Ma la Ferrari accetterà il lambrusco solo quando diventerà il lambrusco diventerà un simbolo globale. Come avviene questo percorso? Va pensato. Ma chi lo deve pensare? Gli agricoltori? Chi lo fa il design della città? Lo fa chi ha un'idea. E trova altri. Devi respirare il luogo, devi capire dove mettere quel simbolo in mezzo al resto. Devi stare attento a tutto. Sei totale, è un'immersione. Sei tu che dai i codici perchè un prodotto (o un oggetto) faccia il salto culturale. Il Festival ha scelto di lavorare sulla cucina. Il primo anno erano 14 i ristoranti, l'anno scorso erano 82. Ma tutti devono accettare quel menù. E quel menù deve essere fatto bene. Perchè la gente prenota da un anno all'altro. E chi non è bravo non ha prenotazioni. Noi portiamo la gente a Modena. Non assicuriamo che siano divisi in tutti i locali. Se non sei bravo la gente non prenota. Anche i cestini da asporto, per sono con il parmigiano a 30 mesi. L'idea è che stai accogliendo gli ospiti. E agli ospiti dai il meglio, non il peggio. Tutti i consorzi di prodotto sono coinvolti. Organizzare un evento territoriale ha a che fare con questo. E’ il territorio intero che devi portarti dietro e devi pensarci  ripensarci alle scelte. Perchè dal pratico si legge il senso. Se gli piazzo un formaggio scadente solo perchè tanto è un cestino da viaggio non sto trattando da ospiti. 

Le istituzioni non sono gelose?
Non ti devi schiacciare né sul programma, né sugli alleati, né sui partner. Se no quando cambia l’amministrazione vieni mandato via. Noi nasciamo da una domanda del pubblico. Dalla domanda di un assessore alla cultura della provincia che era stato a Mantova, Io dirigevo la Fondazione San Carlo dove facevo attività culturale. Lui mi dice: ma se noi facessimo qualcosa sulla filosofia? Ci ho messo 2 anni a pensarla e strutturarla. La politica non era contraria. Voleva qualcosa in cui riconoscersi. Il fatto che fosse Modena, Carpi, Sassuolo l’hanno messo insieme loro. io quello me lo sono trovato. Poi ci sono le vicende di vita. I territori sono fatti di vicende di vita. Io i filosofi li conoscevo tutti, per il lavoro in fondazione, un assessore di uno dei comuni era stato mio allievo, in un altro comune ho trovato un funzionario che era stato un mio compagno di classe. Non è strano, il territorio è fatto di legami così. L'unica richiesta che ho fatto è stata: fuori l’università, perchè è familista. Se avessimo avuto partner l'università avremmo avuto solo docenti di Modena. Invece io volevo i migliori del mondo. Poi naturalmente ho chiesto estrema libertà di movimento sul piano scientifico. Ma poi, con tutti gli istituti, ti devi mettere a disposizione. C’è un terreno tecnico, dove devono sedere le figure emanazione dei comuni. Poi hai un'assemblea politica che fa le grandi scelte. Chi attraversa tutti i livelli? il Direttore. Si deve disegnare una istituzione. In modo che le relazioni siano stabilite. Che ci sia una trasparenza nelle istituzioni. Che  ci sia quella trasparenza economica che dice quanto ci metti. Ci vuole la gestione del tempo. Lo puoi sapere a giugno quanto ci mettiamo? No, io devo saperlo 1 anno prima. Anzi, adesso abbiamo una programmazione triennale. Anche le istituzioni piano piano si abituano. Un po' devi istituzionalizzare, che poi vuol dire. stabilire con certezza. Non sono state esautorate le amministrazioni. Anzi, anche le amministrazioni hanno imparato a pretendere. Hanno imparato che gli anticipi di budget devono essere lunghi. Io devo dire che sono andata d’accordo con tutti. C’è stato un episodio in cui la politica ha provato a dire che facevano direttamente loro. Ma è andata male. E quindi poi... perchè i cittadini se funzionano amano questi eventi. Diventa un orgoglio civico. Ma non devi essere geloso. Devi essere generosissimo. Devi far sentire che è un patrimonio civico. Se è patrimonio civico non può essere solo mio. Io chiunque mi chieda come si fa io glielo dico. Opero, lavoro, connetto, faccio ponti, passerelle, chiudo fili. Allora le amministrazioni ti sopportano! 

Comunicare il sociale
Il medio evo aveva tutti gli scarti romani. Ci hanno fatto basiliche meravigliose. Noi siamo in situazione analoghe. Noi lavoreremo solo quando riusciremo a mettere assieme tanti resti, nessuno integrale. Dobbiamo dare noi l’integralità. E’ la resilienza la categoria dell’oggi. Ma non è la superficialità.  Bisogna studiare. provare a ragionarci. Non è casuale. Bisogna lottare moltissimo. Io le piazze le ho volute da subito ma le ho avute solo dopo 3 anni. Le tende le ho avute solo dopo il 2006, dopo  che è piovuto 2 giorni e 2 notti. Bisogna avere un'idea. Avrei un buon progetto. Darsi tempo. Conoscere molto bene l’aria del luogo. L'aria non è una astrazione. E l'evento deve essere qualcosa che ha a che fare con il tuo luogo. Mi hanno cercato. Ho fatto cose anche altrove. Ma ho sempre rifiutato di farlo a Roma. A Roma succedono troppe cose... 

Quanto il festival è legato al suo direttore e viceversa?
Se vuoi un erede te lo prepari. Io ho preparato il passaggio, mi sono messa ad una certa distanza, come con i bambini. Se vuoi che i figli camminino devi stare a distanza. Bisogna prepararsi. Il passaggio non è naturale. 



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