Come si può affrontare l'emergenza abitativa a Roma?


Per dare risposte, premesso il periodo di scarsità di risorse, bisogna scindere un problema complesso in tanti problemi differenti, che si possano affrontare. Intanto l’emergenza abitativa si può scomporre in due fasi. Immaginatela come se fosse un lago con un emissario e un affluente. L’acqua che arriva sono le nuove famiglie che entrano in emergenza abitativa e che quindi fanno domanda di alloggio. Sono all’incirca 1500.  In uscita ci sono quelli a cui ho risolto il problema assegnando una casa popolare. Sono circa 350. Se io in un anno ho 1500 famiglie che perdono l’alloggio e assegno la casa a 350 famiglie il problema è irrisolvibile. Peggiora, invece di migliorare, di anno in anno. Oggi il sistema è un imbuto. Tante entrano, pochissime escono. E’ un imbuto che si allarga ogni anno. Serve lavorare su due parametri: l’entrata e l’uscita. Se io potessi diminuire il numero di famiglie che entrano, da 1500 a 750 e potessi assegnare 750 case all’anno invece che 350, a quel punto avrei un flusso in pareggio. Una volta ottenuto il flusso in pareggio posso aggredire, con interventi straordinari, chi è rimasto in attesa.
In che altro modo posso intervenire per ridurre l’emergenza abitativa? 

1. Posso intervenire con una serie di sussidi. Tutte le politiche europee si stanno orientando verso un doppio binario: 
  • Da un lato le case pubbliche. Tutti i paesi hanno una dotazione di case popolari pubbliche. Più o meno scarsa. 
  • Dall’altro un sistema di strumenti agili. Che interviene in chi, magari per 50 euro al mese, non riesce a pagare affitto.

Quante sono le famiglie in questa situazione al momento a Roma? Circa 30.000. Se io a queste famiglie devo dare a ciascuna una casa pubblica, non riesco. Devo poter intervenire in altro modo. Per questo abbiamo una legislazione che ha strutturato dei contributi.  Ci sono 2 contributi nazionali, che agiscono in tutti i comuni:
  • legge 431 del 1998, contributo all’affitto. Chiedo un contributo perché con gli stipendi di casa non riesco più a pagare affitto. E’ un contributo per impedire che le famiglie finiscano in morosità. 
  • legge 124 del 2014, morosità incolpevole. Chiedo un contributo quando ho già accumulato una morosità. Può prevedere  fino a 12.000 euro per nuclei che hanno accumulato debiti. A Roma, con l’emergenza abitativa che c’è, non si è riusciti a spendere i fondi stanziati per questo contributo. A Roma in 3 anni sono avanzati 8 milioni di euro su questo. 

 Perché non funziona il contributo all’affitto? 
Tempo: Il contributo all’affitto è erogato dopo 3-4 anni dalla domanda. Se serve in immediatezza, per evitare di esasperare il conflitto con proprietario, concederlo dopo 3-4 anni non può funzionare. Le famiglie lo prendono comunque, ma vengono comunque sfrattate. Perché il rapporto si è già usurato. Perchè è erogato dopo tanto tempo? Le domande sono più dei fondi. Quindi i comuni, per selezionare a chi erogare, fanno una graduatoria dentro la graduatoria. Questo vuol dire elaborazione del bando, che deve essere valutata da commissione, vidimata. Tutto questo implica un ritardo dell’erogazione che lo rende inefficace.
 Perché non funziona il contributo per la morosità?
Questo tipo di contributo è molto interessante. Dice che, se hai già accumulato una morosità importante, la pubblica amministrazione può darti un contributo non leggero, basta che il tuo proprietario rinegozi l’affitto con te. Sarebbe molto interessante. Se non fosse che su questa misura sono avanzati quasi tutti i fondi a Roma. Perché per averlo devi dimostrare di non essere più in grado di pagare, per dimostrare di non essere in grado di pagare  devi dimostrare o una grave malattia famigliare o il fatto di essere stato licenziato. La maggior parte delle persone in queste condizioni però sono persone che lavorano in nero, quindi non riescono a dimostrare questa impossibilità.  Adesso il ministero sta pensando di spostare questi fondi sull’altro contributo. Vedremo.

Poi ci sono altri contributi di carattere comunale. In ogni caso aggredire il problema già nella prima fase sarebbe strategico. Altrimenti è come se noi facessimo assistenza medica solo ai malati cronici. E’ chiaro che se non faccio nessuna prevenzione e non faccio nessuna analisi, poi mi arriva una enorme spesa medica per l’assistenza a moltissimi malati gravi, anche per malattie che avrei potuto prevenire. Ed à chiaro che così spesso il paziente muore. 
Rispetto ai sussidi però, noi spesso applichiamo sussidi di carattere generalistico. Se stai in un parametro, ti diamo i sussidi. Queste cose, che funzionano in Germania, non è detto che funzionino da noi.  Tante amministrazioni vanno a fare le verifiche con la guardia di finanza. Siccome i sussidi sono scarsi, c’è il tentativo di essere più giusti nella fase di erogazione. Ma non è il sussidio da solo che può invertire un processo. Tra i sussidi, quelli che funzionano meglio sono quelli gestiti dagli assistenti sociali dei municipi. Perché hanno un rapporto diretto con le famiglie. Ed hanno una conoscenza della rete territoriale. In ogni caso il sussidio ha bisogno di una comunità in cui inserirsi.
Ma ci sono stati i tagli lineari operati su tutte le amministrazioni pubbliche. Dagli anni 90 ad oggi. E oggi hai 350 assistenti sociali che si dovrebbero occupare di tutto il territorio romano. Secondo le stime tecniche dovrebbero essere quanto meno il doppio. Secondo il bisogno reale ancora di più. Si sottovaluta l’importanza di persone che abbiano rapporti diretti con gli utenti ultimi per controllare l’efficacia della spesa pubblica e per indirizzare il sussidio all'interno di un piano di progetto e di un intervento di comunità. 

2. Per ragionare sulle assegnazioni dobbiamo ragionare sul patrimonio pubblico. Noi mettiamo gli alloggi popolari tra i beni demaniali. Da un lato diciamo che i beni pubblici devono servire alle città, dall’altra li mettiamo tra il patrimonio in valorizzazione, cioè in vendita. Fino a che non si risolve questo nodo di fondo, diventa complesso fare politiche nel settore. O un bene pubblico lo vendo per avere maggiori fondi, o lo metto ad uso sociale. È una dicotomia di fondo su cui nessuno si esprime.

3. Per ragionare sulla emergenza abitativa devo considerare che la maggior parte dei problemi si scaricano sulla casa
  • Se sei disoccupato, se non riesci a trovare lavoro, hai carenza di reddito e siccome hai carenza di reddito il problema arriva sulla casa. Non abbiamo politiche per il lavoro. Questo si scarica sulla casa. 
  • Se sei anziano, hai una pensione sociale, non ti è sufficiente per mantenerti, il problema si scarica sulla casa. Non abbiamo politiche per la terza e quarta età. Per questo abbiamo moltissimi anziani che sono in attesa di casa popolare. 
Se avessimo politiche per il lavoro e politiche per gli anziani, potremmo dare a queste persone risposte mirate e potremmo avere il problema casa solo a chi ha realmente un problema di casa popolare.

4. Rotazione degli alloggi pubblici. Se io ho un bene pubblico che assegno in base ad un bisogno emergenziale, ho bisogno che quel bene resti disponibile per altri. Se io assegno la casa, la situazione famigliare, con il passaggio delle generazioni, magari si stabilizza economicamente. E questo è bene. Ma io poi consento al nipote di fare il subentro io devo riconoscere che gli alloggi pubblici sono tutti beni che sostanzialmente non vengono reimmessi nel circuito. Nel patrimonio privato il tasso di ricambio è del 4%. Nel patrimonio pubblico il tasso di ricambio è dello 0,04. Dobbiamo comunque considerare che l’alloggio assegnato viene letto come bene di proprietà e questo rende difficile le assegnazioni. 

5. Occupazioni, abusivismo. Quando eravamo in Comune abbiamo fatto una lotta assurda per avere 25 vigili per fare una azione di contrasto alla illegalità nelle case popolari. Ci sono voluti 6 mesi per avere 25 vigili. Su 70.000 case popolari. Noi dovremmo mettere sul piatto quanto ci costa costruire 1000 case all’anno e quanto ci costa aumentare la sicurezza. Forse non è il caso di tagliare. Forse servono investimenti.
Poi ci sono le esperienze di occupazione non individuale. Come Spin time labs. È una occupazione, tutti gli abitanti hanno fatto richiesta di casa popolare. Non è una zona periferica, è a Santa Croce, è una zona centrale. Sono tutte persone che (da anni) non sono riusciti ad avere una casa popolare. La situazione è controversa. Ma loro lì fanno anche animazione di comunità. Da concerti di musica classica ad altro. Loro sono 2 anni che chiedono di trovare una interlocuzione per provare a legalizzare la loro esperienza. La questione della luce è una parte. Ma il tema del passaggio dall'illegale al legale è un processo più complessivo. Finora loro non ci sono riusciti. Ma il tema della occupazioni collettive è un nodo che non si può non affrontare. Nè si può (nella situazione complessiva attuale) affrontare solo con un piano di sgomberi. Perchè le persone sgomberate non spariscono. E il problema inevitabilmente si ripresenta, in modo sempre più deteriorato.  
6. Gli appartamenti di edilizia pubblica oggi sono sottoutilizzati al 50%. Abbiamo single che abitano in casa da 70mq. Questo incide nel problema complessivo.  Il mutamento delle condizioni demografiche è presente ovunque. Il privato, di fronte al mutamento della condizione demografica, cosa sta facendo? Tanti stanno facendo frazionamenti. Un anziano solo, magari ha una pensione che non gli consente di sopravvivere, ma ha un appartamento grande, lo divide. Quota parte lo affitta o lo vende. Quota parte ci vive. Il privato è più dinamico. Il pubblico è più statico e non è ancora arrivato a un piano vero di frazionamenti. 

Appunti presi in diretta e non rivisti dall'autore. Intervento di Enrico Puccini  al percorso per "Animatori di comunità" Acli. 

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