Resistente o resiliente? (6 di 11)


Per me e per tanti con i quali mi sono confrontata, i primi dieci giorni di isolamento forzato sono stati i più duri. Poi, con il passare  delle ore e delle giornate ci è sembrato di adattarci sempre di più a questa quotidianità del tutto nuova. 
"E' la nostra capacità di resilienza", mi sono detta , "sta funzionando!".
In questi giorni, e non credo sia un caso, mi chiedo invece se forse avremmo avuto più bisogno di resistere. " E se mi fossi abituata troppo a questa dimensione del tutto individuale?"
Resistere trasformando il trauma in epica, e quando il tornado è passato, vivificare la storia e renderla memoria.
Resistere in una dimensione collettiva. Un pò come i lego che possono trasformarsi continuamente, che possono diventare qualcosa di incredibile solo quando costruiscono insieme.
Persone in dialogo
Passo 6 di 11: Come fai? Strategie personali di adattamento… 
- Cerco di dosare le energie, perché è una maratona
- Non ho mai lavorato tanto come ora
- La situazione mi dà la possibilità di concentrarmi sugli affetti più stretti e sulle cose che mi piace fare.
- Ho il modellismo come isola felice.
- Mi dedico agli hobby e a ciò che mi piace fare.
- Mi piace partecipare a webinar gratuiti, interessanti, che ci sono ora.
- Mi sto dedicando allo studio, per togliermi gli ultimi 3 anni che mi mancano, prima ero rimasto indietro, adesso che è fermo il mondo non sto fermo io…
- La cosa che non riesco a portare avanti in questa fase è l’Università. Perché non trovo la forza per studiare e perché penso sempre che c’è altro di meglio da fare.
- Per me, non so se come genitore o anche personalmente, è stato importante da subito ricreare una routine. Alle 7,30 ci si alza, alle 8,30 si inizia scuola/lavoro, ogni sera un gioco di società assieme…
- Ciò che ho capito è che ognuno ha il suo modo di vivere questa esperienza. E che fare mille riunioni e mille attività è un modo di cercare un equilibrio tanto quanto dedicarsi a dipingere e darsi agli hobby. Non siamo diversi. Usiamo strategie diverse per rispondere allo stesso bisogno. Forse con un livello diverso di consapevolezza. Ma non è che c’è un modo giusto ed uno sbagliato. Né un modo unico per tutti. Ognuno cerca le strategie in base a ciò che è.
- Sento con chiarezza di essere passata da una primissima fase di tempo un po’ sospeso (come se fosse un tempo vissuto nella prospettiva del dopo) ad un tempo di presente incessante. Adesso si è ricreata una quotidianità. Oggi la quotidianità sembra quella che viviamo. Non ripenso più a cosa c’era prima. Non mi chiedo più cosa viene dopo. Oggi il quotidiano dell’oggi prende il suo spazio.
- C’è la mancanza del contatto umano. Ma connettersi non la risolve. Sento l’esigenza, spesso, di silenziare tutte le chat.
- Ci si può connettere e va bene. Ma adesso ho imparato che anche connettersi stanca, anche fisicamente.
- Connettersi non è un’esperienza emotivamente indolore. Ti riporta al mondo di prima e ti lascia un po’ spaesato, mentre nel mondo quotidiano di adesso, nel mondo di dentro, tutto sommato dopo un po’ ci si abitua e ci si assesta. E’ passare da un mondo all’altro che è straniante.
- Cerco di costruire un equilibrio tra due equilibri. Tra l’equilibrio tra persone con cui sono all’interno e l’equilibrio dato dai contatti con l’esterno. L’esterno per me c’è. Per la spesa vado fuori. Per noi e per mio padre ed altri del suo condominio. Quando esco sono molto colpita dal fatto che tra ciò che vivo nella mia zona e ciò che vedo nella zona di mio padre, nonostante passi poco spazio, c’è molta differenza. Sembrano due mondi diversi. Da me ci sono posti di blocco. L’ultima volta sono stata fermata e ho dovuto aspettare mezzora per il tempo in cui loro verificassero la marea di informazioni che mi stavano chiedendo per controllare. I dati di mio padre, quanti anni aveva, dove viveva… per fare una cosa naturale come andare a trovare mio padre ho dovuto subire un controllo e ho dovuto aspettare tanto tempo. Mi ha colpito molto questo, mi ha colpito che per fare una cosa che prima era naturale ho dovuto rendere conto a qualcuno. Poi in zona da mio padre ho visto il mercato, dove faccio spesa, dove sembra che nulla sia successo. Pieno di gente, vecchietti al bar che chiacchierano…
- L’ansia del vuoto non ce l’ho. Non ho il vuoto. Devo districarmi tra le esigenze, necessità delle persone con cui vivo. Ed il lavoro. I bambini, specie se piccoli, chiedono risposte, hanno le loro emozioni.
- Mi sono trovata ad assumere ruoli nei loro confronti che prima erano delegati ad altri. Ad essere maestra, capo scout, allenatore…Perché c’è tutto un fuori che si rapporta con loro. Ma quel fuori passa da noi. A volte sono senza respiro. A volte ho parlato dal bagno. Con mia figlia che spingeva per entrare da fuori dalla porta. 
Passo 1 di 11: Dove? Sono dentro. A casa. Casa!
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Passo 2 di 11: Come stai, lì dove sei? E la salute? E il lavoro?
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Passo 3 di 11: Com’è la situazione, lì da te?
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Passo 4 di 11: Come stai? Ho bisogno di capire!
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Passo 5 di 11: Come stai? Ho bisogno di essere utile!
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