Un modo diverso di stare insieme

Ho letto questo post sul blog di Paola Lazzarini e mi sono venute delle riflessioni che provo a mettere in fila http://www.apiccolipassi.eu/2013/04/un-modo-diverso-di-stare-insieme.html a partire dal fatto che i nostri punti di vista hanno alcuni spazi in comune e alcuni spazi di diversità. In comune c'è una certa riflessione di anni sui temi della nonviolenza e dei rapporti, oltre che l'essere mamme e la voglia di provare ad appuntare per scritto alcune riflessioni su quanto questo comporta. Di diverso c'è la diversa fase della vita dei figli e quindi anche dei genitori di riflesso (Pietro ha quasi 5 anni ormai e Giovanni ne ha 3) e il fatto che, appunto, una Paola è mamma di un figlio solo (per ora) e mentre l'altra lo è di due. Sembra una banalità mentre in realtà cambia quasi tutto. Infine il fatto che una Paola ha scelto di fare la mamma a (quasi) tempo pieno mentre l'altra è tornata al lavoro quando avevano circa 3 mesi e quindi esercita il suo essere mamma con una più ampia condivisione del ruolo con il papà e in partecipazione con i nonni e con le maestre del nido e dell'asilo. 

I punti che mi sollecitano sono più di uno. Il primo è il tema della violenza e nonviolenza. E quindi del rapporto con gli altri. Davvero esiste solo il binomio vittima/prevaricatore? Davvero o si mena o le si prende? Beh, io su questo non ho tanti dubbi. Per i piccoli come per i grandi, secondo me esistono altre possibilità che si sviluppano nel tempo e che attengono all'imparare a gestire i propri impulsi e desideri, all'imparare a sentire empatia e mettersi nei panni degli altri, al saper valutare e prevedere le conseguenze delle proprie azioni, al saper trovare soluzioni creative ai problemi. Secondo me i bambini sono "più avanti" degli adulti in tante cose. Ma non in queste. Secondo me a stare assieme con gli altri si impara (o non si impara) crescendo (e venendo educati a questo). Quando i bambini sono piccoli la piccola violenza non è una scelta consapevole. E' una cosa che capita perchè non si sa gestirla. E il fatto che faccia bene trovarsi in quelle situazioni (e quindi frequentare un nido o stare con altri bambini in generale) non è perchè si impara a menare o subire. Ma perchè si impara a relazionarsi con gli altri e a fare tutte le cose di cui sopra. Ma per impararlo si passa anche dal fatto che (nel frattempo) a volte le si prende e a volte le si dà. Come per imparare ad andare in bicicletta si passa anche dal cadere. Però perchè la conseguenza della caduta sia solo un ginocchio sbucciato e non una cosa grave e perchè alla fine ad andare in bicicletta si impari serve la presenza di un adulto a parare gli eccessi, a suggerire le modalità, ad accompagnare la crescita.

Il secondo è quello del mamma di uno o più. Mi è capitato di rifletterci più di una volta. Passare dal non essere genitore all'essere genitore è un passaggio enorme, epocale direi. Ma passare dall'essere genitore di un figlio all'essere genitore di più figli lo è altrettanto. Perchè fino a che sei mamma di uno quell'uno è il centro totale e assoluto dei tuoi pensieri e attenzione da mamma (che questo sia esercitato a tempo pieno o meno). E scattano in automatico gli istinti di protezione, accudimento. E lui (o lei) è sempre la cosa più importante. E il resto non può che venire dopo. Banalmente, non posso non correre immediatamente se piange. Leggere un libro, cucinare, fare la doccia, via via fino a fare la pipì quando scappa... sono tutte cose che possono aspettare. Perchè lui non può aspettare. Quando sono due (e immagino quando sono di più) i loro bisogni non sono coordinati nei tempi e nei modi e per forza a volte uno lo lasci piangere, perchè c'è da star dietro all'altro. E quando lo fai ti rendi conto (e ti stupisci) che se piange 5 minuti da solo non muore, che se cade e si fa male è capace di rialzarsi e persino consolarsi da solo e così via. Ma non solo, quando sei mamma di due i due a volte litigano, e si fanno pure male tra loro. Ma tu sei mamma di entrambi. E per entrambi ti scatta la comprensione e soprattutto di entrambi sei genitore e quindi non ti funziona più l'idea (istintiva, che ti veniva prima) che il gesto aggressivo di uno sia responsabilità di un modo diverso di educare. E accetti che i gesti aggressivi dei piccoli sono normale transizione di crescita. Il punto è imparare a conviverci e a trovare soluzioni diverse. E tra fratelli io credo che anche tra loro scatti l'imparare che dare (o ricevere) una spinta o un graffio non è segno di non affetto ma che se si riesce ad evitare di dare (o ricevere) una spinta o un graffio si sta meglio.

Il terzo è quello dell'alleanza educativa. E' una grande fatica condividere il ruolo educativo con altri. Mi ricordo benissimo le difficoltà delle prime volte che li ho lasciati. Certo, sulle cose macro, c'è il bisogno di trovare un'alleanza di fondo con chi si prende cura dei nostri figli. Quando non scatta (come mi è capitato a volte con alcune educatrici) è un problema e alla fine a quei problemi trovi soluzioni (nel senso che cambi). Però ad un certo punto ti rendi conto che comunque anche con quelli con cui hai una buona alleanza ci sono diversità. Può essere il rapporto con il cibo o con la tv o con i giochi. Possono essere cose più sfumate e difficili da concordare. Ricordo come sono stata male quando mi sono resa conto che i miei figli ricevevano messaggi che a me sembravano contraddire i miei valori di fondo. E ho presente episodi o aspetti che mi fanno stare male anche oggi in questo senso. Però, ad un certo punto (anche grazie ad alcuni consigli ricevuti da altre mamme) mi sono resa conto che la mia lotta per "bonificare" e rendere completamente coerente il mondo in cui vivono i miei figli era una battaglia persa in partenza. Potevo rimandare alcune cose o placcarne altre. Ma i messaggi discordanti sarebbero comunque stati presenti e in maniera massiccia attorno a loro, anche da parte di persone con ruoli educativi. E io non ero in grado di gestirli. Allora ho provato a cambiare tattica. Sulle cose importanti (o perchè importanti davvero o perchè emotivamente importanti per me) cerco di esplicitare alla persone e di chiedere attenzione. Su tutto il resto cerco di impostare un rapporto con i figli per cui i messaggi che io cerco di dare riescono a passare anche in contesto di messaggi differenti. Parlando dei singoli contenuti e cercando di costruire una relazione significativa singolarmente con loro. Se ci riuscirò (o se ci sto riuscendo) è domanda che mi pongo. E la paura che non sia così c'è. Però mi pare una strada più percorribile. E forse anche una strada più creativa e nonviolenta. 

L'Azione sociale delle Acli nelle Comunità di base - Giovanni Bersani - 1956

  Giovanni Bersani è MCL. Quando ho trovato questo testo (che è parte di un numero speciale di Quaderni di Azione Sociale che raccoglieva tu...