Ho bisogno di capire! (4 di 11)


- Siamo in una situazione che è surreale. Se ci pensi, a come stiamo vivendo, è assurdo!
- E’ una situazione a cui non eravamo abituati. E’ tutto strano, ma ci stiamo abituando.
- Faccio fatica a collocare bene la situazione nella mia testa. Ogni tanto mi sembra uno di quei momenti in cui io sono sempre in casa perché molto preso da un impegno (tipo scrivere la tesi o un progetto, come mi è già successo…). Sono dentro ma mi immagino come se il resto del mondo fuori invece stesse andando avanti ugualmente. Poi quando sento i miei o esco a fare la spesa mi rendo conto che non è così.
- Penso che abbiamo ancora una visione limitata di ciò che ci sta succedendo. Perché siamo immersi. Ancora non abbiamo trasformato il modo di pensare. Ad esempio, ancora pensiamo come ad un adesso (in cui siamo chiusi, limitati…) e ad un dopo in cui torneremo ad una forma di normalità. Mentre penso che la fase del dopo sarà, per un tempo lungo, sfumata e variegata. Un misto tra normalità ed ora. E penso che quella fase sarà più complessa da gestire di quella di ora.
- Quello che mi domando è: le persone che vivono fuori da qui, si rendono conto? Hanno idea? Lo dico perché è un assillo che ho, non riesco a capire se fuori da qui si capisca cosa succede.
- Anche qui, da dentro, non capisco se capisco davvero cosa succede fuori.
- E’ tutto un po’ confuso. Come se tutto fosse ovattato. Non so se capisco. E non so se gli altri capiscono.
- Le percezioni che abbiamo sono molto diverse. Perché noi siamo diversi e le situazioni che viviamo sono diverse. Come facciamo a capirci, in tutta questa diversità?
- L’ironia, le banalità, le cose divertenti che si condividono, non sono per forza insensibilità, sono anche un modo per sopravvivere.
- Mi sento a cavallo tra più posti. E quindi sempre un po’ “fuori sintonia” rispetto a ciò che ho attorno. Sfasata rispetto a dove vivo. Magari in anticipo. Ma essere in anticipo non si rivela utile. Fino a che non “scatta” la nuova fase nella testa delle persone è inutile provare a spiegare ed anticipare.
- Non riesco a ritagliarmi spazi di pensiero. Ma non voglio dimenticare quello che sto vivendo. Mio padre che quando gli porto la spesa non entro, per non aumentare il rischio. E lui mi offre il caffè sulla porta. Il vecchietto del mercato che dice: non mi ha ammazzato la guerra… La collega che lavora in Comune e che si occupa di buoni spesa senza avere le protezioni, che ha visto morire un vicino di stanza per il coronavirus… Non è una narrazione. Sono appunti. Ma me li segno. Perché non voglio dimenticare. So che quando passa, poi si fa fatica a ricordare. Perché ci si adatta a tutto. Nel bene e nel male.
- Sento la distanza tra quello che stiamo vivendo noi qui e la narrazione di ciò che avviene altrove. Grazie a Dio non per tutti è uguale. Grazie a Dio non tutti si stanno confrontando con la morte. Ma che Italia sarà quella in cui avremo avuto esperienze diverse? Come ne uscirà il Paese?
- Dopo sarà la fase della crisi che da sanitaria diventa economica e sociale. Ma dopo sarà anche la fase in cui dovremo rielaborare ciò che stiamo vivendo. I flash mob non ci sono già più, perché c’è la morte. Dovremo elaborare il vicino di casa che viene portato via nella bara, le sirene, i morti… Dovremo elaborare il lutto. E’ giusto che le persone vivano cose diverse. Anche nello stesso posto non stiamo vivendo tutti la stessa cosa. Ma io mi domando se non servirebbe raccontare di più ciò che stiamo vivendo qui. Mi domando se noi non abbiamo l’obbligo anche di far comprendere ad altri quello che sta succedendo qui. Non so quale è il modo. Non voglio cose strappalacrime. Ma… come si fa…
- Sono soprattutto due i pensieri che mi ossessionano la mente in questo periodo:
Il vuoto: nei primi giorni, appena prima della catastrofe, c’era la lotta tra chi voleva andare a avanti come se niente fosse e chi voleva fermarsi. Sembrava un’ansia di riempire il vuoto. Un’ansia che rivelava un temere di non avere più un ruolo nella società. Come se non avere più il riconoscimento del ruolo pubblico della società corrispondesse a non avere più un senso anche nella vita privata. La domanda di fondo che ne emerge è: io, fuori dal mio contesto e dal mio ruolo, cosa sono? Sono me stesso. E chi è me stesso?
- Anche oggi mi domando quanto abbia senso fare tutte le riunioni che stiamo facendo… Perché lo facciamo? Cosa vogliamo dimostrare a tutti? Forse quella che stiamo vivendo è l’opportunità di fare i conti anche con il vuoto. Ci ricordiamo che il vuoto è stato uno dei temi del corso. La noia, la solitudine, il senso di non essere utili e produttivi…come li riconosciamo? Come li maneggiamo?
- Capisco la richiesta di distanziamento fisico, condivido meno il clima di controllo che si sta creando. Ho il dubbio che questo si presti ad abusi di potere, qui abbiamo visto già le prime situazioni...

Pragmatici esercizi di umanità, spostamenti e trasformazioni.

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