Il nostro paese non ha una "Affermative action"...

Sant'Egidio 

Userò il termine immigrati, stranieri. Ma è improprio. Nel calderone degli immigrati ci sono persone che hanno permesso di lunga residenza. Ci sono immigrati che non possono ottenere cittadinanza ma sarebbero italiani, se fosse applicata ius soli? Si dovrebbe parlare di nuovi italiani.

Il tema “Casa e immigrati” ha bisogno di essere collocato nello scenario di oggi.
Scenario ben definito da Rosanvallon. Che parlando di quello che succede ha detto: qui non è più il problema del potere di acquisto, è il problema del potere di vivere. Non è un problema reddituale. Ma di diritti sociali non negati, ma non più esigibili. Questo crea un disagio enorme.

Quali sono i luoghi del disagio. I luoghi in cui il disagio diventa visibile.
Sono i pronto soccorso degli ospedali. Dove aspetti una notte, anche se sei grave.
Sono gli autobus, dove impieghi 2 ore e mezza per fare tragitti che sarebbero da 40 minuti.

I luoghi del disagio diventano luoghi del conflitto. Perchè diventano luoghi in cui la ricerca di un capro espiatorio è facile. Sei arrabbiato. Te la devi prendere con qualcuno. Finisci per prendertela con gli immigrati.

Non chiediamo una rivoluzione bolscevica...


Raucci – Unione Inquilini 

La povertà non è una colpa.
Abbiamo 40.000 – 50.000 nuclei con disagio abitativo.
Se non guardiamo l'insieme e non proviamo a proporre soluzioni reali il disagio continuerà a rigenerarsi di continuo. E non potrà che aumentare.

Diasgio abitativo a roma più o meno per 50.000 – 55.000 famiglie.
9.000 sfratti emessi. Dati min. Interno.

Gli sfratti sono un problema. Ma gli sfratti sono solo la punta dell'iceberg. Di un problema più ampio.

Per quanto incompleti abbiamo dati sulle persone in attesa di alloggio, in graduatoria.
Abbiamo i dati delle persone che vivono in alloggi impropri (non censiti ma realistici).
Dall'altro lato abbiamo i dati delle persone che vivono con contributo di assistenza municipale.
Erano 1300-1500 due anni fa. Circa 200 probabilmente con un colpo di fortuna hanno saputo usare bene il buono casa. Mentre il doppio o il triplo probabilmente nel frattempo sono state cacciate da casa solo per problemi burocratici (non per mancanza di pagamenti ma per mancanza di documenti, di firme, di fogli...).
Che tipo di contributo ricevono questo persone?
Le persone vivono tra le entrate del reddito e le uscite fisse dell'affitto. O intervieni sull'affito o intervieni sul reddito. Se non fai nessuna delle due cose e intervieni solo una tantum con un contributo rischi di peggiorare la situazione perchè di fatto vai solo ad alimentare la richiesta di chi pretende che gli affitti si mantengano alti.

Come si programma senza dati?


Enrico Puccini – Osservatorio Casa Roma 

Allo stato attuale i dati su Roma dicono che è una emergenza strutturale.

Come si diceva prima. Se ogni anno abbiamo circa 1500 nuovi nuclei che finiscono per strada. Se attualmente la soluzione sono le 500 case che assegna il comune. Anche facendo l'ipotesi di costruzione di 10.00 nuovi alloggi (trovando i finanziamenti ,realizzando i lavori …). Anche facendo tutto questo tra 10annici troveremmo con gli stessi dati di oggi. Perchè c'è comunque, in ogni calcolo possibile, un disavanzo di almeno 1.000 alloggi all'anno.

Allora va pensato qualcosa. Altrimenti si spendono tantissime energie per trovarci, inefficaci, alla situazione iniziale.

Noi abbiamo bisogno di trovare strumenti a breve per bloccare l'emorragia attuale. E avviare strumenti a medio termine per lavorare per smaltire il pregresso.

Per bloccare l'emorragia potremmo usare tutti gli strumenti di legge (morosità incolpevole, contributo all'affitto...). Per lavorare sul pregresso lo strumento principale è il patrimonio pubblico.
Il patrimonio pubblico è molto ricco, da 100 anni di costruzione. L'ultima stagione è finita ai primi anni 90.

O troviamo una soluzione o ci sarà una nuova ondata di occupazioni abitative, nonostante Salvini, nonostante l'art. 5, nonostante tutto... perché la gente non scompare...


Fabrizio Nizi – Action 

Action nasce nel 2000 provando a raccogliere la frase di Rodari, a raccogliere le lacrime che pesano. Non siamo un sindacato, non abbiamo una dimensione nazionale. Ma, per colpa di un disagio abitativo immane di questa città, abbiamo organizzato negli anni poco più di 1.000 famiglie.

Le storie di queste famiglie sono storie complicate da vivere, da raccontare, da dirimere e da sottoporre alla politica. La politica non ha mai ascoltato. 

Ci sono molte castronerie raccontate sulle occupazioni: 

Molti identificano tutte le realtà di occupazione con le occupazioni di case popolari. A Roma si è costruita una esperienza radicata e ampia, in periferia soprattuto, che organizza migliaia di persone e che a queste persone dà case provvisorie, temporanee. Noi non abbiamo mai occupato case popolari. Se c'è stata qualche occupazione di case popolari questa è stata prima dell'esperienza dei borghetti. Chi occupa, da anni, le case popolari, è la microcriminalità, il malaffare, con la complicità, spesso, della pubblica amministrazione.

Compito della politica non è contare le lacrime

Roberto Cellini – Alleanza della povertà Lazio 

Chi sono i nuovi poveri? Persone anziane, donne sole, padri separati, persone con problemi di salute, migranti... Di fronte a situazione di disagio differenti, difficile dare una risposta univoca. La condizione di marginalità chiama in causa bisogni molteplici che investono l'intera sfera della persona. 

La povertà non è stata sconfitta.
La mappa del disagio si è estesa, dalle periferie si è arrivati al centro.
Accanto alla povertà visibile stanno emergendo nuovi poveri.
I nuovi poveri sono quelli che sono in affitto, con un lavoro senza diritti.

Il rei prova ad intervenire (anche se è sottofinanziato) con un intervento mirato economico e con l'intervento dei servizi sociali in modo coordinato e multi-fattuale.

Di fronte a questo che strategia è in atto oggi:

Prima si individua una minoranza,
poi la si trasforma in devianza.
Poi si allude a queste persone come detentrici di un privilegio.
E poi si interviene con la forza per ripristinare la legalità.
Cosa risolve del problema? Niente.
(La giunta capitolina ha preso posizione contro il decreto sicurezza. Questo è apprezzabile).

Non siamo riusciti a capire fino in fondo il ruolo fondamentale della casa nella creazione della povertà

Guarnieri – Sunia 

Desmond “Sfrattati, miserie e profitti nelle città americane”.

“Sempre meno famiglie possono permettersi un tetto sulla testa. Questo è uno dei temi più urgenti e pressanti che l'America ha di fronte oggi. E riconoscere l'ampiezza e la profondità di questo problema cambia il nostro modo di guardare alla povertà.
Per decenni ci siamo concentrati soprattutto sulla disoccupazione, sull'assistenza pubblica, la cura di bambini e l'incarcerazione di massa. Nessuno può negare l'importanza di questi temi, tuttavia manca un elemento fondamentale. Non siamo riusciti a capire fino in fondo il ruolo fondamentale della casa nella creazione della povertà. 
Non tutti quelli che vivono in un quartiere difficile hanno rapporti con esponenti della criminalità, agenti di polizia, datori di lavoro, assistenti sociali o pastori... Ma quasi tutti hanno un padrone di casa”.

Desmond è un sociologo, giornalista. Con questo libro nel 2018 ha vinto un Pulitzer.
Sfumando ciò che è tipico della cultura americana, questo comunque descrive Roma oggi.
Senza un tetto sulla testa è negata ogni parvenza di dignità.
Senza tetto sulla testa non c'è accoglienza, integrazione...

Noi ci siamo ritrovati dietro a questo manifesto. Ci siamo parlati in maniera chiara e ci siamo detti che volevamo mettere a fattor comune le nostre esperienze. E che volevamo, assieme, fare un appello alle istituzioni. A smetterla con l'autoreferenzialità.

Che ognuno responsabilmente reagisca, dica, dia qualocosa



Mons. Lo Judice 

Siamo qui per metterci in ascolto attento dei problemi dell'abitare della nostra città.
Una città molto amata, che soffre di tanti mali.

Che ognuno, responsabilmente, reagisca, dica, dia qualcosa.

Da quando è stata fondata, circa 2000 anni fa', la Chiesa non può restare a guardare inerme di fronte alle ingiustizie. La Chiesa non può che mobilitarsi, di fronte alla povertà e all'ingiustizia.

Le risposte, però, non possono arrivare dal mettere avanti la propria personale e legittima esigenza.
Farlo è comprensibile. Ma non è sufficiente per muovere e mettere in moto un percorso e un processo. Quello che conta è una convergenza tra diverse e molteplici legittime esigenze.
Poi... la bellezza della differenza e della dialettica.
La dialettica, anche accesa, è qualcosa in grado di costruire situazioni nuove ed inedite.

Dobbiamo essere in grado di mettere a fuoco e a frutto la nostra fantasia.
Dobbiamo essere in grado di inventare qualcosa di nuovo e di diverso. Insieme.
Soprattutto su questo tema dell'abitare.

Teatro a piedi


Portare lo spettacolo in strada, per favorire l'incontro e riconquista di spazi urbani, per avvicinare i cittadini ai processi artistici.
Testi classici riletti, con allestimenti contemporanei, nella stazione della metro, in piazza, al mercato. 
Ieri e l'altro ieri era Il mercante di Venezia di Shakespeare. Messa in scena dalla compagnia del teatro dell'orologio. Al mercato rionale di Centocelle. 
Un teatro in piedi, un teatro #apiedi, che ti costringe a muoverti per gli spazi, in gruppo con altri, seguendo luci e suoni, per capire dove sta succedendo, ciò che sta succedendo. 


Passeggiando nella periferia romana: A Villa Gordiani


E' incredibile (anzi no) come la stessa cosa, da punti di vista diversi, appaia del tutto diversa.
E come le cose mutino nel tempo. E come i luoghi, volenti o nolenti, cambino assieme alle persone e ai loro spostamenti.

Oggi "Passeggiando nella periferia romana" è presentato alla Libreria "TodoModo" in Largo Agosta.

Geograficamente si potrebbe dire che si è praticamente nel territorio che fu la borgata Gordiani. Ma oggi ciò che resta di quella storia, in realtà, va cercato alcune vie più in là. Verso via Venezia Giulia.
Dove gli abitanti della borgata sono stati trasferiti.

Qui, oggi, tutta gente venuta ad abitare da fuori. Gente che quella storia non l'ha ereditata.
Al massimo, a volte, l'ha cercata ed approfondita, per curiosità o per ricostruire un'identità.





Antropologia urbana: Amalia Signorelli


Italia:
. privilegiato condizione urbana rispetto a rurale
- antica rete di città 
Poche ricerche antropologiche su città italiane.
Studi maggiormente ruralcentrici.

Pregiudizio operaista: 
coincidenza della cultura operaia urbana con la cultura rivoluazionaria.
Gli altri ceti di popolazione urbana sotto egemonia di classe operaria avrebbero anch’essi acquisito coscienza di classe o sarebbero stati confinati a residuali. 

Pregiudizio antiurbano:
cultura neoarcadica che indicidua società rurale e contadiana con il recupero delle radici.
-città luogo dello sradicamento, della perdita di cultura originaria, di alineazione e omologazione.
(Anche Pasolini).

La città, vista con le lenti messe a fuoco per la cultura contadina, è una realtà invisibile e incomprensibile. 

Antropologia urbana:occuparsi di concezione del mondo e della vita, di sistemi cognitivi valutativi, elaborati da e per i contesti urbani. 

Modelli di città italiane:
(Tranne Latina) tutte con storia plurisecolare e plurimillenaria. 
Quasi tutte ne conservano i segni in impianto urbanistico e monumenti. 
Quanto indietro nel tempo si è radicata in italia la distinzione città/campagna e la superiorità della prima sulla seconda? 
Da questo dipende il ruolo di centro che le città hanno rispetto ai territori. 

Modello di città italiane a fine XX secolo:
Città antiche abitate da inurbati recenti e investite da processo di massificazione? 

Il non conosciuto deve possedere in se stesso qualche forma che può venire esplorata e un po’ alla volta appresa. 
Il caos completo senza traccia alcuna di connessione non è mai piacevole.

Una esplorazione antropologica: Amalia Signorelli a Pietralata



Pietralata: la lotta per la casa
Nata come borgata, anni 30. Sud est Roma. Vicino a Tiburtina. 
Popolazione della borgata era 20.000 abitanti. 
Forte identità locale.

La rivendicazione del controllo su un territorio viene legittimata producendo quel territorio in patria. Talvolta appellandosi a continuità insediativa accertata. Tal’altra anche senza. 

Localismo. Fondamentalismo. 
L’appartenenza al gruppo è sempre frutto di radici. 
Localismo di borgata. 

Anche quando partecipava a manifestazioni per il diritto alla casa a Roma, 
partecipava in quanto Pietralata.
Da dove nasceva questo senso così forte di identità locale? 

Anni 30, Mussolini, 
obiettivo urbanistico: rinnovamento urbano della città, ristabilire “sui colli fatali” l’antica capitale imperiale
obiettivo ideologico: consolidare idea di regime realizzatore provvidenziale di ordine, pace e prosperità all’interno, di conquistatore all’estero. 

Strategie di Mussolini:
Stabilire analogie sistematiche tra ere fasciste e epoca imperiale romana di Augusto. 
Repertorio di romanità recuperato e riproposto (imposto)fu molto vasto. 
Riportare alla luce alcuni monumenti di epoca classica. (a prezzo della demolizione di buona parte della Roma medievale). 
Creazione di ampie vie centrali (a prezzo di demolizione delle vecchie abitazioni che costituivano il centro storico romano e della espulsione di coloro che vi abitavano. Del proletariato romano). 

Chi è stato espulso? 
Roma non aveva proletariato industriale. 
Il proletariato era composto da manovali, muratori, operai dei trasporti e servizi. 
Piccoli lavoratori indipendenti, artigiani e commercianti. 
Privo della tradizione socialista, il proletariato romano costituiva comunque una realtà potenzialmente e spesso esplicitamente ostile al regime. 
Quindi: 
espulsione del proletariato non fu effetto collaterale ma obiettivo ulteriore: neutralizzare, mettendolo da parte, un gruppo ostile e potenzialmente pericoloso. 


Parco delle Energie


Il parco delle Energie è tante cose.
E' la storia di una lotta, che non è ancora finita.
E' la storia del lavoro e delle sue trasformazioni.
E' la natura, che si ribella, a modo suo.

E' un monumento naturale.
Con tutto ciò che questa definizione può stare a significare.

Per approfondire ci sono più siti (e più soggetti) per ora condivido questo: https://lagoexsnia.wordpress.com/contatti/

C'era una volta un parco, anzi, non c'è ancora...



Visivamente, da più di un punto, il parco non c'è. Non è visibile. 
Non è facile mobilitare per qualcosa che non si vede. Che non è parte del quotidiano.
Che è, solo, ad oggi, un progetto. 
E che lo è da infinito tempo. 

Eppure, il parco, sarebbe il punto comune tra più quartieri (Quadraro, Torpignattara, Centocelle).
Il punto comune tra tre municipi. 
E potrebbe dare identità all'area. 
Nonché risolvere un problema di carenza di aree verdi nell'area.
(Lo standar minimo di verde è 9mq ad abitante. Al momento qui è variabile nelle diverse zone da 3mq a 10 mq). 
Ci dicono che non è chiara la proprietà. 
Che probabilmente, in parte, è proprietà privata. 
Come se questo fosse sufficiente a spiegare l'immobilismo e il non intervento. 
Non vuol dire niente, ci sono già esempi, in questo senso. 
Il parco degli acquedotti è in buona parte privato, ma il suo uso è pubblico. 
Appunti (incompleti) di storia del parco:  

1990: Prima parte della consegna del terreno dell'ex aeroporto di Centocelle dal Ministero
          della Difesa al Comune di Roma. 

1992: Il soprintendente archeologico di Roma ha apposto a questi tutto l'ex aeroporto 
          militare un vincolo, per via delle testimonianze storiche e letterarie che attestavano
           l'importanza archeologica del sito. 

1994: Al Comune di Roma nasce l'idea di realizzare un parco archeologico. 

1995: Area as duas lauros (archeologica) è stata sottoposta a vincolo 

1996: concorso internazionale di idee per la realizzazione del parco 
          
         arriva primo il progetto inglese "Centocelle forest", 
         vince ma non rispetta tutti i parametri, 
         si costruisce una mediazione tra questo progetto e il secondo arrivato, 
         proposto dall'Università La Sapienza.

Uscire, guardare fuori...


Dopo gli ultimi tre giorni mi ri-confermo.
La risposta, a tante e diverse domande, è:
uscire, guardare fuori. 

E camminare, mettersi in movimento.

Iniziare. Anche senza essere davvero pronti. 
Con chi ha voglia e gli va. 
Primo incontro con i "vecchi" del secondo anno.

E poi l'incontro con l'utopia.
Prendere 6.000 persone.
Portarle in un blocco di cemento.
Costruire una città raccolta in un unico edificio. 
Pensare che lo stare assieme ammassati possa automaticamente portare a far nascere comunità, solidarietà, coscienza di classe, persino.
Le cantonate che prende, a volte, l'utopia.
#corviale 

#animazionedicomunità #esplorazionedelleperiferie

Vabbè, poi magari invece non piove...



Mamma: ragazzi, alla fine è vero, domani scuole chiuse...
Giò: evvai!
Pietro: così possiamo andare tutto il giorno al parco a giocare a pallone!
Mamma: ma ti pare?! Sono chiuse per allerta meteo!
Pietro: vabbè, magari poi invece non piove... 

Crescere a Roma... 

(Foto di Maritè Toledo

Casa, terra, lavoro, perifericità: le categorie per leggere i territori in cui viviamo...


Ascoltando il lavoro dei gruppi e pensando anche alle caratteristiche dei tempi presenti, mi pare che, parlando di territori, l’esperienza che stiamo vivendo sia spesso quella di ritrovarsi, più o meno improvvisamente, come dire… senza la terra sotto i piedi. 

Vivere la precarietà 
Come se noi fossimo abituati a muoverci, per andare nei vari posti, normalmente, camminando. Su un piano solido. Passo dopo passo. E ci ritrovassimo oggi ad arrampicare su una parete verticale. Senza corde di sicurezza. Senza essere allenati a farlo. E non propriamente in forma fisica. Il semplice movimento dell’andare è faticoso. E non è più automatico. Quando è automatico mentre vai ascolti la musica, pensi ad altro, parli con le persone, mandi i messaggi, guardi la strada... Quando non è più automatico il semplice movimento dell’andare diventa un’impresa. Dobbiamo trovare la forza di cercare un appiglio, di vederlo, di afferrarlo, di restare in equilibrio. Dobbiamo fare un passo alla volta, senza riuscire a vedere l’intero tragitto, ma confidando che questo esista e che la fatica non sia vana. Dobbiamo ridefinire continuamente la rotta, perché per andare dietro agli appigli, non possiamo seguire linee rette. Dobbiamo gestire la paura e l’ansia di… e se cado? 
Fare tutto questo è faticoso. E difficile. E quindi non possiamo stupirci poi del perché la gente è stressata e nervosa. 

Vivere la corresponsabilità.
La complessità della realtà, oggi, fa si che non esistano quasi più forme di governo lineari e verticali. Ogni azione, anche la più semplice, per compiersi ha bisogno di un convenire di più forme di responsabilità e partecipazione. Ciò che facciamo noi ha bisogno, anche più di quanto non fosse in precedenza, di quanto fanno (o non fanno gli altri). Se incrociamo questo dato  con il senso del rischio e di precarietà di cui sopra. E se aggiungiamo che non siamo per nulla allenati ad un governo policentrico e ad una cooperazione tra più soggetti… Capiamo perché finiamo tutti per giocare a sfilarci. A fare un passo di lato. Per il timore di restare noi, da soli, a fallire, ci sfiliamo prima che si sfilino gli altri. E invochiamo il sovranismo, la semplificazione della realtà, l’idea di un mondo per cui io posso, finalmente, fare da solo, senza bisogno di nessuno! Ognuno può costruire il sogno che vuole, per carità, ma questa resta una semplificazione. La realtà, in realtà, resta complessa. E continua ad avere bisogno di un convenire di più autorità. E di modelli di collaborazione un po’ più raffinati.  Non avendoli, per oggi finiamo per farci bastare il salvare la nostra immagine dal senso di colpa. Esercitandoci nello spiegare (in primo luogo a noi stessi) che la nostra incapacità (che noi stessi percepiamo) dipende necessariamente ed esclusivamente dalla mancata responsabilità dell’altro.  E così via reciprocamente.

Io credo che, dentro i territori, la gente nonostante tutti i casini, stia già inventando canzoni per sopravvivere. Mi prende una enorme voglia di scendere a intuire con pancia, cuore e testa che canzoni stanno inventando.


Non ho le conclusioni. Non le avete nemmeno voi, spero. Rimango con un paio di convinzioni. Credere nei circoli e nella loro attualità. Sono convinto che c’è un estremo bisogno di circoli, con quel che la parola circolo dice. C’è un cerchio che si chiude. C’è gente dentro, che pensa insieme, fa insieme e poi va a bere la barbera. Circolo come idea di luoghi di incontro, di gente che è un po’ curiosa gli uni degli altri, posti in cui c’è molta gente che entra e esce, senza che nessuno chiede se ha la tessera in tasca. 

Io credo molto in luoghi in cui la gente viene da voi, voi aiutate a fare, gente che vuole vivere di cose insieme. Non chiedete etichetta. Non chiedete tesserino. Proponete partecipazione. Quelli che vengono sono cittadini come voi, che trovano in voi un circolo di partecipazione. Un luogo in cui possono portare, senza troppo rischio, qualcosa di loro. Da mettere assieme a qualcosa di vostro. Un luogo dove si portano idee.

Io non dico che dovete salvare il mondo, ma voi dovete stare sulla porta del circolo. Per tenerlo aperto. Alcuni ameranno chiudersi dentro, anche troppo. E a volte bisognerà aiutarli ad andarsene. Perché, magari dopo troppo tempo, il circolo lo considereranno troppo loro, si sentiranno proprietari. Ma soprattutto dovete stare sulla porta perché qualcuno entri. Stare sulla porta vuol dire che il circolo è contemporaneamente aperto e chiuso. C’è un circolo in cui c’è un nucleo che si ritiene Acli, che magari si tessera, che si sente l’anima del circolo. E c’è altra gente, che viene portando qualcosa, che cerca qualcosa che serva a loro per vivere. E voi dovete essere ospitali. Ci vuole ospitalità per fare un circolo. Generosità. Capacità di essere aperti e di guardare fuori. 

Non serve a niente un circolo troppo chiuso, che non ha più nessun significato per chi sta su quel territorio. Ma non serve a niente nemmeno un circolo troppo aperto. Dove non c’è più pensiero e che è attraversato da tutti e da nessuno. Il nucleo e gli altri stanno assieme. Sapendo che molti non cerano l’appartenenza alle Acli. Non la cercano. Non la vogliono. Non la capirebbero. Sarebbe per loro un peso. Ma non vuol dire che non si sentano dentro, nelle Acli. Non nelle Acli associazione. Ma nelle Acli movimento. Voi siete contemporaneamente associazione e movimento. Ci sono persone che aderiscono all’associazione in quanto tale anche in modo formale. Per scelta o per necessità. Ci sono persone che si sentono (o che si possono sentire) in un movimento valoriale di idee e di prospettiva. Coltivate entrambi gli aspetti. Quelli di associazione e quelli di movimento. Non lasciate che la prima dimensione soffochi la seconda. 

Siate ospitali. Qualcuno sempre lì, a tenere la porta aperta. E qualcuno in giro, a guardare e annusare il territorio. A partecipare alle cose che fanno gli altri. E poi a riportare a casa idee, suggerimenti. E contatti. E persone. 

Non c’è un modellino di circolo. Non esiste. E se qualcuno vi propone il modello di circolo già confezionato ditegli che è fuori dai tempi. Ogni circolo nasce dentro un territorio. Con la gente che incontra. Con quei giovani che entrano o non entrano. Con quegli anziani che fanno posto e non fanno posto. Un circolo è, per natura sua, territoriale, di quel territorio. Il circolo deve avere  un sapore di quel territorio e deve esprimere un sapere di quel territorio. Solo questo permette al circolo di inventarsi e reinventarsi. 

Ci possono essere circoli che diventano la casa di micro movimenti territoriali. La casa, il luogo dove si ritrovano. Perché lì tanti ritrovano un humus. Perché sanno che lì si può parlare e discutere. E partecipare. O anche solo avere spazio. Questo fa si che voi valorizziate molto l’alta intensità relazionale interna. Ma moltissimo l’alta intensità relazionale con l’esterno. Ci vuole un clima di coraggio, di entusiasmo, ci vuole anche un po’ di energia. Ma il centro di tutto sono i legami così detti deboli con il territorio. Sono i legami in cui la gente non è per forza aclista, in cui la gente fa altre cose, per alcuni mesi lavora con voi, poi magari va a fare altro. Questo continuo creare legami deboli è utile. Deboli perchè non ti costringono a scelte troppo acliste.  Questo è in realtà il modo che i gruppi cercano, a livello giovanile e non solo. Fare pezzi di strada insieme a voi. Chi tiene dei legami non troppo rigidi, deboli, aperti, permette alla gente di imparare molto. Permette di sperimentare. Permette di imparare. Lascia liberi di andare. A volte tra marito e moglie non si riesce più ad imparare nulla perché il legame è molto stretto. Ci si è già detti tutto, su un tema. A volte conversando in ufficio con una persona con cui c’è poco in comune viene fuori l’importante. Perché il legame debole permette di prendere distanza. E di vedere da un’altra prospettiva. La cura dei legami deboli è la cura della gente che non si lega alle Acli.  Questa cura è in realtà un legame altamente generativo per le Acli. Diventate maggiormente anima del territorio. Proprio perché non volete impossessarvi del territorio. Collaborate su alcune cose.

E poi continuate a fare scambio tra voi. Essendo voi con esperienze di circoli molto diversficati,  diventa formidabile raccontarvi tra voi che ragioni ci sono dietro il modo di pensare ed agire. Il modo con cui pensate e fate il circolo. Il futuro dei circoli nasce dal rendervi ragione tra di voi, in gruppi. Dal  rimasticare cosa è il vostro circolo. Dirlo. Provare a dare un nome. Provare a darvi le ragioni di cosa state facendo. Anche gli altri circoli hanno estremamente bisogno di voi.

Tornate curiosi tra voi. Per imparare gli uni dagli altri cosa vuol dire oggi fare un circolo. È una vera impresa. Quello a cui sprono non è trovare momenti formali. Parlatevi, imparentatevi, sposatevi, gemellatevi tra circoli, vicini e lontani. Create scambi con la barbera e il resto. Provate  a dirvi cosa state facendo. Ritrovart questo apprendimento reciproco, scavando dentro l’esperienza che state facendo. Le esperienze che state facendo sono molto più preziose di quello che volete dirvi. Questa moltiplicazione dei saperi esperienziali diventa un momento di alto livello, anche se non ve ne accorgete. 

Ultimo concetto. Perifericità. A me piace molto che nelle Acli si parli di periferia. Non tanto di poveri. Quanto il fatto che dentro la società che stiamo vivendo vi mettete da una certa angolatura, che è quella dei diritti dei giovani, degli anziani, del provare a convivere. E guardate dalla periferia questi problemi. Con lo sguardo un po’ critico. Forse dovete arrabbiarvi un po’ anche voi. Perché la gente possa alleggerire la sua rabbia. Arrabbiarvi per come vanno certe cose. Arrabbiarvi anche voi, perché la gente possa vedere in voi la sua rabbia. Altrimenti la gente non ce la fa. 

Guardare dalla perifericità vuol dire anche ritrovare la vostra dimensione politica dentro i territori. Cioè, non basta girare, non basta guardare. Bisogna capire come mobilitare le risorse dei territori affinchè certi diritti vengano soddisfatti per giustizia e non per carità. 

Questo tentativo di restituire a voi come Acli il vostro patentino politico è possibile solo se guardate le cose stando vicino a chi non ce la sta facendo. E lo sguardo non è neutro. Prestate gli occhi e il cuore a chi non ce la sta facendo. Siate al loro fianco. Dovete arrabbiarvi, dovete soffrire. Questa sofferenza forse è il modo di reinventare le Acli oggi. Invece di essere solo semplice gestori di servizi. Siete persone che vivono il loro essere periferico nel mondo, sentire il malessere profondo della gente, ma non lasciarlo degradare fino a ritenere che nulla sia più possibile. Vivere il malessere e la sofferenza e la rabbia affinchè da questo nascano nuove soggettività, nuove possibilità per gli altri. Forse per rinascere bisogna stare di più nelle periferie, per comprendere dove va il futuro e come costruirlo. Forse dobbiamo avere una parte di poveri, di migranti che non consideriamo gente da aiutare, gente da ospitare, ma gente con cui da cui apprendere, gente con cui condividere la battaglia. Forse dobbiamo pensare che, essendo noi alla ricerca di altri modi di vivere, gli altri hanno molte cose da dirci, su come si può vivere altrimenti. 

Fare un circolo aperto a tutti non vuol dire fare circoli neutrali. Non fare circoli neutrali. Non circoli che vanno sempre bene a tutti. Circoli che prendono posizione sull’abitare, circoli immersi dentro i territori.

Havel, nella Cecoslovacchia del tempo intermedio, tra l’uno e l’altro mondo. Diceva ai politici: “Cari politici, se voi non imparerete a cantare le canzoni della gente, la gente non imparerà mai a cantare le vostre canzoni”. Io credo che, dentro i territori, la gente nonostante tutti i casini, stia già inventando canzoni per sopravvivere. Mi prende una enorme curiosità di scendere a intuire con pancia, cuore e testa che canzoni stanno inventando. Ho voglia di tornare in mezzo a questa gente. 

Conclusioni di Franco Floris dopo il lavoro di gruppo al Consiglio Provinciale Residenziale delle Acli di Milano a Diano. Appunti non rivisti dall'autore. 

Foto di  Carlo Tardani

Non prendetevela con i singoli, lavorate perchè nascano nuove gruppalità


Premessa: finalmente i circoli! 

Finalmente ce l’ho fatta. A far cosa? Io sono 25 anni che giro in ambito Acli. Dopo un bellissimo tentativo con Achille Tagliaferri sugli animatori, ho continuato a venire a fare degli incontri e a girarci attorno. Poi, finalmente, dopo 25 anni sono venuto al dunque. Sono arrivato ad incontrare i circoli!

Quello che mi piace di voi è che alcuni di voi sono rimasti nella pancia delle comunità locali. Cioè, non sono usciti dai territori. Man mano che i territori si evolvevano, sono rimasti lì. Sono stati, in tanti casi, luoghi di resistenza culturale e sociale. Luoghi in cui qualcuno si è anche sentito abbandonato dai livelli superiori (non a torto). Quello che mi interessa è che voi siete rimasti nella pancia delle comunità, dove si colgono le gioie e i dolori del popolo. Voi siete rimasti lì. Il mio intento, molti anni fa, era arrivare ai circoli. Oggi sono soddisfatto perché ci sono arrivato. 

Al funerale di don Ellena, ad un certo punto Franco Garelli, mi si avvicina e dice: dopo Ciotti, deve parlare Giovanni Bianchi. Io vado da Giovanni Bianchi e dico: tocca a te. Perché Giovanni Bianchi è cofondatore di Animazione sociale. E Giovanni ha raccontato una cosa che non dimenticherò. Giovanni ha detto: Siamo nel 68. Milano è piena di movimenti più o meno rivoluzionari. E il gruppo di Animazione Sociale si è fermato a dire: noi cosa facciamo? Decisione: noi non andremo sulle barricate. Noi rimarremo nelle retrovie a formare gruppalità nei territori. I circoli sono esperienze di gruppalità. Luoghi generativi delle energie. Per cui grazie di invito.  

Non esiste situazione in cui non siano presenti reticoli sotterranei vitali

Da dove partire… partirei da un’idea. La dico così: in botanica esistono dei funghi, che stanno sottoterra, che collegano il bosco. Se uccidi quei funghi, il bosco muore. Quei funghi preparano il pranzo alle piante. Senza quei funghi le piante non riuscirebbero ad assumere i nutrienti. Tutto: i minerali, l’acqua, gli altri nutrienti, vengono filtrati attraverso immensi reticoli sotterranei, che sono la mente pensante del bosco. Loro orientano la vegetazione in superficie. “Non andate di là, perché lì non c’è acqua” “Attenzione di lì, che ci sono piante nemiche” “State alla larga da…”. Esiste, sotto terra, nei reticoli, molto vicini al terreno, molto vicini alla vita di tutti  i giorni, un luogo entro cui si inventa il governo del bosco. 

Noi sosteniamo che i reticoli sotterranei, formati da cittadini che nella vita quotidiana si ritrovano, pensano, organizzano la scuola per i figli degli immigrati, raccolgono soldi per una causa… noi sosteniamo che questo sommovimento sotterraneo è qualcosa che sta avvenendo anche oggi. O i circoli si lasciano nutrire da questi reticoli sotterranei o non hanno energia per crescere.  

Sapendo che i reticoli sono i produttori di vita, sono quelli che trasformano i minerali, che danno energia, che permettono la vita, sappiamo che questi reticoli sono per noi importanti. Sono importanti perché sono quelli che in questo momento storico stanno digerendo la crisi. La stanno masticando, la stanno rielaborando. Per questo lavoro di masticazione e digestione sono in grado di restituire energie. 

Cosa è questo tempo? Perché così tanta rabbia?

Dice Miguel Benasayag, quando mio figlio mi ha chiesto: Hai ucciso qualcuno? Lui ha risposto: quando ci attaccavano, ci difendevamo. (Adesso sono un po’ sconvolto dalle vicende del sud America. E’ tragedia. Il sandinismo sta diventando dittatura. Era rivoluzione…) Miguel Benasayag dice: non c’è alcun posto, nella crisi attuale, anche nel quartiere più desolato, anche nel posto più estremo, dove non stiano nascendo nuovi organismi viventi che, partendo dal dentro delle vicende del tempo, masticano e rimescolano queste vicende, e ne escono con intuizioni generative di futuro.

Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi

Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un...