Street art




Io pensavo che era illegale” dice Giovanni mentre mi fermo a fotografare. 
Certe volte si, altre no”. Rispondo io, spiegando. 
E lui:  “Strano. Allora dipende dal proprietario del muro? 
Non da cosa ci disegni e perché vuoi disegnare?”.



Mercoledì. 

Ciò che c’è scritto sui muri è sempre stato interessante. Muri puliti, popoli muti. Si diceva un tempo. Ma quando e come questo è diventato street art? Chi può legittimarla come tale? A che prezzo? 

L’impressione è che sia avvenuto più di un passaggio, dal graffito come forma di appaesamento, alla street art come emulazione e adescamento. Dalle tag al writing, è anche il passaggio da espressione a comunicazione? 

E poi, un dialogo attraverso i muri, asincrono e non finalizzato, oggi spopola perché in fondo assomiglia al dialogo social tramite bacheche? E quanto entrambi influiscono sulla nostra (in)capacità di parlarci e di imbastire un discorso collettivo?

Ho raccolto circa 110 foto. 
Muri,  campane del vetro, serrande dei negozi. 
Cose grandi e cose piccole. 
Stencil, spray e pennelli. 
Artisti noti e ragazzi del quartiere. 

Mi restano addosso un’infinità di domande. 
Tutto questo descrive la trasformazione della città o la crea? 
Quanto c’è di individuale e quanto di collettivo in tutto questo? 
Quanto di spontaneo, quanto di progettato? 
E, più di altro, qual è il contenuto, in tutta questa forma? 

Prima o poi, per cercare di orientarmi e di trovare un filo, costruirò una mappa. 



         



    







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