Europa: 3 cose da fare, lavorando attorno alle 5 grandi transizioni



Io non ho trovato altri strumenti per educarci alla comprensione dell’altro, se non viaggiare. In qualsiasi forma. Non solo migrare. Anche campi estivi o fare esperienze altrove. Dislocarsi, lasciare le sicurezze, le proprie conoscenze, andare in un territorio diverso, che sia uno spazio culturale con similitudini come l’Europa, o altrove. E’ una delle chiavi per aprirsi al mondo. Non c’è dubbio. 

Ai tempi in cui Gigi era presidente delle Acli, ero un fan dell’idea di rifare una battaglia per il servizio civile obbligatorio. Oggi sarei per imporre ad ogni ragazzo europeo una esperienza di almeno 6 mesi o 1 anno all’estero. Studio, praticantato, lavoro… all’estero. In Europa. Io credo sarebbe uno strumento straordinario. 

Però vorrei invitare a fare un’altra riflessione. Altrimenti rischiamo di guardare solo una parte della nostra popolazione. E di non considerarne altre, parti con le quali una parte del nostro mondo viene quotidianamente in contatto. Ma rischiamo di non capire la rottura sociologica e culturale che si è creata in Europa. 
Ho sempre trovato, e trovo ancora più pertinente oggi, una riflessione che faceva Herman Van Rompuy, al  termine del suo mandato in Europa. Faceva una doppia riflessione su persone e  ruoli. La prima è la distinzione fondamentale tra i movers e gli stayers. Senza andare nelle parti più recondite dei nostri paesi, ieri sera Paolo Petracca mi annunciava di voler fare un grosso piano di 150 incontri, nel milanese, per L’Europa. E mi diceva: se devo dire cosa ha fatto l’Europa “ai nostri”, non parlo del rooming, perché non interessa, a gente che non si è mai mossa. Per loro è più significativo il quarto gestore…  
Van Rompuy diceva: Ci siamo resi conto che l’Europa è fatta di queste due parti. I movers e gli stayers. Una grande attenzione, in termine di narrazione e di spinte e di politiche attive, guarda a questa parte che si muove. E non a chi sta. Dove è il problema? Non si sono ribellati i movers. Non si sono ribellati quelli che, anche controvoglia, sono stati obbligati ad andare oltre. Quelli che sono andati altrove, con mille difficoltà. Non sono questi che si sono ribellati, che hanno votato i populisti… Sono gli stayers. 

Io non ho i dati sull’Italia (sarebbe interessante andare a leggerli). Ma la mappa del voto in Polonia, quando vi fu il capovolgimento, era drammatica. Era una diagonale. Tutta la parte che aveva vissuto la straordinaria modernizzazione e ne aveva vissuto i benefici aveva votato i partiti conosciuti. Tutta la parte che aveva vissuto meno l’impatto della modernizzazione, che meno ne aveva beneficiato, ha votato ribellandosi. 

Se analizzate con il criterio movers e stayers la Brexit, è uguale. Se analizzate il voto degli ultimi 30 anni in Austria, è uguale. Le città più dinamiche, le parti più moderne, più aperte agli interscambi, sono quelle che nella globalizzazione hanno trovato una collocazione, magari non compiuta e problematica, ma l’hanno trovata. E’ il resto che si è ribellato. E con la ribellione ci siamo accorti che le politiche che facevamo non parlavano a questi. Ci siamo accorti che, a fronte di alcune grandi trasformazioni, quelli che hanno pagato il prezzo più alto sono gli stayers. 


Questo dice molto del ragionamento di questi giorni. Anche volendo, il mio sogno di esperienza all’estero per tutti, non può risolvere. La gran parte della gente comunque non si sposterà. Continuerà a voler stare. 

Il secondo termine di antinomici, oltre a movers e stayers, che spiega anche molto della difficoltà più strutturale dell’Europa oggi è la divisione dei compiti tra Europa e Stati nazionali.La divisione dei compiti è stata chiara ed ha tenuto, per un certo tempo. Agli Stati è stata lasciata la difesa, la sicurezza, la protezione, l’organizzazione della comunità... All’Europa è stato dato il compito di costruire le vie nuove di progresso e innovazione, di aprire porte nuove.  

Oggi, di fronte ai cambiamenti in corso, questa divisione dei compiti, sembra non contare più. Questioni tradizionalmente affidate ai governi nazionali,  oggi vengono richieste all’Europa, che però non ha i fondi per garantirle. Oggi viene chiesto all’Europa di garantire le frontiere esterne. Ma la competenza di gestire le frontiere non era Europea. Oggi c’è una domanda. Così come le competenza di aumentare le politiche di accompagnamento alle politiche sociali. C’è una maggiore richiesta all’Europa, anche su competenze che non erano europee, come se l’Europa potesse risolvere tutto.

Teniamo presente questi due coppie di termini. Movers e stayers e divisione di competenze tra Stati nazionali ed Europa. La prima coppia ci dice che esistono due Europe, come esistono due Italie, due Polonie, due Austrie…due Europe che sono andate progressivamente spostandosi e separandosi, con una che ha preso coscienza di pagare un prezzo più alto dell’altra, che ha preso coscienza di non capire cosa sta accadendo, che ha visto aumentare le paure rispetto al futuro e ha trovato alcuni che gliele hanno alimentate. E di fronte a tutto questo non ha trovato risposte nella logica di chi si sposta. E quindi si è arroccato. Questo ci spiega molto delle cose che stanno accadendo e ci spiega anche la portata complessa della sfida. E ci spiega anche perché quella divisione dei compiti oggi non funziona più. Quindi oggi si mischiano i termini, con invasioni di campo su ciò che era delegato all’Europa da parte degli Stati nazionali o con  richieste all’Europa di intervenire su altro. Ma intervenire su altro è molto più complicato, perché si toccano temi come identità, sovranità e quant’altro…

Una precisione, su movers e stayers. Movers non si riferisse soltanto a quella stretta minoranza che espatria e risiede altrove, che ha una casa, un lavoro, un domicilio, che manda i figli a scuola in un altro paese. Movers sono anche coloro che a Torino, ogni giorno, prendono l’auto e arrivano in un ufficio e lavorano in inglese. Persone che magari si spostano poco, ma che per ragioni di lavoro, di relazioni, di interessi, vivono in una comunità più ampia. Poi ci sono gli specifici che risiedono altrove. O coloro che risiedono nel proprio paese ma vivono prendendo una infinità di aerei. Ogni specifica ha anche altre dinamiche. Ma con movers si fa riferimento ad una questione di apertura mentale, all’essere parte di un mondo spaziale e di relazioni e di complessità e quindi anche di capacità di sintesi più ampia. 

Cosa noi possiamo fare in questo momento? 
Come possiamo stare noi in questo momento? 
Io credo che le cose che possiamo fare sono sostanzialmente 3, lavorando attorno alle grandi 5 transizioni. 

1.   Riappropriarci di alcuni termini che ci hanno fregato. 
Io sono un sovranista, nella accezione di Junker. Amo l’Europa, perché amo il Paese e amo il mio Paese perché amo l’Europa. C’è un concetto di patriottismo europeo che è stato una grande innovazione. Questa associazione si definisce popolare, ma se una parte di popolo è andata a votare su valori che non condividiamo, noi (come molti partiti) dobbiamo domandarci qualcosa. C’è il problema di riconnettersi con le tensioni dei cittadini.

Come riappropriarci della domanda di sicurezza. Le Acli non sono nate per lavorare su una parte delle sicurezze? E non è che la sicurezza non sia una domanda sacrosanta. Dopo di che, si può rispondere costruendo una risposta, o si può rispondere drammaticamente falsando i dati, come gli ultimi diffusi dal ministero dell’Interno, dicendo che la colpa della delinquenza è tutta quanta dei neri che sbarcano dalla Diciotti… La risposta è diversa. Ma la domanda di sicurezza è legittima e vera. Nessuno amerebbe che nostra figlia venisse aggredita…

2. Rialimentare un ragionamento sulle questioni con attenzione ai fatti
Seconda cosa, faticosissima, quasi improba, bisogna continuare a rialimentare un ragionamento sulle questioni che guardi in largo, in lungo, con attenzione ai termini e ai fatti e alle cifre. Troppi ragionamenti oggi prescindono da fatti e realtà. Oggi è l’ideologia che vince e guadagna. Questa estata sono capitato a leggere Goebbels e mi sono detto: mamma mia, li stanno applicando tutti i principi della propaganda oggi, ma con mezzi più potenti e pervasivi e penetranti. Una semplificazione brutale, il rifiuto dei fatti, la costruzione della realtà che non esiste, del nemico, dell’odio... Se poi coniugate questo con i principi di Goering, di come portare un popolo che non vuole fare la guerra a fare la guerra, restate terrorizzati. Perché gli stessi fenomeni sono quelli di oggi. E noi stiamo fronteggiando questa cosa. Legare i ragionamenti ai fatti, è complicato ma è da fare.

3. Riaprire un discorso fondamentale sui valori fondanti della nostra democrazia
Oggi in Europa non è in discussione il modello sociale o il bilanciamento tra più libertà di impresa e più politiche sociali. Non è in discussione l’art 3. Oggi lo scontro è sull’art. 2. Lo stato di diritto. La difesa di valori di libertà, di non discriminazione, la separazione dei poteri.
Lo scontro è sulla concezione dell’Europa che ha garantito la pace. Tra qualche mese celebriamo la fine della prima guerra mondiale. Stiamo rialimentando dinamiche intellettuali di separazione che vanno nella stessa direzione. 

Ma per non farne solo un discorso ideologico, fare solo un discorso ideologico sarebbe folle,… noi dobbiamo lavorare a fondo sulle 5 grandi transizioni o trasformazione che stiamo vivendo in modo estremamente accelerato:

1.   Trasformazione economica 
che ridisegnerà l’assetto della consistenza del futuro della nostra Europa. E’ il tema dell’industria 4.0, dove il meccanismo del digitale sta avendo un effetto di accelerazione e di trasformazione complessiva. In questo l’Europa con grande fatica e grandi ritardi perché non abbiamo nessun campione in Europa dal punto di vista industriale del settore digitale. Abbiamo perso il controllo. O sono nel sud est asiatico o sono negli Stati Uniti. Non abbiamo più nulla. Ma perdere il controllo di questa tecnologia che governerà il futuro avrà effetti enormi. Ieri leggevo un rapporto che mi confermava che nei prossimi 10 anni il 25% di chi lavora nel settore finanziario e bancario verrà espulso, e il restante 75% per oltre l’80% sarà obbligato a cambiare il proprio modo di lavorare per la rivoluzione tecnologica in corso. Immaginate in termini di stress e anche di scontri. Perché non è che tutte le persone si adattano immediatamente perché facciamo la formazione tutta la vita, abbiamo bellissimi Enaip. C’è anche bisogno della capacità di accompagnare i processi di questa trasformazione. Ci saranno quelli che ci riescono e quelli che non ci riescono. Quindi saranno espulsi. La trasformazione economica è straordinaria. 15 anni fa teorizzavamo la concezione britannica. Europa doveva liberarsi di tutta l’industria pesante. Doveva tenere la parte a valle e a monte. L’ideazione e la commercializzazione. Ma l’hard doveva spostarlo. E quindi dovevamo liberarci dell’acciaio. Oggi ci rendiamo conto che anche il settore hard è cruciale. Avere almeno un 20% del PIL che si basa su produzione industriale e non solo vendita di servizi. Ma siamo a 14% come media in Europa. Ma questa rivoluzione industriale ridefinirà gli assetti, i rapporti. 
            
2.   Trasformazione energetica. 
Nessuno in Italia ha commentato le parole del segretario dell’ONU  sul fatto che i cambiamenti climatici continuano ad essere una delle principali sfide dei nostri tempi. Non solo in termini di poter generare profughi e migranti climatici. Ma anche per quanto sta impattando in termini di costi. La trasformazione energetica ed economica è enorme. Il cambiamento dell’asse energetico, la modalità di produrre e costruire sicurezza sull’energia sarà dominante. 
L’Europa seguirà il modello tedesco, in cui il 25% dell’energia elettrica complessiva è autoprodotta da comunità locali, cooperative, piccole impese o seguirà altri modelli di accentramento e dipendenza eterna dal petrolio o dalla riscoperta del carbone? 
Il futuro sarà sulla mobilità sull’elettrico. Noi abbiamo già quasi perso la sfida, la possibilità di essere almeno co-leader nella produzione delle batterie. Anche la Wolkswagen e la Volvo stanno acquistando cinese. Non è solo roba da ecologisti. La Slovacchia è passata all’economia circolare. Ricicla. Non importa più. E’ uscita da un modello di produzione, consumo, scarto. E funziona, crea ricchezza. Anche qui, questo porterà sfide su cui l’Europa ha iniziato a lavorare. 

3.        Trasformazione del sistema di welfare
La dico brutalmente, siamo di fronte a 3 elementi. Aumentano le pressioni sul sociale per le divisioni e trasformazioni in corso e chiedono più accompagnamenti. Diminuiscono le risorse. E aumenta l’età anagrafica. Questa equazione ha 2 possibili esiti, il terzo non è dato. Ma la maggior parte della politica lavora sul terzo. O abbassiamo i diritti, la copertura sanitaria per tutti non è più garantita, l’accesso al pronto soccorso non è più garantito…per fare degli esempi… Oppure inventiamo modelli, per aumentare e differenziare le prestazioni. Ma questo vuol dire secondo welfare, impresa sociale, economia sociale… siamo distanti da un lavoro a sistema su questo. Abbiamo vinto di far mettere in priorità l’innovazione sociale, ma io vi invito a fare qualche calcolino su piani di spesa degli ultimi anni, siamo sotto l’1%. Non si può pensare che l’Europa sostituisca gli stati. Non si può trasferire sull’Europa il reddito minimo di cittadinanza. Ma la trasformazione sociale del modello di welfare… Chi saprà dare risposte e saprà cogliere. 

4.   C’è una rivoluzione dei sistemi di democrazia e partecipazione. 
Non abbiamo tempo di entrarci nel dettaglio ma non solo sembrano saltare i  riferimenti che hanno caratterizzato la storia Europea. Oggi abbiamo leader in Europa che inneggiano ad una democrazia illiberale. Che ipotizzano una grande alleanza di campioni di democrazia illiberale. Abbiamo la crisi dei corpi intermedi. La pervasività del digitale nella comunicazione politica e comunicazione in generale, che salta l’intermediazione. Salta qualunque ragionamento, come farci i conti , visto che ci cambia il modo di ragionare e di pensare. 

5.   Siamo passati da trentennio in cui il modello era una cooperazione competitiva ad un modello di scontro distruttivo. 
Rispetto a 10 anni fa abbiamo scenari di guerra  a tutte le frontiere. Rottura delle relazioni con la Russia, relazione difficile con la Turchia, fibrillazione nei Balcani, il principale storico alleato che riapre le guerre sui dazi, che fa saltare l’accordo che aveva dietro 20 anni di negoziato sul nucleare… è saltato un sistema. Stare dentro per l’Europa è una sfida straordinaria.  

Dentro queste partite c’è già un enorme lavoro. Vi invito a leggere con attenzione lo stato dell’Unione che il presidente Junker ha presentato 2 giorni fa. Lui ha un po’ meno coraggio, ma io credo che abbiamo un’agenda positiva. Che è l’agenda dello sviluppo sostenibile. E’ vincente per tutti. Crea nuovi sistemi di economie. Facciamola diventare la vera agenda di cambiamento del futuro.

Infine due pillole: 

Noi abbiamo drammaticamente bisogno di una nuova narrazione e di fonti valoriali e di energia positiva, che consenta di costruire una nuova narrazione, che permetta di costruire anche sul tema identità. La cultura è la vera riserva di buona energia. Non solo in termini di senso. Anche in termini di capacità di creare ricchezza e reddito. convegnistica. La cultura ha anche capacità trasformativa. Ha sempre promosso la diversità. Ed è una riserva di energia positiva. Facciamo si che i Benigni che dicano l’Europa è bella si moltiplichino. 

Ricominciamo a parlare di pace, perché oggi io temo che la pace sia a rischio. E forse il centenario della fine della prima guerra mondiale può diventare un modo per ricordare cosa l’Europa ha vissuto e ricordare che grazie all’Europa abbiamo messo fine a un tempo di massacri. 

Appunti presi in diretta e non rivisti dall'autore dell'intervento di Luca Jahier all'incontro nazionale di studi Acli, 2018, "Animare la città".  

Sulla pagina fb Acli Nazionali è ancora disponibile il video dell'intervento.

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