I luoghi, infrastrutture di innovazione sociale


Da spazio a luogo 
In passato si identificava lo spazio con la urbs, in termini materiali, città delle pietre. Il luogo si stacca da una logica solo geografica e corrisponde ad una identità socio-culturale. La civitas. Città delle anime, fatte di persone. città di relazioni. I territori, in questa logica, sono di fatto l’elemento in cui si sperimenta il nuovo, sono il contenitore dove le innovazioni sociali vengono messe in atto. Sono laboratori di sperimentazioni in cui si prova a dare risposte nuove a bisogni emergenti. Ma i luoghi non sono solo contenitore di qualcosa che accade, sono anche motore di quel qualcosa che accade. Il luogo porta con sé esigenze, capitali e risorse e bisogni. Che non sono di per sé immediatamente disponibili. Sono esigenze, capitali e bisogni che per essere disponibili e per essere messe a frutto devono essere mediati da persone e da organizzazioni.

Nel passaggio da spazi a luoghi si viene a creare l’economia di relazioni. Dove la dimensione relazionale è l’infrastruttura del valore che quei soggetti economici del territorio possono produrre. E la dimensione relazionale è sense making. Dà senso a ciò che si fa. E dà energia all’azione. Un conto è dire faccio cose. Un conto è dire faccio cose che portano, nel lungo periodo, ad una certa situazione. Sono prospettive completamente diverse, non solo in termini soggettivi.

I luoghi quindi diventano quegli spazi (pensate a qualcosa di materiale) in cui la dimensione comunitaria è protagonista dell’innovazione. La dimensione comunitaria serve, non solo a fare cose. Ma anche a produrre valore per quel territorio. E’ qualcosa che presuppone una logica di investimento. Non è immediata. Se i territori una volta si nutrivano delle imprese, si nutrivano delle
istituzioni che sceglievano quel territorio per svilupparsi, per dare lavoro, oggi è vero il contrario. Sono i territori competitivi che fanno le imprese competitive. Se io sono una impresa di valore ma ho attorno un territorio e un ambiente e un ecosistema non competitivo, non vado lontano. La logica del luogo periodo non mi verrà incontro. Sono i territori competitivi che fanno competitive le imprese e le istituzioni che le insediano, oggi.


Dentro al lungo periodo, come espressione del civile, ci sono anche dinamiche che si ribaltano. Il tema della vulnerabilità, in questa idea di economia, la vulnerabilità passa da problema a risorsa. La vulnerabilità, che possiamo definire come difficoltà, in termini economici o sociali. Vulnerabilità che è la mancanza di legami, di relazioni, la scarsità che va oltre la sola dimensione economica. E’
una povertà relazionale. Quella vulnerabilità dentro una logica di luogo diventa risorsa. Non è un problema da gestire, diventa risorsa da mettere a frutto. Mettere a frutto il tema della vulnerabilità come risorsa può produrre valore.

Pensare assieme i luoghi aiuta ad abitarli. Non è questione di qualcuno che viene e ti legge il tuo territorio. Ma è la comunità e chi abita quei luoghi che si domanda e legge e riflette su se stessa. Farlo assieme aiuta ad abitare i luoghi. Costruire una visione strategica di lungo periodo aiuta ad abitare i luoghi. Abitarli con intenzionalità. Intenzionale è riuscire a costruire una visione
strategica, anche in termini di creatività e di impatto sociale. Intenzionalità è: voglio agire un cambiamento, voglio cambiare la connotazione e la produzione di valore di quel luogo. E scelgo di farlo, non da solo.

Per farlo devo attivare le capabilities (capacitazioni di Amartya Sen) devo farlo abilitando le conoscenze tacite. Attivare le capabilities, capacitare, vuol dire mettere a valore non solo le competenze già esplicite ed evidenti ma anche anticipare quelle che potrebbero divenire competenze. Nella logica di conoscenza e di relazione profonda nel tempo, capire come una persona può essere una risorsa, come tutte le persone possono essere risorse. Anche solo per le abilità tacite e non ancora emerse che possiede. E’ un po’ come i genitori con i bambini. I bambini sono dotati di abilità tacite, appena percettibili. Noi come genitori dobbiamo aiutare a incanalare quelle abilità nel processo di crescita. Cercare di vedere quello che ancora non c’è. Cercare nella conoscenza e nel tempo di abilitare le persone rispetto alle caratteristiche intrinseche che hanno, perchè diventino risorse per se stesse, per i i luoghi e per le comunità.

Cosa cambia, assumendo questa prospettiva, nella pratica?
Intanto serve una rilettura del ruolo della pubblica amministrazione. Della gestione della cosa pubblica. 

(...) Ad esempio in alcuni luoghi c'è tutto un lavoro sui quartieri, perchè di fatto i quartieri come istituzione sono spariti nella struttura della pubblica amministrazione. Ma può essere utile riprenderli e rigenerati come concetto, per poterci poi lavorare in logica di prossimità. 

Un'altra cosa rilevante, è il ruolo del Comune. La volontà del Comune di fare non solo da governo della cosa pubblica, ma anche di capire che di fatto il Comune è un ente che può fare da cabina di regia. Può coinvolgere e mettere anche nelle mani di altri la gestione della cosa pubblica.
Cambia il ruolo della pubblica amministrazione, ma cambia anche il ruolo dei cittadini. Che sono chiamati ad attivarsi dentro un processo di coproduzione di beni e servizi di cui loro stessi possono diventare beneficiari.

Sono processi lenti. Che chiedono investimento di tempo. Non ci si sveglia oggi per domani. Sono processi lunghi. Ma sono processi che si nutrono di quelle relazioni di fiducia fondamentali che servono per portare dentro il processo il cittadino beneficiario di quella attività, ma anche altri cittadini. Non basta la conoscenza superficiale per farlo. Non basta proporlo. Perchè...perchè io cittadino devo partecipare? Perchè devo investire il mio tempo? Lo faccio perchè in quel processo vedo qualcosa che produce valore per me e per il territorio. Lo faccio perchè quel partecipare mi permette di contribuire a generare un impatto sulla qualità della
vita. Sulla qualità della vita della mia comunità e del territorio in cui vivo e lavoro. E sulla qualità della mia vita.

Se tutto questo è vero, servono luoghi in cui le conversazioni prendano vita.

Funzione dei luoghi: 
Luoghi che, per essere in grado di far prendere vita a queste conversazioni, devono essere in logica ecostistemica, e devono essere a loro volta, piccoli ecosistemi. Con la presenza di pubblico, privato e di tutto quello che dentro queste due famiglie tutto può esserci.
Le funzioni di questi luoghi sono: 
  • connettori (mix di pubblico privato…)
  • attivatori (di competenze, di risorse…)
  • innesco (idee innovative).
Luogo dove le diversità si incontrano. Luogo dove risorse e competenze possono inserirsi in un quadro più ampio e quindi trovare un senso di attivazione. Luogo come miccia, da cui parte un percorso di strutturazione e di innovazione. E che quindi può essere il contenitore di idee innovative. Idee che sono impossibili da prevedere prima, anche da parte di chi attiva il luogo. Quindi un luogo che sicuramente si nutre delle eterogeneità e che permette di far emergere e poi di mettere a sistema idee innovative. 

Quali idee? 
Idee innovative in termini di beni e servizi di cui la comunità poi beneficerà. Nella logica di costruzione di un welfare comunitario. In un modello di welfare che è ampio. Non è più solo un welfare assistenzialista. E non è solo una questione economica. Il welfare comunitario non si nutre più solo di un volere che arriva dall’alto. La pubblica amministrazione non è più da sola a decidere ed erogare. Welfare comunitario sono diversi soggetti che si parlano e assieme leggono la complessità dei territori. E attivano tra loro nuove conversazioni. Ed in base a questo sanno costruire interventi integrati. 

Quali bisogni?
Un welfare integrato non deve solo costruire risposte a bisogni manifesti. Ma, anche in base alla conoscenze delle persone e tra le persone che abitano il territorio, deve avere la funzione di far emergere i bisogni latenti del territori. Lavorare sui bisogni prima che i bisogni diventino manifesti. E prima che diventino emergenze. 

Quali interventi?
Nella logica del welfare state la standardizzazione era la modalità funzionale. Era funzionale per la logica della pubblica amministrazione. Anche nella fase esternalizzazione la standardizzazione resta funzionale. Perchè il privato mutua la logica della pubblica amministrazione. Adesso la logica è ribaltata. La centratura non è la pubblica amministrazione ma la persona. La persona non solo è beneficiario, specifico, del servizio, ma ne diventa anche coproduttore. Questo va nella logica della personalizzazione

Queste funzioni, che servono per costruire il modello di welfare, si nutrono di alcuni meccanismi: 
  • di un territorio fatto di cittadini che non sono solo passivi rispetto ai servizi 
  • di una logica di governance partecipativa, quindi con apertura rispetto a chi vive il territorio, anche in termini di capacità decisionale.  
Il riferimento è il libro Dove (Venturi, Zandonai 2019). 

Luoghi
Spazi fisici e virtuali. Con le dovute maniere e interpretazioni, anche degli spazi virtuali si possono trasformare in luoghi. Possiamo considerare luoghi anche alcune piattaforme online. Fisico e virtuale non è coincidente. Ma di fatto, con le dovute precauzioni, possiamo anche pensare che qualcosa di immateriale possa rientrare niella logica dei luoghi. Dipende da come è pensato e progettato, da come si amministra e da come si rende partecipativo. 

I luoghi sono spazi in cui si producono significati condivisi. Per la condivisione è necessario avere una visione. E per avere una visione è indispensabile che ci sia intenzionalità. Altrimenti gli spazi restano spazi in cui ognuno fa il suo, ognuno va per la sua strada, si realizzano delle azioni, ma non si arriva alla trasformazione profonda. 


Il luogo è legato a 3 concetti: L’innovazione sociale, l’imprenditorialità e lo sviluppo. 
  • l’innovazione sociale si nutre dei territori, dei quartieri e delle periferie come oggetti geografici in cui si attivano processi di innovazione sociale. processi che tentano, a partire dalle risorse di cui quel territorio dispone, di rispondere ai bisogni che emergono
  • il successo imprenditoriale è correlato alla dimensione di luogo. Non sono le imprese competitive a rendere il luogo competitivo. La dimensione di contesto oggi è fondamentale e in qualche modo va misurata e valutata. 
  • lo sviluppo si lega ai luoghi perchè attraverso qualità relazionali e norme sociali si riesce a fare sviluppo. (Sviluppo nel senso della definizione di Zamagni - togliere i viluppi, togliere le catene che legano un territorio rispetto alla sua capacità di produrre valore). Capacità di produrre sviluppo è la capacità anche di contrastare le disuguaglianze di tipo sociale, economico etc… 
Luoghi come infrastrutture sociali quando: 
  • sono ad uso comune, non c’è esclusività, è uno spazio fatto di relazioni che è connotato da apertura, luoghi in cui nessuno è escluso
  • è rigenerato dai legami sociali di chi lo popola
  • ha capacità di generare comunità, non è estrattivo, mette a frutto.  
Questo possiamo leggerlo nella capacità di quel luogo di trasformare il contesto, nel lungo periodo. 

La comunità è quindi co-produttore di soluzioni assieme alla pubblica amministrazione. La pubblica amministrazione ha (potrebbe avere) ruolo abilitante. Ma la comunità sta nella logica di co-produzione. Assieme a terzo settore e imprese sociali. 

Quale è l’obiettivo di questa dimensione di luogo? 
Non solo realizzare delle azioni. Non solo produrre beni e servizi. Ma dare vita ad una nuova intelaiatura economica e sociale che contribuisca a risolvere le sfide che emergono nel paese. Quel luogo, nel suo piccolo, deve essere orientato a far fronte a sfide che sono collettive. Che sono di ampio respiro. Tra queste, oggi, tipicamente: 
  • creazione di lavoro
  • ricostruzione di coesione 
  • promozione di mobilità sociale. 

Ci sono 4 driver di cambiamento che possiamo osservare nei luoghi: 
  • capacità imprenditoriale (per infrastrutturale le vocazioni di cui un territorio c’è bisogno di avere visione imprenditoriale. Che non significa che per forza bisogna costruire una impresa, ma serve avere una cultura imprenditoriale. Che significa anche capacità di guardare al lungo periodo, capacità di assumere rischi…). 
  • dimensione produttiva del welfare (non c’è più il welfare state. Il modello in cui la pubblica amministrazione dice: io erogo questo. E lo fa. E al massimo esternalizza. Oggi c’è una dimensione di co-produzione che sempre più infrastruttura il nostro modello di welfare e che in modo naturale si nutre di quelle che sono le imprese sociali, che hanno come obiettivo la produzione di impatto, il cambiamento nella comunità). 
  • verticalità: è necessario ragionare sempre più in termini di filiera. Ragionare in termini di interventi che si parlino tra loro, che siano complementari e integrati. Energie, trasporti, logistica. Ma anche agricolture, turismo, cultura che devono essere rigenerate e che stanno trovando nella dimensione sociale una modalità per rigenerarsi. 
  • ricomposizione della domanda sociale: se queste sono dinamiche che riguardano il lato dell’offerta, c’è anche la necessità di ricomporre la domanda sociale. Perchè la sola personalizzazione non è sostenibile. C’è necessità quindi anche di creare eventi e momenti che abbiano l’obiettivo di aggregazione (sociale e politica e dei modelli di consumo). Questo non è tornare a standardizzare, ma è trovare il modo di tenere assieme, nella biodiversità).
Da dove ripartire? 
Nella logica di assumere cultura imprenditoriale in senso ampio, con forma mentis di imprenditori, da un lato dobbiamo ristrutturare le motivazioni dei promotori (fare in modo che la dimensione di conversazione e l’informalità e i riti del cooperare, permettano di far partire un meccanismo generativo per cui dall’impalpabile si trova anche il modo di arrivare ad un bene o servizio). 
L’unità dei fini è in qualche modo fondamentale, nel momento in cui l’orizzonte temporale si sposta. Presuppone partecipanti consapevoli della propria interdipendenza. Partecipanti con identità e responsabilità individuali. Ognuno porta la propria storia e le proprie competenze e le mette in maniera empatica  in condivisione con altri. E condivide con altri l’azione che va ad agire. 
Il luogo in senso ampio è il contenitore di questo tipo di ragionamento. 

Quali caratteristiche perchè un luogo sia un hub comuntario:
  • governance multi attoriale 
  • co-produzione dei servizi 
  • mix di risorse economiche e comunitarie. 
Dentro a questo contenitore spesso troviamo diverse attività, sintetizzabili in queste categorie:
  • spazi di wo-working (spazi in cui il lavoro è il perno della condivisione) 
  • marketplace (spesso dentro questi luoghi ci sono spazi in cui c’è scambio vero e proprio di merce, prodotta o meno nel luogo, ma che è commercializzata lì e che in qualche modo è affine all’identità e al valore che il luogo vuole produrre) 
  • programmazione culturale (di solito c’è una programmazione culturale che può essere declinata in attività, ma che fa della cultura e della immaterialità il perno della sua programmazione)
  • informalità (deve essere previsto uno spazio della informalità, perchè le conversazioni informali sono la linfa vitale, generativa, di idee nuove e di processi che scaturiscono da questo tipo di ragionamento).
Tutto questo produce un valore. 

Ma, anche se all’interno c’è già molta presenza e molta diversità, il luogo non può essere un luogo chiuso su se stesso. Deve dialogare con l’esterno. Perchè l’obiettivo di una struttura di questo tipo è generare un impatto sui comportamenti sociali, sulle economie di luogo, sugli schemi di policy locali. 

La governance che cambia i luoghi:
Perchè i luoghi siano hub comunitari è necessario strutturare assetti di governance in grado di valorizzare alcuni elementi in grado di valorizzare:
  • il pragmatismo (inteso come capacità diffusa di valutazione e apprendimento, come capacità di apprendere in modo continuativo e circolare)
  • lo sperimentalismo (inteso come orientamento a ricercare soluzioni nuove).
C’è bisogno di un passaggio da government a governance. 

Governance circolare
Questa cosa si può fare nel momento in cui mettiamo in piedi un assetto capace di cambiare in base alle mutazioni dell’ambiente territoriale, che è parte integrante dell’impianto organizzativo. Governance circolare. Circolare perchè c’è un livello di decisioni alto. Che non può non esserci. Qualcuno deve fare sintesi. Ma la decisione alta si nutre della circolarità e quindi cura l’ingaggio delle figure intermedie e che si nutre del rapporto con la comunità e con il territorio di riferimento. 

In base alla fase del ciclo di vita in cui si è, l’assetto economico cambia e mano a mano si qualifica. Così come si modifica il modello organizzativo. Non esiste un modello che sia applicabile in modo univoco a rigenerare un luogo. Il modello organizzativo va costruito in base a determinate valutazioni. Non è detto che la forma giuridica deve essere per forza di tipo imprenditoriale. Può essere in forma associativa o forma ibrida. A seconda del contesto e della fase.

Solitamente, non a partire dalla teoria ma a partire dalla osservazione della pratica, sono stati delineati alcuni criteri comuni di imprese comunitarie (a matrice cooperativa): 
  • producono beni e servizi in modo stabile e continuativo 
  • sono possedute e gestite da persone e soci su principi democratici 
  • sono radicate in una comunità di cui intendono migliorare il benessere in senso ampio di sviluppo umano integrale
  • sono aperte ed orientate alla sviluppo 
Il modello organizzativo è fondato sulla meta-capacità di orchestrare reti.

La Cooperative di comunità non è una forma giuridica a sè. Viene brandizzata come cooperativa d comunità la cooperativa in cui la comunità è al centro dell’impresa.

Altro tema trasversale, come la governance, le risorse e i modelli organizzativi, è il tema della innovazione aperta, che è il file rouge del ragionamento sui luoghi. E’ insito nei luoghi il fatto che l’innovazione rigenerata sia aperta. Se applichiamo questo ragionamento ad una impresa classica facciamo uno sforzo. In questo ragionamento sui luoghi l’innovazione invece è tautologicamente aperta. 

Community Manager
Se assumiamo tutto ciò che abbiamo detto finora, capiamo che c’è bisogno di una figura. Animatore di comunità. Community manager… Non attacchiamoci alle parole, ma capiamo che c’è bisogno di una persona che di fatto stia in questo processo lungo, lento e difficile e che curi la circolarità. E’ una figura che è varie cose: 
  • intermediario tra il dentro e il fuori: in grado di osservare il contesto in cui si inserisce per fare da miccia di processi di ridefinizione organizzativa interna. In grado di cogliere interno e l’esterno. E in grado di governare processi di change.
  • attivista, che sa informare, promuovere, coalizzare. Fa anche un po’ advocacy. 
  • policy maker, che accetta le regole del dialogo istituzionale stando ai tavoli che formulano politiche e interventi top-down
  • business angel, che accompagna progettualità emergenti, sostenendo con risorse diverse il carattere imprenditivo di comunità naturali e artificiali 
  • product manager, che è un veicolatole di prodotti e servizi dove la dimensione comunitaria è incorporata (embedded). 
- estratto dagli appunti presi in diretta dalla lezione di Sara Rago agli animatori di comunità Acli e non rivisti dall'autrice

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Per una ricostruzione aclista del decennio 1969-1979  Domenico Rosati  1. Far riaffiorare le informazioni sommerse Cade quest’anno il X anni...